F1. La grandezza di Verstappen e le incertezze Mercedes

La Ferrari si gode la costanza di Leclerc: tempo di bilanci per le scuderie dopo il gp in America

Il gioco delle tattiche, la freddezza di Max

La Pirelli, come sempre, nelle sue analisi “suggerisce” (il fornitore metteva a disposizione delle squadre le tipologie C2, C3, C4) le linee guida, generali, sulle diverse possibilità di scelta.

Nella tattica a due soste con partenza sulle medie, sia che poi si fossero montati due treni di dure (M/H/H), come hanno fatto Verstappen e Hamilton, sia uno di dure per poi finire con le medie (M/H/M) la finestra per il primo cambio veniva indicata, rispettivamente, tra il giro 12 e il 17 o tra il 15 e il 20.

Addirittura, nel caso del doppio treno di Hard, il secondo stop era inquadrato tra il giro 32 e il 37.

Per quanto ovviamente queste restassero delle proiezioni indicative, è comunque molto interessante notare come le fermate di Verstappen siano arrivate (al termine del giro in questione) al decimo e al ventinovesimo, con l’undercut riuscito nel primo caso su Hamilton, grazie alla prima sosta piuttosto anticipata.

L’alfiere Mercedes ha invece cambiato al 13 e al 37: sicuramente il tempismo non deve esser stato dei migliori, se si considera che Hamilton, transitato davanti a tutti dopo il via, si era ritrovato dietro Verstappen (ultimato il primo round di cambi gomme), con un distacco di oltre sei secondi dal capofila.

Forse, anche nel secondo round di soste, anticipare di un paio di tornate quel cambio avrebbe potuto dare migliori benefici.

Ad ogni modo, Verstappen non ha mai dato la benché minima sensazione di poter cedere, ottimamente supportato dalla sua vettura e dalla sua squadra: la Red Bull è sempre stata in controllo totale sin dai primissimi giri, quando si trattava di rincorrere, come pure nelle fasi più delicate.

 

 

Se poi alla superiorità complessiva degli anglo-austriaci si contrappongono le imperfezioni della Mercedes, condizionate dalla mancata volontà di rischiare per recuperare da una situazione di inferiorità, ben si capisce come la vittoria, più che una chimera, aveva assunto i connotati dell’impresa disperata: e si noti bene, ivi si rimarca il ruolo della Mercedes, perché Hamilton, in questa occasione, non può rimproverarsi alcunché; piuttosto, a mancare, al netto della tattica, è stata proprio la prestazione della vettura, in termini di velocità, complice anche le temperature elevate della domenica.

L’inglese c’ha messo tanto del suo, è stato autore di una partenza bruciante con cui di forza si era preso la testa alla prima staccata e ha corso lo stint finale tutto all’attacco, facendo segnare una lunga serie di tempi molto veloci, salvo la sua rincorsa plafonarsi, una volta arrivato alla soglia del 1” rispetto al grande rivale olandese.

Per altro, va ribadito, che anche qualora l’aggancio si fosse effettivamente verificato, l’eventuale e affatto scontata manovra di sorpasso, sarebbe stata tutta da inventare.

 

Ferrari vs. McLaren: continua la lotta per il terzo posto

Alle spalle di Red Bull e Mercedes, prosegue la lotta per la terza piazza nei costruttori.

 

La McLaren non è più quella di inizio anno, men che meno quella visto fino a Soci: ad Austin, persino Leclerc, 4°, per le vetture inglese è apparso irraggiungibile.

Il monegasco in Texas ha guidato da impeccabile passista, correndo sempre in quarta posizione, senza sbavature e massimizzando il risultato finale, dal momento che il terzo posto di Perez appariva oggettivamente inattaccabile.

Tra l’altro, tornando alla squadra di Woking, in questa occasione Ricciardo è apparso decisamente più in palla del compagno Norris, arrivando quinto sotto la bandiera a scacchi, dopo esser stato a lungo ai ferri corti con Carlos Sainz: lo spagnolo della Ferrari, in difficoltà nelle prime tornate con le Soft che non riuscivano a lavorare nella finestra di temperatura ideale, doveva erroneamente lasciar passare l’ex pilota della Renault, scambiandolo per il suo compagno di squadra Norris, ritenendolo necessario per evitare una penalità, in seguito al superamento dei limiti della pista alla curva 12 (in occasione della bagarre tra lo stesso Sainz, Ricciardo e Norris in occasione del primo giro).

Un vera beffa, in quanto il pilota da cui Sainz si sarebbe dovuto far scavalcare (appunto, per non incorrere nella penalizzazione) era invece Norris, per cui dopo un conciliabolo con i commissari, lo spagnolo doveva lasciar andare l’inglese, impegnarsi per sorpassarlo nuovamente e, solo a quel punto, rilanciarsi a capofitto nella rincorsa a Ricciardo.

Da quel momento, nonostante un ritmo di gara sulla distanza migliore del diretto avversario, un secondo pit stop più lento (di ben 5”6) e l’incontro ravvicinato del giro 42, con conseguente danno al baffo anteriore destro, gli costavano alla fine non soltanto la possibilità di arrivare quinto ma persino la posizione su Bottas.

 

Al di là del piazzamento in sé, il settimo posto di Sainz, soprattutto nella misura in cui lo si rapporti alla solida gara di Leclerc, nella cornice della prestazione globale, è indice che il nuovo motore rappresenta un miglioramento tangibile, oltreché del fatto che a Maranello sono stati fatti importanti passi in avanti, in un fine settimana texano eufemisticamente non certo freddo, nella gestione degli pneumatici (la memoria recente, in tal senso, va sempre alle debacle di Portimao e Paul Ricard).

Di questi tempi, insomma, facendo sempre tutti i distinguo del caso, poter portare costantemente due vetture a punti, senza grandi patemi d’animo e senza dover ricorrere a tattiche fantasiose, può esser considerato un risultato ottimale, sia per la classifica che per il morale.

Lorenzo Proietti

Lorenzo Proietti su Barbadillo.it

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