Ay Sudamerica! Perù, record di impeachment per il presidente-maestro

Per la terza volta il Congresso mette sotto accusa Castillo. E lui vara il quinto governo in sedici mesi

Si addensano nubi nere sul Natale peruviano. Per la terza volta in appena un anno e mezzo, il presidente Pedro Castillo finisce sotto tentativo di impeachment da parte del Congresso, che giovedì scorso ha approvato con 73 voti favorevoli, 32 contrari e sei astensioni l’avvio di un dibattito sulla risoluzione presentata da parlamentari di centro-destra (si tratta di deputati indipendenti e dei partiti Fuerza Popular, Renovación Popular, Avanza País, Somos Perú e Alianza para el Progreso), che vogliono destituire il presidente per «permanente incapacità morale». Il Parlamento discuterà l’impeachment mercoledì 7 dicembre e per far cadere Castillo saranno necessari i voti di 2/3 dei membri del Congresso, ossia 87.

Il presidente progressista (ma con strane tendenze conservatrici: è contrario all’aborto, ai matrimoni gay, all’eutanasia e al consumo libero di marijuana) è sotto scacco dall’inizio del suo mandato, che risale al 28 luglio 2021; e in questi sedici mesi ci ha pure messo del suo per indebolire la propria posizione, visto che ha già cambiato cinque volte premier, schiacciato dalle polemiche, dagli scarsi risultati ottenuti e dai giochi di palazzo. L’ultimo primo ministro in ordine di tempo si è insediato appena una settimana fa ed è l’ex ministra della Cultura Betssy Chàvez, 33 anni, che ha sostituito il dimissionario Anìbal Torres salvo poi recuperarlo come capo del suo gabinetto.

Torres era entrato in carica lo scorso febbraio ed era il quarto primo ministro del Perù dall’insediamento del presidente Castillo. Con poco più di nove mesi in carica, è stato anche il premier più longevo dell’esecutivo peruviano: il suo predecessore, Guido Bellido, era rimasto in carica poco più di due mesi e in precedenza Mirtha Vasquez era rimasta alla guida dell’esecutivo per quasi tre mesi. Il primo a ricoprire l’incarico sotto Castillo, Hector Valer, era rimasto alla guida del governo addirittura meno di una settimana.

Oltre ad essere attaccati ogni giorno dall’opposizione, Castillo e Chàvez sono anche nel mirino della magistratura, che sta indagando su presunti scandali che investono il presidente e la premier. Dall’inizio del suo mandato Castillo, che ha 53 anni e un passato da vero self-made man (prima maestro elementare e poi sindacalista degli insegnanti), è accusato di gestire il suo ruolo di primo cittadino peruviano con troppa disinvoltura e finora è già finito sotto inchiesta cinque volte per abuso d’ufficio, traffico di influenze, corruzione, collusione ai danni dello Stato, legami con la criminalità organizzata e persino di aver plagiato la sua tesi universitaria in psicologia dell’educazione. Di recente è stato chiamato in ballo anche per lo scandalo dell’azienda petrolifera statale Petroperù, il cui direttore generale, nominato lo scorso anno da Castillo, è fuggito in Bolivia inseguito da un ordine di arresto.

Finora Pedro Castillo se l’è sempre cavata, sia dinanzi al Congresso, sia di fronte alla magistratura; ma è difficile sapere fino a quando resisterà nella carica più alta della repubblica peruviana. Così come è difficile capire se l’ex maestro elementare sia davvero un mezzo gangster come lo descrivono gli oppositori e gran parte della stampa, o piuttosto un outsider fuori dai giochi di potere che dev’essere eliminato quanto prima per evitare che porti avanti il programma annunciato in campagna elettorale: riforma agraria, aumento del salario minimo, sviluppo dell’agricoltura dei campesinos, difesa dell’ambiente, linea austera per gli stipendi del settore pubblico e altri progetti che l’opposizione bolla come populisti.

Di sicuro è difficile comprendere la situazione peruviana leggendo i mezzi d’informazione locali perché sono quasi tutti schierati contro il presidente, non foss’altro perché lo stesso Castillo odia i mass media (che accusa di faziosità), non parla con i giornalisti e si limita a comunicare attraverso i social network o i ministri del suo governo. Insomma, quest’atteggiamento ruvido e poco istituzionale ha avuto come conseguenza che il presidente, la sua famiglia e il suo entourage politico sono stati passati ai raggi x della stampa e qualcosa di poco chiaro è venuto a galla: i possibili legami della cognata con un’organizzazione criminale, il presunto plagio di parte della tesi universitaria e il fatto che lo stesso Castillo è solito ricevere imprenditori e lobbisti nella sua casa privata di Lima anziché negli uffici presidenziali.

Inoltre i numeri sciorinati dai mass media indicano che sotto la presidenza Castillo, oltre ad aumentare l’inflazione, si è accentuato il conflitto sociale, con un drastico aumento di blocchi stradali, scioperi selvaggi, scontri fra polizia e lavoratori, fino ad arrivare alla proclamazione del coprifuoco nell’area della capitale Lima e del principale porto, Callao. Il 7 dicembre scopriremo se il presidente-maestro, che ha rinunciato ai benefici economici da Capo dello Stato per continuare a percepire lo stipendio di insegnante, riuscirà a sfuggire anche a questo agguato politico del Congresso.

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Giorgio Ballario

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