“Destra/sinistra. Storia di una dicotomia” vista dal filosofo Marcel Gauchet

Un libro per capire se ha ancora senso parlare delle vecchie categorie e indagare sull’evoluzione della diade del dibattito politico. Il volume ha l'introduzione di Marco Tarchi, edito da Diana

Destra e sinistra, una dicotomia contestata e ricorrente. L’antica diade ci costringe a domande sempre nuove. E proprio quando pare dileguarsi, quando sembra che la sua utilizzazione possa essere seppellita e superata, insieme a infinite dispute intellettuali e congetture di ogni sorta, allora essa riaffiora come un fiume carsico nel grande circuito delle opinioni e degli schieramenti pubblici. Magari con un habitus diverso, forse riciclata sotto forma di rivestiture più appetibili. Però riaffiora, continua ad aleggiare. Serpeggia nelle vocazioni e nelle inclinazioni che animano i meccanismi di rappresentanza delle civiltà odierne.

Difatti, la dicotomia che ha orientato le scelte e le traiettorie politiche dal XIX secolo in poi, dalla Rivoluzione e dalla Restaurazione in Francia sino all’epoca dei totalitarismi e alle successive democrazie liberali, si presenta oggi manifestamente indebolita eppure in grado – per certi aspetti – di offrire ai cittadini la possibilità di proiettarsi su un determinato fronte ideologico anche senza aderire ad un altrettanto determinato indirizzo partitico.

E dunque diviene inevitabile chiedersi se il richiamato spartiacque davvero conservi nella contemporaneità una sua solida validità; se riuscirà effettivamente a perpetuare la capacità di tracciare la ripartizione delle svariate tendenze politiche e il modo in cui i soggetti decidono di raffigurarsi nel magma incandescente dell’agone pubblico.

Sono questi gli interrogativi cui tenta di dare risposta il saggio “Destra/sinistra. Storia di una dicotomia” di Marcel Gauchet, edito nel 1992 e di recente riproposto da Diana Edizioni con una postfazione dello stesso autore e l’introduzione del professor Marco Tarchi.

Una dicotomia “versatile”

Destra/Sinistra di Marcel Gauchet

Partiamo da un presupposto focale. Che, secondo le coordinate segnate da Gauchet, in larga parte ha permesso alla diade di sedimentarsi nel gergo e nei codici della politica, acquisendo una maggiore o minore vigoria in base alle tappe evolutive tramite cui ha trovato consolidamento.

La forza della contrapposizione, riferisce il politologo francese, è la sua debolezza. Ovvero l’inconsistenza, l’elasticità delle etichette che la pongono in essere: “Presa alla lettera”, dichiara, “non vuole dire niente, è vuota, poiché si accontenta di situare delle opzioni concrete in uno spazio astratto”. L’emersione della variante delle estreme, del resto, deve essere ricondotta a ciò. È stata la medesima malleabilità ad aver lasciato terreno alle venature radicali delle aree di riferimento. Ed è stata la medesima malleabilità – bisogna sottolinearlo – ad aver progressivamente concesso alla coppia di abbracciare e assimilare gli assetti che via via hanno caratterizzato il dibattito politico.

L’indeterminatezza delle concezioni di destra e sinistra, che spesso legittima la fabbricazione (sgangherata) di coalizioni prive di qualsiasi afflato giustificativo, è coincisa con il bersaglio contro cui la “destra estrema” e la “sinistra estrema” hanno avuto modo di sfogare la loro intransigenza: e proprio tali dissonanze, esito degli incessanti rimandi ai totem della “vera destra” e della “vera sinistra” e delle correlate offensive scagliate in direzione della “falsa destra” e della “falsa sinistra”, sono state l’ingrediente che ha consentito alle menzionate categorie di ritrovare nella vaghezza dei termini in gioco l’opportunità di fissare identità forti – le loro.

Di qui, un’asserzione fondamentale dell’intera speculazione. Si parla di destra e di sinistra perché ci sono più destre e più sinistre. E ci sono più destre e più sinistre perché la diade, evidentemente, presuppone l’apertura ad acrobazie intellettuali molteplici. “Se in Francia ci fossero stati soltanto due partiti, o due correnti principali”, si legge tra le pagine dell’opera, “senza dubbio non ci sarebbero state, sul piano lessicale, destra e sinistra. Esse prevalgono verbalmente perché ci sono di fatto delle destre e delle sinistre […] E più c’è una reale pluralità delle sinistre (e delle destre), più c’è bisogno, idealmente, della sinistra e della destra”. Unificando in superficie le frizioni che attraversano sia l’uno sia l’altro polo, l’elasticità dei due indicatori dunque risulta proficua allo scopo di decifrare e catalogare le inclinazioni espresse dai numerosi raggruppamenti che regolano lo scacchiere politico. Decisamente, questa flessibilità aiuta a delucidare il motivo per cui la coppia abbia avuto tanta fortuna.

