Francia. Urne spietate, l’esercito dei delusi

Chi ha creduto in Zemmour resta a casa, la figuraccia dell'ex premier Valls sancisce la fine del Partito socialista

Le ore che seguono una tornata elettorale sono scandite da riflessioni, dissidi, manifestazioni di giubilo e interrogativi sull’operato portato a termine. Nel caso francese, dopo le Presidenziali che hanno visto la conferma di Emmanuel Macron, le elezioni legislative hanno evidenziato una Francia dilaniata dalle conflittualità, da modelli politici e ideologici influenzati da paradigmi sociali difformi, tripartita fra gli estremismi ormai istituzionalizzati e un centro “Macroniano” in crisi, che dovrà tornare a guardare ai redivivi repubblicani gollisti, ago della bilancia, per scongiurare l’uso dell’art 49-3 della Costituzione transalpina in caso di mancanza di maggioranza assoluta. In quel caso la trasformazione del Primo Ministro in Roi Macron sarebbe completa (e sicuramente contestata).

Ma se la tornata elettorale appena conclusa ha evidenziato le fragilità dell’alleanza Ensemble, il boom di Marine Le Pen con 89 nuovi alfieri nell’emiciclo parlamentare francese e il roboante risultato della sinistra “Islamogauchista” della NUPES, guidata da Jean-Luc Mélenchon (più di 140 seggi), molti sono invece i grandi delusi o sconfitti della contesa. Fra primo e secondo turno numerosi sono stati i “notabili” che si sono arresi all’esito delle urne. Sconfitte brucianti, inaspettate che rischiano di minarne il terreno politico in vista del futuro.

 

 

Eric Zemmour e il futuro della Reconquista

 

La sconfitta più pesante da digerire sarà sicuramente quella al primo turno delle legislative per lo scrittore e intellettuale Eric Zemmour. Capace di catalizzare l’attenzione di stampa e media e terremotare il terreno delle elezioni Presidenziali, il leader della “Reconquista” si è arreso dopo due lunghe campagne elettorali, perdendo lo scontro diretto con l’avversario del Rassemblement National Philippe Lottiaux che lo ha superato con uno scarto minimo nella circoscrizione del Varo, vincendo poi il ballottaggio contro la candidata di Ensemble Sereine Mauborgne.

Zemmour ha provato in tutti i modi a riunire le destre, non facendo mancare il proprio apporto alla causa lepenista al secondo turno delle elezioni Presidenziali. Il RN ha invece visto nelle legislative un pretesto per vendicarsi del competitor, rimasto a lungo proiettato al secondo turno presidenziale proprio a discapito di Marine Le Pen. Eletta nel suo feudo al primo turno, il Passo di Calais, Marine ha rigettato qualsiasi accordo, ottenendo un risultato positivo, ma che avrebbe potuto essere ben più decisivo (simil-Nupes) se a realizzare il sogno “unionista” non fosse stato Mélenchon con la sinistra radicale, capace di inglobare anche il Partito Socialista che fu di Hollande e proprio a Hollande deve la sua discesa nel baratro.

Zemmour ha palesato il suo dispiacere nelle ore successive al risultato, che ha capovolto sondaggi e risultati parziali che lo vedevano al secondo turno dopo il boom di voti raccolti a Saint-Tropez.

Il futuro della Riconquista sembra in bilico, ma Zemmour ha sempre dimostrato di essere un lottatore controcorrente. Ha riunito molti lepenisti delusi e si dice fiducioso per il futuro del suo partito, che reputa l’unica vera opposizione a Macron e al declino francese.

Nessun eletto per la Riconquista, nonostante i quasi tre milioni di voti raccolti il 10 aprile e i 130.000 iscritti correnti al partito. Tra i delusi della causa zemmouriana impossibile non citare Guillaume Peltier, deputato ex gollista, che aveva seguito Zemmour dopo la sconfitta di Ciotti e dell’ala destra del partito alle primarie repubblicane. Peltier, candidato nel dipartimento della Loir-Et-Cher ha raccolto intorno al 14%, dietro il 20% di Chaplault (Ensemble) e il 24% di Roger Chudeau del RN.

Venuto a conoscenza del risultato negli studi di TF1 ha orgogliosamente affermato di aver preferito credere nelle proprie convinzioni piuttosto che rimanere ancorato ai repubblicani, vincere la circoscrizione e rinunciare ai propri ideali. Peltier, vicepresidente del partito di Zemmour è uno dei candidati con il miglior risultato e ha ribadito la sua devozione alla causa anche dopo la sconfitta.

