Il commento (di F.Cardini). La crisi Ue-Bielorussia e le conseguenze per l’Italia

La riflessione dello storico fiorentino sui contesti di instabilità che riguardano i confini dell'Europa

I confini della Bielorussia

Che il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko non sia esattamente un fior di gentiluomo è piuttosto probabile: per quanto non si capisce perché lo si possa tranquillamente definire un “despota”, sostantivo che non è mai usato nei nostri media nei confronti di figuri quali il brasiliano Bolsonaro o certi capi di stato africani o latinoamericani, trattati con un riguardo che non meritano in quanto sicuramente dalla parte “giusta” nell’affrontamento mondiale configurante quella che ormai si potrebbe definire una nuova “guerra fredda”.
Parte “giusta” che è quella egemonizzata dagli USA e dalle sue forze armate d’occupazione intercontinentale, lo schieramento NATO, che ormai tiene direttamente o indirettamente sotto tiro larghe aree del globo terraqueo dall’Atlantico al Mediterraneo al Vicino Oriente ai Balcani all’Europa orientale al mondo caucasico all’Asia centromeridinonale e l’ombra del quale, irta di testate missilistiche, circonda Mosca e minaccia perfino il Pacifico. Eppure i nostri media e i nostri politici a livello di Unione Europea si lamentano se la Bielorussia – oggetto di molteplici sanzioni da parte nostra – “ci minaccia” con lo spauracchio dei migranti che per il momento sta ospitando e con la prospettiva di chiudere il gasdotto russo che attraversa il suo territorio e che costituisce una risorsa energetica essenziale per l’Europa: e proprio non si capisce, anche alla luce di ciò, perché essa dovrebbe correre il rischio di vedersi sospendere forniture essenziali per la sua vita quotidiana pur di restar fedele a una serie di ukase statunitensi diametralmente opposti ai suoi interessi.
Da noi, qualcuno arriva a sostenere perfino che la Russia dovrebb’essere soggetta a ulteriori sanzioni – la ritorsione alle quali sarebbe fra l’altro l’erogazione del suo gas diretto in Europa – per aver “invaso” la Crimea: dimenticando che quella “invasione” di un’area densamente popolata da russi fa parte della legittima difesa del Cremlino contro il brigantaggio ucraino, come dopo il 2008 la tutela dell’indipendenza osseto-meridionale da parte di Mosca fu la necessaria e sacrosanta replica al brigantaggio georgiano.
Ma gli USA intendono palesemente estendere la rete del loro controllo politico-militare, che eufemisticamente definiscono “alleanza NATO”, anche all’Ucraina. In tal modo qualunque eventuale azione militare russa in risposta all’avventuristica politica di Kiev sarebbe un casus belli in grado di coinvolgerci. È disposta l’Italia, irta di basi NATO dal Veneto alla Sicilia, a subire le conseguenze di un contraccolpo d’un’aggressione alla Russia in area baltica o caucasica?

Franco Cardini

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