Contro il Messi-capitalismo. Attento, Psg: l’arroganza non garantisce le vittorie

La storia non è mai stata clemente con i bulli nello sport. Perché Messi non è Totti o Del Piero

È bello avere amici che la sanno lunga. Sul caso pallonaro dell’estate, cioé su Messi al Psg, Marco Ciriello ha scritto parole definitive. Gli sceicchi, Trimalcioni della pedata a cui tutto è concesso, hanno messo su una squadra che manco nelle fantasie erotiche più erotiche dei nerd appassionati di Playstation. Nemmeno nei sogni aritmetici più spinti dei frequentatori degli antri oscuri e matematici del fantacalcio. È ancora pallone, questo?

Il Psg di quest’anno è sulla carta la squadra più forte di sempre. Gigio Donnarumma in porta, davanti a lui Sergio Ramos, Marquinos, Rafinha, Marco Verratti e un bouquet d’attacco Messi-Neymar-Mbappé-Di Maria che inebria solo a evocarlo. Uno qualsiasi dei loro panchinari (tipo Icardi) farebbe la fortuna di una qualsiasi squadra di A, della Liga, della Premier e della Bundesliga. In teoria, l’unica speranza per le altre di vincere qualcosa sarebbe convincere l’arbitro all’antichissimo escamotage del calcio di strada: mischiamo le squadre.

Un po’ di memoria

Eppure la storia, calcistica e non, è poco clemente con gli arroganti. Non è il caso di scomodare la ybris, perché questi capiscono solo la partita doppia e le statistiche. Non è serio presentarsi con una “all stars”. I Cosmos di New York, con Pelé, Chinaglia e Beckenbauer furono un’accozzaglia di stelle da parata messa su con la complicità di Warner Media: ottimi per le copertine dei giornali, in autentico stile americano. E negli Usa, guarda un po’, il pallone non attecchisce.  Nell’Unione Sovietica, la Dinamo Mosca cara a Lavrentij Berija ingaggiava, regolarmente, tutti i campioni che si mettevano in luce qua e là nel campionato. Chi si rifiutava, come il campione della Torpedo Eduard Streltsov, finiva al gulag. Vinceva (quasi) tutto, quella Dinamo. Eppure la gente di Mosca tifava Spartak anche perché era l’unica squadra in grado di soffiare titoli e successi ai biancoblù.

Sarà che siamo irrimediabilmente italiani. Figli e fratelli di Ettore Fieramosca che a Barletta vinse la disfida contro il top team dei cavalieri francesi, costretti a raccogliere quanto rimaneva della loro presunzione nella polvere dell’arena. Sarà il sogno di abbattere i colossi che ci fa pulsare più forte il cuore.

Non solo playstation

Sarà che non se ne può più di un calcio trasformato in una playstation rutilante e sgovernato da organismi politici e sportivi ipocriti, talmente ipocriti, da far apparire seri e coerenti persino i fautori di quell’aborto chiamato SuperLega. Sarà che non ci spieghiamo perché Messi abbiamo pianto il giorno prima a Barcellona e sorriso quello dopo a Parigi.

Sarà che Francesco Totti, questo, non l’ha mai fatto. Sarà che Alex Del Piero, quando fu messo alla porta dalla Juve, se ne andò dall’altro capo del mondo piuttosto che rischiare di incrociare la sua Vecchia Signora. Sarà che Maradona, da Barcellona, se ne andò a Napoli e non al Real Madrid.

Sarà che sentiamo la nostalgia degli dèi e sappiamo che non ne avremo dei mercenari.

Simone Donati

Simone Donati su Barbadillo.it

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