La crisi di Suez, il Msi e la seduzione del patriottismo di Nasser

“La crisi di Suez e la destra nazionale italiana” è il saggio di Matteo Luca Andriola con prefazione di Franco Cardini

Nasser in copertina sul Time

Le vicende del Movimento Sociale Italiano conobbero nel 1956 uno snodo importante, analizzato da Matteo Luca Andriola nella monografia “La crisi di Suez e la destra nazionale italiana”, pubblicata nel 2020 dalla casa editrice fiorentina goWare.

Un “vissuto men che adolescenziale di ammirazione per Nasser”, la militanza di partito e la passione autentica per la “vera” patria europea (sfociata in seguito nell’adesione al movimento comunitarista Jeune Europe), vengono rievocati da Franco Cardini nella prefazione insieme alle prevaricazioni e alle violenze perpetrate dalle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale.

Sparsi in periodi di tempo distinti, alcuni elementi della narrazione – Mussolini che brandisce la spada dell’Islam ed intrattiene buoni rapporti con l’Unione dei sionisti revisionisti di Jabotinsky, le motivazioni del fascino in parte esercitato dalla civiltà musulmana su Hitler – si collocano in modo non sempre lineare in un contesto che evidenzia l’importanza strategica dell’Egitto per le forze dell’Asse.

E’ un filo sottile all’interno del quale si dipana il successivo “flirt” di una componente dell’esecutivo di Nasser e degli Ufficiali liberi con i nazisti rifugiatisi nel paese dopo il 1945 fino all’attribuzione dell’incarico di dirigere la propaganda di Stato antiebraica a Johann Von Leers, ex gerarca convertito all’Islam. 

La nazionalizzazione della Società internazionale del canale di Suez – che colse di sorpresa Francia e Inghilterra, detentrici del pacchetto azionario di maggioranza della Compagnia incaricata della gestione del transito delle merci – è interpretabile come uno sgarbo alle potenze che cambiarono idea sulla volontà di finanziare il progetto della costruzione della diga di Assuan e che accusarono a propria volta l’interlocutore (non senza fondamento) di cercare aiuti economici, tecnici e forniture d’armi dall’URSS. 

Per quanto riguarda il caso italiano un dibattito interessante avvenne all’interno del MSI, della stampa e delle riviste più o meno schierate al suo fianco e delle formazioni della destra extra-parlamentare: una galassia – spesso dipinta come monolitica, in realtà estremamente eterogenea – che privilegiò, secondo il punto di vista di Andriola, un approccio alla questione ancorato ad una concezione prebellica delle relazioni internazionali.

Il sostegno alla causa di un paese emergente come l’Egitto è rintracciabile nelle corrispondenze redatte per il “Secolo d’Italia” e per il “Meridiano d’Italia” da Franz Maria D’Asaro, che descrisse il fenomeno del nasserismo evidenziando il carattere patriottico delle manifestazioni dei giovani e dei militari – ma radicato anche negli uffici governativi, nelle banche e nei bazar – e soffermandosi sul fatto che il partito comunista locale era stato messo al bando.

“La crisi di Suez e la destra nazionale italiana” di Andriola

L’atteggiamento paternalistico dei nemici costrinse il regime – una complessa forma di socialismo che teneva insieme nazionalismo panarabo, retorica antibritannica, provvedimenti sociali che secondo la stampa missina riecheggiavano quelli del ventennio, forte carica rigenerativa della fede islamica – ad accettare l’amicizia di Mosca. Quest’ultimo dato allarmò il Centro studi Ordine nuovo, peraltro fiero oppositore degli Stati Uniti (potenza manovrata da occulte lobby ebraiche) e sostenitore del terzaforzista Nasser – i cui intenti erano diventati chiari dopo i lavori della Conferenza di Bandung, atto di nascita del blocco dei paesi non allineati – quale guida per la riscossa dei paesi arabi contro le “demoplutocrazie”.  

Due telegrammi pubblicati dal mensile “Ordine Nuovo” ed indirizzati alle ambasciate britannica ed egiziana dalla Federazione Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale Italiana indicano che quel gruppo extra-parlamentare seguì uno spartito simile – “Corrispondenza Repubblicana”, il suo organo ufficiale, lodò il panarabismo nasseriano come unione di paesi di ugual lingua, razza e religione – al pari del gruppo dell’”Orologio”, filoarabo e sostenitore delle lotte antimperialiste della Cina maoista, dei vietcong e dei palestinesi.

