L’anarchico nero di Miro Renzaglia si perde nei turbolenti anni 70

Il romanzo dell'autore romano non è un'autobiografia ma scandaglia la generazione dell'epoca del terrorismo

Volendo descrivere “Cane sciolto”, il romanzo di Miro Renzaglia uscito di recente con Passaggio al Bosco (167 pagine, 10 euro), è più facile spiegare ciò che non è: non è un’autobiografia, non è un memoir, non è un noir, non è un saggio sugli anni di piombo e non è neppure un libro politico, benché la politica sia presente dalla prima all’ultima pagina. Del resto, chi conosce Miro sa che è lui stesso persona difficilmente inquadrabile, quindi era molto improbabile che lo fosse il suo primo romanzo.

“Cane sciolto” (il sottotitolo “Il nero muove e perde” è ancor più chiaro) è un testo intenso, scritto molto bene e a tratti emozionante, che potrebbe facilmente adattarsi a diventare un’opera teatrale. Ecco, in un’epoca in cui siamo abituati a leggere qualsiasi scritto con gli occhi della civiltà dell’immagine («Questo romanzo potrebbe diventare un film, questi personaggi sono perfetti per una serie televisiva, questa descrizione è cinematografica…»), mi figuro questo romanzo recitato su un palcoscenico: pochissimi interpreti, ambientazioni scarne, molti dialoghi e monologhi.

La storia si può riassumere in poche righe: l’anonimo protagonista è un giovane adolescente che cresce negli anni Settanta, assorbe inevitabilmente l’atmosfera violenta e totalizzante di quel periodo e si trova a militare dalla parte sbagliata. Militare è un verbo troppo forte, sarebbe meglio dire bazzicare, frequentare, simpatizzare. Il giovane è infatti un anarchico nichilista, insofferente a qualsivoglia disciplina che non sia la propria personalissima – e a tratti distorta – visione del mondo. È a tutti gli effetti un cane sciolto, persino nella tormentata relazione con una ragazza che non riesce a comprenderlo fino in fondo, ma lo ama lo stesso. Nella grande città (Roma, anche se non viene esplicitato) si spara, circolano troppe armi, una finisce nelle mani del “cane sciolto” e comincia la corsa verso l’abisso. Una corsa rapida intervallata da azioni eccessive, confessioni impietose, partite di scacchi e sentimenti messi a nudo in poesia.

Sarebbe inutile chiedere a Renzaglia quanto ci sia di autobiografico nel romanzo. Ogni autore rivela un po’ di sé nelle proprie opere, ma solo i più ingenui lo fanno completamente. Gli altri attingono come spugne anche dalle esperienze altrui, perciò penso si possa dire che in “Cane sciolto” c’è qualcosa della vita di Miro, così come di altro dieci, cento o mille ragazzi degli anni Settanta. Caso mai è l’autobiografia generazionale di una certa parte, un po’ come aveva raccontato anni fa Augusto Grandi nel suo “Baci & bastonate”, sia pure con modalità e stile molto diversi.

“Cane sciolto” è soprattutto la confessione esistenziale di un personaggio “contro” persino nel proprio ambiente, un tipo che scherza coi santi (irresistibile la presa in giro dell’intoccabile Julius Evola) e non lascia in pace i fanti (litigi e botte con i militanti vagamente ottusi e più realisti del re). Uno che ragiona così: «Ho sempre pensato che, se avessi avuto 20 anni nel 1919, sarei stato fascista della prima ora, frondista negli anni del consenso, che avrei strappato la tessera del Partito alla promulga delle leggi razziali, e che sarei andato volontario nella RSI, rifiutandomi di trarre la conseguenza etica del fatalismo della sconfitta».

Un bastian contrario refrattario agli ordini e alla disciplina, che però subisce il fascino dell’azione, del coraggio, della militanza in piazza: «Vai alla tua prima manifestazione e ti scordi chi sei, dove abiti e perfino come ti chiami. Stai lì, in mezzo, e non canti canzoni, non ritmi slogan: tu sei canzone e slogan. Sei lo striscione; sei il manico di piccone con una bandierina italica di sei centimetri quadrati appesa in punta; sei il sasso tirato contro la vetrina di una banca; sei la sirena della polizia e il lacrimogeno; sei la molotov che parte incendiaria; sei le cariche dei celerini, il fuggi-fuggi che si ricompatta due vie più in là e parte di nuovo alla carica; sei il camerata che si asciuga il sangue dalla fronte, seduto sullo scalino del marciapiede; sei il gomito a gomito del “serriamo i ranghi”; sei la ritirata tra i vicoli incerti del tuo “ben fatto”…». Gente che nei turbolenti anni Settanta, quindi, non poteva che schierarsi dalla parte dei vinti della Storia.

L’autore: Miro Renzaglia è nato a Roma. Ha pubblicato Controversi (E.C.D.P, 1988), I rossi e i neri (Settimo Sigillo, 2002), A spese mie (I libri de Il Fondo – GEDI, 2009), Un popolo di debitori (Safarà, 2014), Bitcoin senza fiducia (Castel Negrino, 2018), Residui di Stato (Castel Negrino, 2018), Fabrizio De André, maledetti poeti (Castel Negrino, 2018), La parola a Ezra Pound (Passaggio al bosco, 2020), Vasco Rossi, se più di Nietzsche poté Leopardi (Castel Negrino, 2021). Nel 1990, ha fondato e diretto fino al 1999 la rivista di testi e immagini “Kr 991”. Suoi testi poetici sono presenti in antologie riviste e dvd. Come saggista socio-politico, critico letterario e di costume, ha collaborato a siti web, periodici e quotidiani. Dirige il magazine online “il Fondo” e, per Castel Negrino, la collana editoriale “Pre-Testi”.
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Giorgio Ballario

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