Tarchi e i 40 anni de La voce della Fogna: “La nostra rottura nei confronti di consumismo, nazionalismo e atlantismo”

L'accademico fiorentino, fondatore della rivista anticonformista, spiega a Repubblica affinità e dissonanze (molte) rispetto alla destra di Fdi

Marco Tarchi

Professor Marco Tarchi, ”La voce della fogna”, fosse ancora viva, potrebbe chiamarsi ancora tale? Oggi quel mondo, o un pezzo di quel mondo, è al comando di questo Paese. Allora vi descrivevate come “una generazione in cattività”: che effetto le fa vedere quella generazione nella stanza dei bottoni?

“Essere al governo è importante. Ma non significa avere “il comando di un paese”, quando in settori che contano molto – la scuola, l’università, il giornalismo, il cinema, la scena musicale, il mondo degli affari, i sindacati – le proprie idee non hanno fatto breccia e si è ancora considerati dei paria. E questo è quel che accade in Italia oggi. Gramsci lo aveva ben compreso: se non conquista la mentalità collettiva, il potere politico ha basi fragili”.

Le vostre idee di allora hanno attraversato passaggi diversi della destra, dai campi Hobbit al mito di Tolkien, poi la generazione Atreju di Giorgia Meloni: ci sono dei temi imposti da Fdi e dal governo che le sembrano diretta emanazione dell’esperienza della nuova destra?

“Molti lo pensano. Io no. La nostra visione dell’economia, della cultura, dei rapporti sociali, dell’ecologia, delle relazioni internazionali mi pare abbia scarsi riscontri nelle destre odierne. Ci sono affinità nel difendere alcuni principi conservatori sui temi etici, ma i nostri orizzonti erano di rottura nei confronti del consumismo, dell’individualismo liberale, del nazionalismo vecchio stampo, dell’atlantismo, della logica capitalistica. Non mi pare che ciò abbia a che fare con Fdi”.

Il ministro Sangiuliano ha ben presente il tema dell’egemonia culturale, la cita continuamente dicendo che la destra deve imporre la sua. La destra ha ancora davvero questo deficit secondo lei? O è una sorta di complesso di inferiorità?

“Altroché se ce l’ha! Non basta utilizzare una formula suggestiva, come “contro-egemonia”, per agire efficacemente in direzione di una riconquista della mentalità collettiva, in cui il progressismo ha ottenuto, soprattutto dal 1968 in poi, straordinari successi. È necessario proporre valori, idee, immagini in grado di scuotere positivamente le coscienze e suscitare consensi, soprattutto fra le giovani generazioni, che si vedono spesso proporre fin dai primi anni di scuola, e soprattutto nei licei e nelle università, modelli di tutt’altro segno. Per non parlare delle interpretazioni ideologiche dei fenomeni storici…”.

Voi contestavate la nostalgia verso il Ventennio: secondo lei Meloni e Fdi hanno fatto davvero i conti con il fascismo?

“Noi volevamo liberarci dalla tirannia di un modello di cui, negli ambienti neofascisti, non si sapeva né si voleva fare una seria critica. Volevamo portare quel microcosmo – che tale, all’epoca, era – verso un’evoluzione che gli consentisse di confrontarsi da pari a pari con la modernità; non pensavamo ad abiure. Non intendevamo passare da un’interpretazione del fascismo che non sapeva metterne in evidenza gli aspetti negativi ad un’altra non meno manichea che lo voleva, e lo vorrebbe, rappresentare come il regno del Male. Leggevamo e discutevamo De Felice, Mosse, Sternhell, non i libelli iperideologici e propagandistici che oggi vanno di moda in certe sinistre. Meloni e Fdi non hanno dovuto confrontarsi con quel modello perché lo hanno semplicemente rimosso. Quarant’anni dopo, è comprensibile, anche se discutibile”.

Nel linguaggio utilizzato da Meloni e Fdi – i continui richiami a Nazione, Patria, destino – vede un neanche troppo criptico richiamo alle antiche radici? 

“Il richiamo alle antiche radici, per essere tale, dovrebbe contenere l’aspirazione a riproporre un modello autoritario. Non credo che in Fdi qualcuno possa immaginare possibile un simile scenario. La retorica nazionalista serve a contrastare parole altrui: gli slogan no border e l’odio per le frontiere, l’elogio del cosmopolitismo e del multiculturalismo”. (da repubblica.it)

@barbadilloit

Matteo Pucciarelli

Matteo Pucciarelli su Barbadillo.it

Exit mobile version