Il ruolo del “centro”

Marcel Gauchet

Insomma, destra e sinistra sono famiglie concettuali capaci di introiettare elementi costitutivi piuttosto eterogenei. Partendo dalle tre dottrine le quali dominano alla radice lo scenario ideologico delle democrazie e la vita delle aule di rappresentanza – socialismo, liberalismo, conservatorismo –, considerate le varie opzioni partitiche che dalle stesse dottrine si articolano e la problematica di restringere un simile pluralismo entro la costrizione dualistica del principio di maggioranza, Gauchet rileva infatti che la coppia “opera una gradita semplificazione di una situazione che nel fondo è fatalmente imbrogliata; semplificazione che giustifica per converso la critica della sua arbitrarietà o artificiosità”. In quanto è assodato che non possano esistere una destra e una sinistra incontaminate, euritmiche. Sicché, le destre “sono sempre coalizioni dichiarate o inconfessate di conservatori e liberali”, mentre le sinistre “sono sempre alleanze esplicite o implicite di liberali e socialisti”.

Queste riflessioni chiarificano la funzione tradizionale di un fattore nevralgico, il “centro”. Il perno che si rivela decisivo nella corsa alla supremazia e che invero condiziona le sorti della partita: in un impianto a logica binaria, dove il sistema di governo è inevitabilmente scisso tra chi detiene il potere e chi vi si oppone, il centro è il dato determinante che stabilisce verso quale dei due schieramenti debba tendere il pendolo.

Il centro diviene altresì il tassello necessario per individuare e comprendere le sensibilità interne alle forze che compaiono nell’arena. Esso influenza i flussi e le correnti che scuotono le rispettive aree politiche. D’altronde, “perché vi siano una destra e una sinistra, occorre che ci sia almeno un terzo termine, il centro. Ma se c’è un centro, è perché ciascuno dei partiti laterali è in preda a tendenze radicali che fanno sì che ci siano almeno due destre, una destra destra e una destra estrema, e analogamente due sinistre. Inoltre l’attrazione dei poli suddivide la forza di mezzo tra un centrodestra e un centrosinistra”. “La divisione degli animi, nella misura in cui rende problematico il governo di ciascuno dei campi in alternanza”, prosegue Gauchet, “si risolve sul piano della politica pratica in un tripartitismo a sua volta virtualmente diviso in ogni sua parte”. L’impalcatura che, per l’autore, ha dato licenza alla destra e alla sinistra di imporsi come direttrici principali.

Nuovi parametri e vecchie categorie

Tuttavia, malgrado la pervasività della coppia, non è un mistero che nella realtà attuale la sua valenza appaia attenuata, annebbiata. Sono entrati in azione fenomeni politici e sociali supplementari. “Un numero importante di elettori”, constata il filosofo, “dichiara superato lo spartiacque e si rifiuta di orientare il proprio voto in funzione di esso”. Una percezione diffusa, e non per qualche inintelligibile accidentalità.

Fuor di dubbio, gli stravolgimenti epocali presentatisi a partire dalla fine del Novecento hanno provocato un palese affievolimento delle linee di divisione di cui il secolo scorso si è permeato. Linee di divisione che il nostro tempo induce a ricollocare su posizionamenti maggiormente coerenti alle nuove istanze e ai nuovi contesti. L’accoglimento totale del pluralismo derivante dalla cementazione delle odierne democrazie con la conseguenziale mitigazione dell’antagonismo politico, l’irruzione disastrosa della globalizzazione atomizzante e l’espansione incontrollata della società di mercato hanno infatti sconvolto i canoni ai quali la dicotomia si era adeguata per un lungo frangente storico.

La destra non meno della sinistra ha risentito di suddette mutazioni. Da un lato, nella sua conversione al liberismo, escludendo e marginalizzando quelle sacche intransigenti affezionate al modello economico collettivista, la sinistra ha deciso di abbandonare la causa della classe operaia per sposare i desiderata del capitalismo apolide. Dall’altro, la destra in egual maniera è andata incontro a impulsi centrifughi generati dalla discrepanza crescente instauratasi tra l’ala liberale e l’ala conservatrice: al contrario di quest’ultima, ancorata ai postulati di ordine e autorità in disaccordo coi tracimanti appetiti edonistici, la prima si è trovata e si trova a suo agio nelle cornici del produttivismo consumistico. Ne risulta un quadro estremamente confuso, in cui a poco a poco evaporano le vecchie definizioni.

