Assalto al cielo. Scianca: “Il governo Meloni tra il cuneo Usa e una nuova stagione”

L'analisi dell'intellettuale non conformista sull'orizzonte dell'esecutivo, sugli scenari internazionali e sul conservatorismo italico

Giorgia Meloni nel giorno dell’insediamento a Palazzo Chigi

Adriano Scianca, cento giorni sono una trovata giornalistica per valutare un nuovo esecutivo. Fuori dalla retorica, quali i primi elementi salienti dell’esperienza dell’esecutivo di Giorgia Meloni?

“Chi si aspettava – auspicandolo o temendolo – un cambiamento radicale, “rivoluzionario” o “eversivo”, a seconda dei punti di vista, credo sia rimasto deluso. Si tratta di un governo di centrodestra come ne abbiamo avuti tanti negli ultimi 30 anni, con pregi e difetti. La premier mi pare si muova molto bene, facendo anche tesoro di alcuni errori commessi dall’esecutivo gialloverde. Il resto della squadra non sempre è all’altezza. Personalmente, mi piacerebbe che la destra uscisse dalla esternazione-mania, la voglia di giocare tutta la partita su boutade qualunquiste relative al presepe o al ritorno della naja che creano solo sterile dibattito e non portano da nessuna parte. Si tratta comunque di un governo che ha margini di manovra veramente risicati, tra crisi economico-energetica e le impellenze della politica internazionale. Alcune mosse le potremo valutare solo nel tempo. Al momento, per esempio, non possiamo dire se la voglia di non forzare la mano su tutta una serie di dossier sia una semplice resa oppure un calcolo machiavellico per ottenere risultati più concreti più avanti”. 

A livello internazionale non c’è stata la levata di scudi antisovranista che prevedeva la stampa progressista. Quale la strategia nelle relazioni internazionali?

“Come dicevo, da parte della Meloni mi pare che la voglia sia quella di non procedere per strappi e provocazioni: una strategia che però andrà misurata con i fatti. Il rischio, ovviamente, è quello di ingoiare rospi oggi per non portare a casa nulla domani. Il confine tra machiavellismo e arrendevolezza è più sottile di quanto non sembri. Ma che si sia evitata la strada della polemica continua con l’Europa, magari disertandone i tavoli in cui vengono prese le decisioni, per poi piangere vittimisticamente contro le stesse decisioni prese in propria assenza, la trovo una prova di maturità”. 

Enrico Mattei

La guerra in Ucraina e la crisi energetica affrontata con il nuovo Piano Mattei: due test che influiscono su dinamiche interne ed esterne.

“Benissimo il piano Mattei, a patto che, anche qui, alle parole seguano i fatti. La questione ucraina è complessa e, nel mondo non conforme, accesamente divisiva. La Meloni si trova in una rete di alleanze e rapporti di potere, in un contesto geopolitico dato e cristallizzato da 70 anni: non poteva e probabilmente non doveva agire diversamente. Ma il punto non è tanto la scelta di campo iniziale, quanto ciò che succederà ora. Ciò che sarà importante per gli anni a venire è come finirà (politicamente) la guerra e quali saranno gli assetti che si andranno a determinare nel futuro. Al netto dell’aspetto umanitario, per cui tutti auspichiamo che il popolo ucraino cessi al più presto il suo martirio, è evidente che in sede geopolitica si stanno giocando varie partite sovrapposte e non riconducibili a schemini manichei democrazie vs dittatura o, viceversa (ma lo schema è lo stesso), mondialismo vs fronte di liberazione. Il cinismo e l’ambiguità del gioco statunitense, in particolare, mi paiono evidenti. Basti pensare all’idea di un «piano Marshall per la Russia» lanciata dal ceo di Microsoft, azienda che del resto continua a fornire servizi cloud al Cremlino, e di certo non potrebbe farlo senza il benestare di Washington, o all’indiscrezione circa la Cia che avrebbe «offerto» a Mosca il 20% dell’Ucraina, non casualmente fatta trapelare alla stampa da «ambienti qualificati» tedeschi. La guerra ha interrotto una dinamica, lenta e contraddittoria, ma comunque reale, di emancipazione europea. La Nato, prima dell’aggressione russa, era ridotta al lumicino, contestata apertamente dalle maggiori cancellerie europee. Oggi si è giocoforza rafforzata. Ma è un’inversione di rotta irreversibile? O proprio l’esperienza dolorosa di questa guerra può essere il punto di partenza per una ripresa e un’accelerazione di quella dinamica emancipatoria che dicevo? La stessa rimilitarizzazione di molti Paesi europei generata dalla guerra è un fattore i cui esiti sono tutti da scoprire. Ovviamente nulla è già scritto. Tornando alla Meloni, quando questi nodi verranno al pettine, dovrà decidere che ruolo giocare: quello del cuneo americano in Europa, espressamente teorizzato dai vari Bannon e allegramente sposato da alcuni «sovranisti», o quello della protagonista di una nuova stagione che potrebbe aprirsi”. 

