Volendo descrivere “Cane sciolto”, il romanzo di Miro Renzaglia uscito di recente con Passaggio al Bosco (167 pagine, 10 euro), è più facile spiegare ciò che non è: non è un’autobiografia, non è un memoir, non è un noir, non è un saggio sugli anni di piombo e non è neppure un libro politico, benché la politica sia presente dalla prima all’ultima pagina. Del resto, chi conosce Miro sa che è lui stesso persona difficilmente inquadrabile, quindi era molto improbabile che lo fosse il suo primo romanzo.
La storia si può riassumere in poche righe: l’anonimo protagonista è un giovane adolescente che cresce negli anni Settanta, assorbe inevitabilmente l’atmosfera violenta e totalizzante di quel periodo e si trova a militare dalla parte sbagliata. Militare è un verbo troppo forte, sarebbe meglio dire bazzicare, frequentare, simpatizzare. Il giovane è infatti un anarchico nichilista, insofferente a qualsivoglia disciplina che non sia la propria personalissima – e a tratti distorta – visione del mondo. È a tutti gli effetti un cane sciolto, persino nella tormentata relazione con una ragazza che non riesce a comprenderlo fino in fondo, ma lo ama lo stesso. Nella grande città (Roma, anche se non viene esplicitato) si spara, circolano troppe armi, una finisce nelle mani del “cane sciolto” e comincia la corsa verso l’abisso. Una corsa rapida intervallata da azioni eccessive, confessioni impietose, partite di scacchi e sentimenti messi a nudo in poesia.
“Cane sciolto” è soprattutto la confessione esistenziale di un personaggio “contro” persino nel proprio ambiente, un tipo che scherza coi santi (irresistibile la presa in giro dell’intoccabile Julius Evola) e non lascia in pace i fanti (litigi e botte con i militanti vagamente ottusi e più realisti del re). Uno che ragiona così: «Ho sempre pensato che, se avessi avuto 20 anni nel 1919, sarei stato fascista della prima ora, frondista negli anni del consenso, che avrei strappato la tessera del Partito alla promulga delle leggi razziali, e che sarei andato volontario nella RSI, rifiutandomi di trarre la conseguenza etica del fatalismo della sconfitta».
L’autore: Miro Renzaglia è nato a Roma. Ha pubblicato Controversi (E.C.D.P, 1988), I rossi e i neri (Settimo Sigillo, 2002), A spese mie (I libri de Il Fondo – GEDI, 2009), Un popolo di debitori (Safarà, 2014), Bitcoin senza fiducia (Castel Negrino, 2018), Residui di Stato (Castel Negrino, 2018), Fabrizio De André, maledetti poeti (Castel Negrino, 2018), La parola a Ezra Pound (Passaggio al bosco, 2020), Vasco Rossi, se più di Nietzsche poté Leopardi (Castel Negrino, 2021). Nel 1990, ha fondato e diretto fino al 1999 la rivista di testi e immagini “Kr 991”. Suoi testi poetici sono presenti in antologie riviste e dvd. Come saggista socio-politico, critico letterario e di costume, ha collaborato a siti web, periodici e quotidiani. Dirige il magazine online “il Fondo” e, per Castel Negrino, la collana editoriale “Pre-Testi”.
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