In quest’ottica, ad agitare ulteriormente le acque sono stati i movimenti populisti ed ecologisti che negli anni hanno amplificato la propria carica attrattiva. Il populismo, sviluppatosi sull’onda del credo nazionalista, ha in seguito spostato la sua trama sulla corsia del sovranismo sociale per provare ad intercettare gli estesi malumori popolari. A tale versione di populismo se n’è poi opposta un’altra, nata a sinistra, che squalifica “l’aspetto autoritario e xenofobo del populismo scaturito dall’estrema destra”. In ambedue i casi però, alla tipica dicotomia destra/sinistra è stata preferita la contrapposizione tra il popolo patriota e le élites mondializzate.

L’humus ideologico delle forze che si rifanno al disegno ecologista, invece, afferma il politologo, si divide soprattutto “fra gli eredi dell’estrema sinistra originale, che associano la causa ad una visione libertaria radicale della società, e gli emancipati dal vecchio spartiacque, pronti a servire da ago della bilancia nel quadro di coalizioni sia con la destra che con la sinistra, data la scarsa portata di questa divisione rispetto alla questione principale in gioco”.

In sostanza, sfruttando le carenze strutturali dei gruppi politici predominanti, i quali spesso finiscono per ripetere programmi identici e quindi per rinverdire la tesi di quelle frange che perentoriamente rifiutano una dicotomia ai loro occhi esistente soltanto nelle aule istituzionali, il populismo e l’ecologismo si sono insinuati nel malcontento generalizzato con il risultato di aver contribuito energicamente allo screditamento della diade.

Il futuro della destra e della sinistra

Ciononostante, dice Gauchet, la diade resiste. Non è stata archiviata, non si è del tutto sciolta nella liquidità del mondo postmoderno. La contrapposizione tra destra e sinistra, “malgrado i molteplici fattori che le contendono la priorità la contestano o la diluiscono, conserva un ruolo organizzatore nel campo della competizione politica e della definizione delle identità partitiche”.

D’altro canto, nota il pensatore francese, al di là dei tentativi dei movimenti populisti di smarcarsi dal perimetro della dicotomia, esistono un populismo pervaso dai valori tradizionalmente associati alla destra e un populismo che, per converso, affonda il proprio albero genealogico nell’eredità culturale della sinistra. E lo stesso può dirsi dell’ecologismo, dove l’ecologia di sinistra a matrice anticapitalista si distingue da un’ecologia di destra, improntata alla volontà di ridefinire la società industriale nel solco e nelle prospettive di uno sviluppo sostenibile.

“La contraddizione persiste”, ribadisce l’autore, persiste e “colora invincibilmente, anche se sotterraneamente, le nuove linee di frattura”.

Una tale persistenza si riannoda a una peculiarità cardinale della coppia. Perché la versatilità e la tensione semplificatrice – che comunque sono dei pregi essenziali – non bastano a spiegare l’origine della sua universalizzazione. Nella propagazione della diade va indagato un bisogno di immedesimazione intrinseco alle società. Esso fa riferimento alla qualità della destra e della sinistra di “dare un ancoraggio corporeo alla dicotomia”. La coppia “potrebbe dovere la sua solidità proprio al ponte invisibile che getta fra l’individuo e la sua comunità politica, ponte attraverso il quale si perpetua l’identificazione ad essa, al di là della separazione degli esseri e della dissociazione degli elementi della società”.

In conclusione, a parere di chi scrive, si può sostenere che la contrapposizione tra destra e sinistra, tra questi archetipi mentali utili per orientarci nella comprensione e nell’interpretazione dei fenomeni, sia probabilmente destinata a sopravvivere. Certo, ha ridotto la sua portata, si è trasformata. Ma non smetterà di orchestrare la differenziazione dei nuovi accadimenti politici. Continuerà dunque a trasformarsi. A reinventare il suo significato, a rimescolare le carte, adattando i propri metodi di classificazione alle contingenze che il decorrere del tempo riserva.

Come hanno fatto sino ad adesso, lungi dall’essere entità cristallizzate e immobili, i due involucri della diade fagociteranno accezioni diverse a seconda delle future congiunture storiche. E noi, ancora, ne udiremo l’eco.

@barbadilloit

 

Domenico Pistilli

Domenico Pistilli su Barbadillo.it

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