Sconfitto anche Stanislas Rigault (e la sua candidata supplente Marion Maréchal) nella Vaucluse con uno score del 10%. A 23 anni, se fosse stato eletto, avrebbe eguagliato il primato di Marion, vincente nel 2012 e ancora oggi la più giovane deputata della storia del Parlamento Francese.

Rigault, presidente del movimento giovanile “Génération Z.”, ha commentato con soddisfazione il percorso fatto, annunciando di voler continuare a onorare la causa della Reconquete! E annunciando il proprio ritorno fra i banchi universitari. Al giovane Stanislas non resta che sperare di non avere docenti elettori della NUPES, o il percorso potrebbe essere ben più arduo delle urne.

Infine immancabile la citazione a un candidato peculiare: Joachim Son-Forget. Eletto deputato nel 2017 tra le fila della REM (dopo un periodo di convinta militanza nel Partito Socialista) nella circoscrizione per i francesi residenti in Svizzera e Liechtenstein, aveva lasciato il partito di Macron nel 2019 attirando numerose critiche. A dicembre 2021, sul palco del giuramento dei patrioti identitari di Zemmour Son-Forget era in prima fila, rimarcando il suo supporto al candidato di destra.

Dopo il primo turno del 10 aprile, aveva affidati ai social la sua dichiarazione di “Indipendenza elettorale” appellando i suoi contatti a votare per Macron e contro Le Pen. Una presa di posizione che ha scatenato l’ira degli elettori di destra e l’ironia dei supporters di Macron. Una mossa sconsiderata e che gli è costata l’investitura alle legislative della Riconquista. Ottenuto il 4,3% ed eliminato al primo turno Joachim Son-Forget ha rimosso dai suoi canali social ogni traccia di supporto a Zemmour e successivamente a Macron per il secondo turno. Che sia alla ricerca di un prossimo partito? La tendenza lo confermerebbe.

 

La crisi dei partiti tradizionali e la maggioranza di Macron

 

Era il 31 marzo 2014 quando François Hollande conferiva la carica di Primo Ministro a Manuel Valls che cominciava così un percorso politico animato da due mandati, polemiche e alcune delle peggiori crisi della storia della Repubblica Francese, su tutte il triennio di sangue che ha colpito i transalpini, subordinati al giogo del terrore e dei terroristi, da Parigi a Nizza.

Valls, socialista di ferro, traghettato tra i più dinamici sostenitori di Macron ha totalizzato al primo turno solo il 15,85% di voti tra i francesi espatriati. Oltre al danno anche la beffa di essere uno tra i primi grandi notabili ad essere tagliato fuori dalla contesa elettorale. Con un sentito “Adieu” ha poi salutato Twitter prima di rimuovere definitivamente il suo profilo. Quella di Valls è una sconfitta che sancisce la definitiva discesa nel baratro del Partito Socialista e della sua eredità storica e politica. Inglobato dalla NUPES e incapace di ritagliarsi una propria autonomia sui territori (come i gollisti, che sui territori riescono sempre a mitigare una crisi ormai irreversibile) il Partito della “rosa e del pugno” avrà bisogno di una rifondazione totale.

Tra i grandi delusi del blocco presidenziale molti sono a sorpresa delle file di Ensemble. Il Presidente era stato chiaro, tuonando che una sconfitta alle elezioni legislative avrebbe significato dimissioni immediate dal Governo e così a salutare l’esecutivo saranno Richard Ferrand, Presidente dell’Assemblea legislativa, superato nonostante lo score di 49,13% dagli avversari dell’estrema sinistra, Amélie de Montchalin ( Ministro della Transizione Ecologica), Brigitte Bourguignon (al dicastero della Salute).

Per Macron alle urne si è configurata una vittoria mutilata e insoddisfacente, che rischia di divenire foriera di pressioni e aspre contese, oltre che di instabilità.

Dai Repubblicani, convinti di dover archiviare il prima possibile il periodo nero delle istanze centriste della (sonoramente) sconfitta Pecresse, cominciano ad arrivare i primi, netti dinieghi a forme di alleanze. Tempi duri per Macron, tempi cupi per la Francia.

Alarico Lazzaro

Alarico Lazzaro su Barbadillo.it

Exit mobile version