Perché il centrodestra ha voluto perdere a Roma e nelle grandi città?

Giuseppe Del Ninno: "Con questi risultati elettorali i cittadini che non si riconoscono progressisti attendono risposte"

Campidoglio, Roma

Avrei voluto astenermi dal commentare i risultati delle recenti elezioni amministrative e, più in generale, dall’occuparmi di politica (ma la mia astensione non si è estesa al voto…); tuttavia, questi risultati pongono ogni cittadino responsabile che non si riconosca nello schieramento progressista di fronte a domande in attesa di risposta.

 

Tutti sapevamo che queste consultazioni si sarebbero risolte in una solenne bocciatura del centrodestra (e più d’uno l’ha anche scritto). Le cause sono congiunturali e strutturali. Fra le prime, in estrema sintesi e non in ordine d’importanza: la campagna scandalistica e denigratoria lanciata dai media, notoriamente orientati nella stragrande maggioranza per il centrosinistra; il ritardo nella scelta dei candidati, rivelatore di un esiziale disaccordo fra gli alleati e per di più orientata su personalità della società civile di basso profilo; lo scriteriato sostegno al minoritario popolo dei “no vax” e “no green pass” e, in generale, la sostanziale incomprensione dei mutamenti intervenuti nella società civile dopo la pandemia; le persistenti difficoltà nell’elaborare un programma comune; la persistente carenza di personale politico ed amministrativo di livello, con poche eccezioni che riguardano, in positivo, soprattutto la Lega (fra l’altro, decisamente più radicata sul territorio rispetto a Fratelli d’Italia, mentre le rare isole di consenso su cui può contare Forza Italia appaiono essenzialmente di natura clientelare).

 

Quanto alle cause strutturali, in primo piano si profilano le problematiche compatibilità storiche, culturali e di sensibilità che la coalizione si trascina fin dalla nascita della “seconda repubblica” e che vengono dissimulate soltanto nei luoghi e nei momenti in cui, vinte le elezioni, si gestisce un poco di potere. Tuttavia, un peso non secondario, tra le carenze strutturali in particolare della “destra”, rappresentata da Fratelli d’Italia, è quello che si riferisce alla continuità dell’identità valoriale. In brutale sintesi: ai rapporti con il Fascismo. Evidentemente, la strada imboccata a Fiuggi decenni orsono non ha suscitato e mantenuto vive passioni e sensibilità che animavano il “vecchio” MSI ben aldilà della pura e semplice nostalgia (basti pensare al motto almirantiano “né restaurare né rinnegare”, espressione di una saggezza che non ha trovato seguaci intelligenti e fedeli).

 

Giorgio Almirante, segretario nazionale del Msi

Questa eredità nemmeno accettata con beneficio d’inventario, ma che a volte si dà l’impressione di rifiutare sic et simpliciter e altre volte riaffiora in frange di elettori e simpatizzanti in modi grossolani e non condivisibili, finisce con l’azzoppare sul più bello politici ed esponenti della cultura e della società civile riferibili a Fratelli d’Italia: le vicende che hanno preceduto le ultime elezioni, fino alla manifestazione di piazza contro il fascismo (?) nel giorno del silenzio elettorale ne costituiscono l’ennesima riprova.

 

Qui si tratterebbe di studiare, enucleando i valori atemporali di quel fenomeno storico (sì, il “fascismo eterno”, ma non come l’intendeva Umberto Eco) e distinguendoli dalle contingenze di quella fase storica. Questo peraltro è lo spirito di ogni tradizione rettamente intesa: tramandare un messaggio atemporale, adattandolo ai tempi che si vivono. E’ chiaro, ad esempio, che non avrebbero senso oggi le leggi razziali – e gli atteggiamenti conseguenti – e che sarebbe improponibile un Partito Unico; mentre sarebbe auspicabile una revisione della democrazia rappresentativa così come è organizzata oggi: le sue crepe, del resto, sono apparse evidenti proprio sull’onda del dilagante astensionismo. Così, molte energie andrebbero spese in campagne di pressione per riforme costituzionali non più rinviabili, in sintonia con le esigenze dei tempi (in primis, l’elezione diretta del Presidente della Repubblica).

 

Lo stesso patriottismo andrebbe rivisto e collegato al contesto internazionale ed alla geopolitica dei nuovi blocchi planetari (e il discorso sulla sovranità bisognerebbe declinarlo per l’appunto su questi registri, non essendo ripetibile con lo stile e i modi dei secoli XIX e XX). Quanto alla libertà, proprio le manifestazioni dei “no-tutto”, che la invocano a sproposito, all’interno di una civiltà che ha moltiplicato lacci tecnologici ancor prima che politici o sanitari – e contro i quali nessuno si ribella – sono la dimostrazione di quanto sia necessaria una riflessione in proposito: già da tempo, per limitarci a questo solo argomento, chi si occupa di cultura, sa quali censure si devono affrontare per accedere a un sano ed onesto dibattito pubblico (che pure fu molto acceso durante il deprecato Ventennio).

Foro Italico e Palazzo della Farnesina sullo sfondo

Mi fermo qui, perché non mi compete la redazione di un vero e proprio manifesto della Destra. Ribadisco solamente la necessità di non gettare a mare un bagaglio che non si esaurisce nel Fascismo, ma di cui il Fascismo fa parte (per inciso, perfino studiosi “progressisti” riconoscono i meriti di quel regime nel campo dell’urbanistica e della legislazione sociale; e, aggiungo, lo stesso “spirito coloniale”, depurato dalle irripetibili caratteristiche dell’epoca, potrebbe tornare utile nei rapporti con popoli con standard di vita ancora lontani dai nostri).

 

E allora, concludo con una domanda (forse ingenua): perché i responsabili del centrodestra hanno voluto perdere città importanti, a partire dalla Capitale? Forse, una parte delle risposte sta nelle righe che precedono.

 

 

 

 

Giuseppe Del Ninno

Giuseppe Del Ninno su Barbadillo.it

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