Focus. Da “Arkanovi Tigrovi” a “Azov”: nell’Est il fattore etnico conta più dell’ideologia

Nei Balcani e nell'Europa dell'Est il nazionalismo pesa più delle vecchie categorie. Ecco perché, talvolta, ci è difficile capire gli orientamenti degli schieramenti

Due militari del battaglione Azov

Molto si è detto e scritto del Battaglione “Azov” sin dalla sua comparsa, agli albori del conflitto in Donbass.Pareva essere una novità nello scenario geopolitico est europeo, eppure vi sono precedenti che pochi, fra giornalisti e commentatori, hanno ricordato.

Vi dice qualcosa il nome Tigri di Arkan?

Forse no a molti dei giovani lettori, non ancora nati o troppo piccoli al tempo. Le Arkanovi Tigrovi erano formazioni paramilitari serbe, in origine ultras della Stella Rossa Belgrado come, d’altronde, ultras alcuni degli uomini del Battaglione “Azov”. E di estrema destra, come gli uomini dell’Azov.

Ma in Europa orientale la percezione dell’ideologia è diversa che in Occidente: il gruppo etnico, infatti, ed il suo futuro contano molto più dei dogmi ideologici. Fu così che, sul finire degli Anni ’90, il leader della Repubblica di Yugoslavia Slobodan Milosevic (socialista) saldò i rapporti con la Chiesa ortodossa serba e con ali dell’estrema destra nel nome della forza dell’identità serba in una penisola, quella balcanica, sconvolta da conflitti interni scoppiati dopo la morte di Tito.

Il Marakana

Le Tigri di Arkan sono purtroppo note della ex Yugoslavia come in occidente per la crudeltà delle loro azioni ai danni di musulmani bosniaci e kosovari.

Hanno infatti operato durante il conflitto in Bosnia ed in Kosovo, prima dell’intervento NATO, per reprimere la componente separatista albanese.

Non vi fosse una scia di sangue dietro i loro passi, l’origine delle Tigri pare la trama di una commediuncola di serie B. Nascono sugli spalti del Marakanà, nome esotico (rievoca il celebre stadio brasiliano) dello stadio di Belgrado ed hanno come sede-comando il Cova, una pasticceria donata loro da Milosevic. A guidarli, prima come capo ultras poi come milizia armata, è un ex agente dell’UDBA (‘Uprava državne bezbednosti/sigurnosti/varnosti, polizia segreta jugoslava) Željko Ražnatović detto “Arkan”.

Violenza “legale”

Uomo ogni tempo Željko: agente segreto, dirigente d’azienda, ultrà, anche capo della sicurezza di una discoteca. Ma, soprattutto, un serbo convinto pronto a difendere, con le armi, l’identità della Serbia e la sua supremazia sui Balcani.

Le armi arrivano da Milosevic, gli obiettivi ripulire i territori “riconquistati” dall’esercito jugoslavo da elementi ostili. Le Arkanovi Tigrovi, come gruppo armato, nascono nell’aprile 1992 sulla base di una milizia già esistente, la Guardia Volontaria Serba. Contano circa 3000 uomini, alcuni dei quali arruolati proprio sugli spalti del Marakana… e non perdono tempo: 14 persone uccise a Bijeljina poi, un mese più tardi, 600 nel villaggio musulmano di Brčko sul confine serbo-bosniaco.

Elementi delle Tigri prenderanno inseguito parte al Massacro di Sebrenica, al fianco del generale Ratzo Mladic, costato la vita a 20 mila bosgnacchi (musulmani bosniaci) e che ancora pesa sull’onore e sulla memoria degli olandesi. La guarnigione di Amsterdam, infatti, pur incaricata dall’ONU su sorvegliare l’area, non intervenne all’arrivo dei serbi. La popolazione musulmana fu quindi alla mercé di Mladic e di Ražnatović.

La forza di Ražnatović è nelle armi, nella ferocia, nel fanatismo identitario e… nel fatto che le sue violenze sono “legalizzate” in quanto la milizia opera in supporto all’esercito serbo.

Vi ricorda qualcosa? Sì, dai qualcosa di recente…

Oggi

Circa un decennio dopo la morte di Ražnatović (ucciso nel 2000 da un poliziotto in congedo), qualche migliaio di chilometri più ad est la vita di altri ultras calcistici si fonde al nazionalismo. Nel 2014, nel corso delle proteste Euromaidan, le frange delle tifoserie di Kiev si uniscono alla protesta contro il governo filo-russo. Nello stesso anno, con l’annessione della Crimea alla Russia, il Ministero dell’Interno ucraino inserisce nelle forze di riserva un’unità paramilitare, l’Azov. Civili provenienti da contesti diversi (gente comune, politica, curva), accumunati da accesi sentimenti anti russi e da un esacerbato nazionalismo.

All’epoca delle guerre jugoslave qualcuno si domandava – lecitamente – come le Tigri di Arkan (di destra estrema) avessero potuto legarsi ad un socialista quale Milosevic. Paradossalmente è lo stesso interrogativo che pone chi oggi cerca di dire che l’Azov non ha legami con il nazismo.

“Se Zelensky ha origine ebraica, come può approvare l’esistenza di nazisti fra i suoi combattenti?”

La risposta è nel fine ultimo delle guerra, cioè la vittoria ucraina e la riconquista dei territori del Donbass che Kiev non cederà mai alla Russia.

In fondo, anche sull’altro fronte, fra i miliziani delle Repubbliche indipendentiste di Lugansk e di Donec, vi si trovano elementi della sinistra e della destra radicali europee. Un problema per i “filo-russi”? Non sembra affatto: il loro fine ultimo è fare in modo che le Repubbliche non tornino mai sotto il controllo di Kiev.

Quando si cerca di capire uno scenario quale quello ucraino, dando anche una giustificazione agli attori in campo è dunque lecito fare due cose: analizzare il contento sociale, storico e culturale della guerra e confrontarlo con eventuali precedenti. Compito dell’analista non è infatti trovare giustificazioni, ma risposte ad interrogativi e dubbi “figli legittimi” di tutti gli eventi di geopolitica.

@barbadilloit

Marco Petrelli

Marco Petrelli su Barbadillo.it

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