Formula 1. Che fine ha fatto Lewis Hamilton?

I risultati del campione inglese stanno facendo discutere, la Mercedes costretta a rincorrere

Tra le principali questioni nei dibattiti degli appassionati, in questa prima parte di stagione, sicuramente vi sono le prestazioni di Lewis Hamilton.

Il sette volte campione del Mondo, che lo scorso anno aveva perso il titolo all’ultimo giro del conclusivo Gran Premio di Abu Dhabi, ha iniziato il 2022 intascando un terzo posto in Bahrein, grazie al ritiro di entrambe le Red Bull.

Da allora però, i risultati non sono stati certo invidiabili: escludendo il quarto posto di Melbourne e il quinto in rimonta di Barcellona, nei restanti Gran Premi l’inglese ha portato a casa un decimo, un sesto e un ottavo posto, oltre all’imbarazzante tredicesima piazza di Imola; insomma, numeri alla mano, non c’è di che rallegrarsi.

La situazione è paradossalmente peggiore se paragonata alle prestazioni del giovane compagno di Hamilton, George Russell, alla prima vera stagione in Mercedes, seguita alle tre in Williams: il classe 1998 ha fin ora conquistato due podi, si è qualificato quattro volte su sette davanti al blasonato e più esperto compagno ma più in generale ha convinto per la sua costanza, dando quantomeno l’impressione di poter competere alla guida della F1 W13, una vettura oggettivamente nata male.

La vettura tedesca in effetti, per quanto probabilmente con gli ultimi aggiornamenti si riesca contenere il porpoising, continua ad essere tutto fuorché facile da guidare e portare al limite, a causa delle sue carenze aereodinamiche.

Hamilton però, da parte sua, non sembra farne una catastrofe, si lamenta nei limiti della situazione, non nascondendo le sue difficoltà ma per il resto continua a dare di sé l’immagine del combattente che non vuole arrendersi, tra slogan motivazionali e foto appariscenti sulle proprie reti sociali, in pieno “stile Hamilton”; questa volta però il problema, al netto della forma, sembra essere di sostanza, al contempo quasi “generazionale”.

Per il britannico la strada appare veramente in salita giacché nella Formula 1 contemporanea, contingentata e senza la possibilità dei test in pista, anche solo recuperare pochi decimi può sembrare una impresa ed ecco che una vettura così problematica, pur con le migliorie del caso, difficilmente potrà arrivare a competere stabilmente per le posizioni di vertice; a maggior ragione, se in Mercedes non di rado accade che i dati dei computers e quelli della pista non coincidono.

 La storia e le carriere

A questo punto ci si potrebbe domandare il perché Russell riesca, nonostante tutto, a non sfigurare: la risposta è praticamente impossibile, eppure una ipotesi, anche solo abbozzata, si può fare osservando le rispettive carriere.

Sin dall’esordio alla guida della McLaren nel 2007, campionato perso per un punto, Hamilton è sempre stato abituato a lottare per il vertice, conquistando il suo primo titolo già nel 2008: l’anglo-caraibico comunque ha sempre voluto una vettura precisa, equilibrata, tant’è vero che quando guidava per la squadra di Woking superava non di rado i limiti dell’aggressività (pure in quel 2008), commettendo svarioni grossolani.

Soprattutto però, di quel periodo si ricorda quanto spesso Hamilton arrivasse al bloccaggio delle ruote anteriori in inserimento curva, sintomo non certo di una piena simbiosi col mezzo; va da sé poi che in molte situazioni subentrasse il talento puro, a sbrogliare matasse spesso contorte ma comunque, nonostante sia passato del tempo, quando Hamilton non dispone di una vettura perfetta, tende spesso ad innervosirsi, facendo errori o cadendo nell’anonimato.

Come detto, fatto salvo l’iniziale scorcio della stagione 2009 con la disastrosa MP4-24 (forse l’unica macchina della sua carriera paragonabile alla F1 W13 del 2022) e l’apprendistato alla prima annata in Mercedes nel 2013 (quella con la F1 W4, la quale certamente consumava eccessivamente gli pneumatici posteriori ma almeno in qualifica era abbastanza prestazionale, con otto pole position e tre successi totali), per il resto Hamilton si  è sempre trovato tra le mani il volante di una delle prime macchine del lotto, potendo quantomeno ambire alla vittoria di qualche Gran Premio; per lui, dunque, il 2022 sembra profilarsi come un inedito, un inedito che a trentasette anni, imbottigliato a centro gruppo nelle posizioni mediane, potrebbe presto far venire meno gli  stimoli.

Tra l’altro, per Hamilton quest’anno è arrivata anche una buona dose di sfortuna, sotto forma di neutralizzazioni del Gran Premio, sia a Jeddah che a Melbourne, a sconvolgergli i benefici di uno stint più lungo (nel primo caso) e la prima sosta nel secondo.

Russell, da questo punto di vista, è stato meno bersagliato ma soprattutto a giovargli sono state le tre stagioni di gavetta in Williams, purtroppo nel 2019 e nel 2020 la peggiore delle vetture, mai a punti: proprio per questo, forse, Russell si sta adattando meglio alla sua Mercedes, più incline a valorizzare il materiale a disposizione, specialmente dal punto di vista dell’inserimento in curva.

Tempo di bilanci (?)

Ad ogni modo, trascorse appena sette gare, fare un bilancio è davvero prematuro: dato per perso il 2022, in Mercedes potranno lavorare per il futuro ma a decidere le gerarchie interne, lì i dubbi stanno a zero, sarà soltanto la pista, a cominciare dal prossimo Gran Premio d’Azerbaigian, sul cittadino di Baku.

 

 

Lorenzo Proietti

Lorenzo Proietti su Barbadillo.it

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