Si attestarono invece su posizioni opposte i settimanali “Il Nazionale” – che attraverso la penna di Ezio Maria Gray segnalò il pericolo di un risveglio della spiritualità islamica, foriera di fanatismo religioso e di spirito di conquista – e “Il Borghese”, critico verso la prudente linea diplomatica statunitense e verso i sostenitori italiani del governo del rais, “rei” di difendere in realtà gli accordi da esso stipulati con l’ENI. 

Chi individuò il reale motivo della contesa nell’ambito energetico denunciando l’impotenza degli organismi internazionali e la passività italiana fu l’ex ambasciatore Filippo Anfuso, legato ad una visione geopolitica che, partendo dall’idea di Europa-Nazione federata su un modello sociale di tipo corporativo, opponeva alla concezione bipolare del mondo quella dell’Eurafrica, in base alla quale l’Italia avrebbe dovuto ritagliarsi un ruolo centrale nel Mediterraneo.

A livello internazionale i tentativi di risolvere la crisi si tradussero nell’istituzione del Comitato dei Cinque. La mancata partecipazione italiana attirò le critiche del MSI: temendo cedimenti verso Tito (che non aveva esitato anni addietro a beneficiare dell’aiuto inglese per l’Istria, mostrandosi filosovietico per la questione di Suez), ci si domandò quale fosse la necessità per il governo di schierarsi a favore di atteggiamenti bellicisti senza essere consultato.

Il “Secolo d’Italia” paragonò la politica delle contromisure del Foreign Office contro l’Egitto (miranti a costituire un’Associazione degli utenti con il personale della vecchia Compagnia) a quella delle sanzioni contro l’Italia fascista dopo la campagna abissina, non nascondendo rancore verso la Francia; Edgardo Beltrametti si soffermò, invece, sul rifiuto statunitense di comporre la vertenza tramite la NATO, non avvedendosi del fatto che la strategia di Washington era finalizzata – secondo l’autore – a tenere i paesi coinvolti nel processo di decolonizzazione lontani dal blocco socialista.

L’escalation militare – scontri al confine tra Israele e Giordania, attacco israeliano nella penisola del Sinai con il sostegno di Parigi e Londra, interessate ad imporre il loro status quo sul Canale – determinò una situazione di stallo, favorita dal parallelo impegno di Mosca nella dura repressione della rivolta ungherese e dall’apparente distrazione degli USA per le elezioni presidenziali.

Se questi ultimi fecero in realtà valere il proprio peso rifiutandosi di concedere forniture petrolifere di emergenza ai paesi europei durante il blocco del transito, l’ex diplomatico Alberto Mellini Ponce de Leon osservò che il gesto di Nasser di revocare una concessione in violazione di un contratto con privati (la concessione sarebbe scaduta nel 1968) costituiva dal punto di vista teorico un ostacolo risolvibile tramite una deliberazione arbitrale.

“Il Popolo italiano” si schierò contro l’imperialismo britannico, pubblicando foto che ritraevano donne egiziane in divisa militare e in armi contro l’invasore; massicci bombardamenti colpirono infatti alcune città causando molte vittime civili, dopo la decisione del governo del Cairo di non concedere lo sbarco agli inglesi e ai francesi. 

La crisi si ricompose a seguito delle minacce di rappresaglia dell’URSS, delle richieste degli USA di ritiro “senza condizioni” e di sgombero dell’area del Canale, definite attraverso l’intermediazione dei caschi blu dell’ONU: “l’inaspettata lezione impartitaci come un esemplare gioco delle parti da statunitensi e sovietici…l’implicita e logica alleanza che marciava sulla via della spartizione del mondo in due aree di influenza” – rammenta Cardini – pose fine alle velleità degli ormai ex Imperi coloniali di competere alla pari con le due superpotenze. 

Andriola sostiene che il partito della Fiamma cambiò progressivamente paradigma di fronte al sempre più aggressivo espansionismo di Mosca in Medio Oriente e ritirò il sostegno a Nasser in reazione allo shock della sua presunta svolta filo-sovietica, al punto da individuare nella crisi di Suez uno “spartiacque” capace di modificare alla radice le idee della maggior parte dei missini, che rafforzarono nel corso degli anni sessanta un’identità filo-atlantica ed iniziarono a considerare Israele alla stregua di un’“enclave europea e occidentale” nell’area.

E’ una conclusione – a modesto parere di chi scrive – poco convincente e non pienamente corrispondente alla realtà, tanto è vero che lo stesso autore è costretto a circoscriverla, ammettendo il peso di numerose e significative eccezioni. 

Andrea Scarano

Andrea Scarano su Barbadillo.it

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