Adriano Scianca

Il profilo identitario e culturale: le prime nomine, a partire da Sangiuliano al ministero già di Franceschini, e di Giuli al Maxxi indicano una ricerca di cambio di rotta. Su cosa si giudicherà una nuova tendenza patriottica nell’ultimo fortino progressista italiano, ovvero nell’arcipelago culturale?

“Che ci si ponga il problema dell’egemonia culturale è già qualcosa. Che poi, oltre a parlarne, l’egemonia la si costruisca anche, è un altro paio di maniche. Le nomine citate sono un buon segno, ma l’egemonia si basa su reti, strutture, relazioni, uomini chiave in ruoli spesso oscuri. Il ministro, il direttore, il presidente cambiano al primo mutare del vento politico. Le fondazioni, i finanziamenti, i giornali, i think tank, le lobby politiche, i rapporti restano e lavorano in profondità. Ma di nuovo, anche qui, bisognerebbe uscire dall’ansia mediatica di far parlare di sé per boutade sensazionalistiche e ciarliere”. 

Il conservatorismo in Italia: è questo il nuovo orizzonte della destra italiana? È l’unico?

“Ho espresso la mia diffidenza verso questa categoria in tempi non sospetti, ricevendo peraltro una cortese e divertente risposta da quello che in seguito sarebbe diventato la seconda carica dello Stato, che invece difendeva la scelta di una linea conservatrice. Personalmente trovo la scelta conservatrice inutile, sul fronte della tutela da attacchi antifascisti (per loro resti comunque un fascista, a prescindere), smobilitante, dal punto di vista dell’immaginario e dell’appeal, infondata, dal punto di vista storico e politologico in relazione al contesto italiano, castrante, dal punto di vista della comprensione del presente, quanto meno ambigua, dal punto di vista degli ammiccamenti internazionali. Il risultato è che qui c’è chi pensa di fare politica a colpi di «signora mia, il cantante dei Maneskin indossa la giarrettiera» (mi chiedo peraltro chi conoscerebbe i Maneskin senza questa costante campagna di marketing portata avanti gratuitamente dai custodi del buon costume). Quello di cui ha bisogno la nostra epoca è un nuovo slancio verso l’avvenire, una dottrina di attacco e di conquista, una visione propositiva e ottimistica. Io, insieme a un altro pugno di amici, cerco di fare la mia parte, per esempio grazie a progetti come Prometheica, la rassegna di studi sul sovrumanismo e la tecnica che ha l’ambizione di ridefinire alcune categorie. Se la destra ondeggia tra conservatorismo e deriva individualistico-paranoide, sceglie di stare nel campo opposto e di tagliarsi fuori dalla costruzione dell’avvenire, se non nella poco edificante funzione di «agente regolatore» del progressismo”.

L’essenza del fascismo di Giorgio Locchi

Negli ultimi anni si è dedicato allo studio, alla rilettura e alla pubblicazione degli scritti di Giorgio Locchi. Quale la sorprendente attualità di questi studi?

“Giorgio Locchi è stato il mio vero maestro filosofico, sia pur a distanza (è morto quando avevo 12 anni e non ho potuto ovviamente conoscerlo, anche se negli ultimi anni ho allacciato una proficua amicizia con il figlio Pierluigi). Per me scoprire, quasi casualmente, un pensatore così radicale e «militante», ma allo stesso tempo così profondo, originale, erudito, aperto alle novità della propria epoca, è stata una rivelazione. L’ultimo lavoro locchiano che ho curato è stata la ripubblicazione, aumentata grazie a vari altri testi di e su Locchi, de L’essenza del fascismo, l’introvabile libretto con cui l’autore romano rispose a suo modo a L’intervista sul fascismo di Renzo De Felice. Pagine densissime, in cui oggi troviamo una risposta ai vari fraintendimenti che ancora accompagnano l’esperienza fascista. E parlo tanto dei fraintendimenti dei «nemici» quanto di quelli degli «amici». Ma non c’è solo lo sguardo chiarificatore sul passato (ammesso e non concesso che il fascismo appartenga al passato, e leggendo certe inchieste e certe prime pagine di oggi non sembrerebbe): penso alla tematica sull’apertura della storia o alla visione della tecnica nel quadro dell’avvento di quello che Locchi chiamava il «terzo uomo». Qui c’è veramente la chiave per capire e forgiare i nostro presente e il nostro futuro. Sarebbe «attuale» di per sé, a prescindere, ma lo diviene molto di più alla luce della regressione culturale, politica ed esistenziale che sembra aver attanagliato negli ultimi anni il mondo non conformista nella sua globalità.

Gerardo Adami

Gerardo Adami su Barbadillo.it

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