La crisi del M5S: la fine dei miracolati

Scrive Gianfranco de Turris:"La loro parabola, dopo una dozzina d’anni, è giunta alla miserevole conclusione"

M5S

Il manifesto M5S per la marcia pro reddito di cittadinanza ad Assisi

Beppe Grillo, che insieme a Gianroberto Casaleggio, ne è l’inventore, li chiamò “miracolati” e nessuna definizione è stata più azzeccata di questa. Ed ora la loro parabola, dopo una dozzina d’anni, è giunta alla miserevole conclusione. Nato nel 2009 il Movimento Cinque Stelle ebbe un incredibile successo nelle politiche del 2018 con oltre il 30 per cento di preferenze diventando il più forte gruppo parlamentare (227 deputati, 112 senatori). Gli elettori si fidavano (o provavano a fidarsi) di coloro che si presentavano come una forza nuova, onesta,  che voleva fare pulizia dei vecchi partiti, lontana dalle lusinghe del  sistema, concreta. Non è stato così. (Forse sarebbe stato sufficiente guardare bene le facce di alcuni di questi “volti nuovi”…)

All’epoca comunque scrissi: mettiamoli alla prova senza pregiudizi, vediamo che cosa saranno capaci  di fare. Il risultato è che i Cinquestelle si sono dimostrati da un lato dei dilettanti allo sbaraglio, personaggi un po’ ridicoli, parolai senza arte né parte (tipico esempio quell’incredibile gaffeur che è stato il ministro Danilo Toninelli, che ha avuto anche l’ardire di scrivere un libro su questa sua esperienza…), e dall’altra quando avevano un vero spessore (uomini di cultura, docenti universitari) degli incredibili demagoghi: si veda l’attuale presidente dell’Inps Pasquale Tridico, inventore de “reddito di cittadinanza” (e per questo nominato a quella carica), oppure quel ministro della Istruzione pescato in una università mi pare sudafricana, Lorenzo Fioramonti, famoso per le sue follie didattiche  culturali e storiche su cosa si dovesse insegnare o meno(un precursore della cancel culture insomma) che per fortuna si dimise e se ne tornò da dove era venuto.

Gli esordi populisti del M5S sono stati dimenticati. Grillo che presenta dal balcone del Campidoglio  le due signore sindaco (fallimentari) di Roma e Torino agitando una stampella per abiti, i ministri pentastellati che dal balcone di Palazzo Chigi alzano le dita a V e annunciano “la fine della povertà”, tanto per citare fatti che non si possono dimenticare per quanto sono grotteschi. Poi pian piano l’adeguamento all’odiato Sistema, l’attuale rivolta contro la regola dei due soli mandati. Il confort del potere di cui si sono assaporati i privilegi (non vorrei sbagliare ma Giuseppe Conte, in quanto ex primo ministro – pur se non eletto – gode ancora dell’uso della macchina di servizio con autista).

Gli eletti pentastellati non sono diversi dagli altri. Insomma, dopo una legislatura ognuno ha fatto emergere quel che in fondo è. Esempio eclatante: il l giovanissimo Luigi Di Maio, ex venditore di bibite negli stadi campani e che ora, vero enfant prodige, è alla guida della Farnesina, ha espresso un profondo animus democristiano: nei suoi discorsi sembra di riascoltare, fatte le debite proporzioni,  Aldo Moro (che fu ministro degli esteri) per i giri di frase, l’annacquamento dei concetti, la mediazione delle posizioni. E farà la sua bella carriera ora che ha deciso la scissione. In fondo ha appena 35 anni.

Però il Movimento ha deluso i suoi elettori, come inequivocabilmente provano le ultime elezioni amministrative di giugno: a picco le percentuali, quasi scomparsi in molti comuni, i loro sindaci non  rieletti a dimostrazione che sono fumo negli occhi, che non sono stati capaci di mantenere le promesse, che sono, appunto, dilettanti allo sbaraglio, o demagoghi logorroici.

Il M5S, che all’inizio della legislatura aveva 339 parlamentare, in quattro anni ne ha persi 112, un terzo esatto, quasi tutti nel Gruppo Misto, ma ora dopo la scissione dimaiana ne ha persi altri 62, riducendosi così alla metà dei parlamentari originari, 165, 104 deputati e 51 senatori, il che ha consentito alla Lega di diventare il gruppo più  numeroso. E non si sa, al momento in cui si scrive (inizio luglio 2022) cosa potrà avvenire in seguito.

Infatti quali siano le vere e riposte intenzioni di Di Maio non si possono sapere ora come ora: Insieme per il Futuro, il suo raggruppamento, resterà una forza autonoma e si presenterà alle politiche del 2023, oppure prima di esse si affiancherà o si fonderà con qualche altro partito? E in caso quale? Le idee sono molto confuse e si va dal Partito democratico a Forza Italia, a seconda degli interpellai! Il fatto è che non si può assolutamente sapere nulla sulla buona fede degli “scissionisti”: lo hanno fatto perché ci credono o solo perché sperano in una nuova rielezione stando con Di Maio più che con Conte (la maggior parte di essi è infatti alla prima legislatura). Tanto più che, proprio per iniziativa del M5S i membri del Parlamento sono stati pressoché dimessati e nel ’23 i deputati saranno 400 e i senatori 200. Quindi meno posti a disposizione per tutti, figuriamoci per le forze minori quale appunto sarà il M5S..

La conclusione sta tutta in una vignetta sulla prima pagina del Corriere della Sera dove Giannelli ha raffigurato il simbolo del Movimento dove le cinque stelle se la suonano fra loro di santa ragione facendo veder… le stelle!

 

Gianfranco de Turris

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