Suave, mari magno turbantibus aequora ventis
e terra magnum alterius spectare laborem;
non quia vexari quemquamst iucunda voluptas,
sed quibus ipse malis careas quia cernere suavest.
(Tito Lucrezio Caro)
Nel fine settimana abbiamo scoperto che anche Zlatan Ibrahimovic è umano, persino lui può cadere male, anche lui può farsi male sul serio e rischiare di affrettare la fine di una carriera gloriosa di un campione vero che a 36 anni è il leader del Manchester United di Mourinho. Dovesse ritirarsi, sarebbe una vera iattura. Soprattutto a livello di immaginario si aprirebbe l’ennesimo dibattito pallonaro. Stavolta su chi sarà il prossimo bad boy del pallone. Archiviato il discontinuissimo Balotelli, uno dei papabili è Mauro Icardi.
Ventiquattro gol sui 63 siglati finora dall’Inter sono suoi. Nel tracollo di Firenze (5-4, roba da matti!) di reti ne ha fatte tre, facendo esultare la scalmanata Wanda Nara. Sui cui twitt improvvidi si sono riversati gli improperi di mezza Italia nerazzurra, ma solo perché l’altra metà s’è data dispersa per tutto il weekend. Eppure, per capire Icardi non si può prescindere dalla sua meravigliosa musa e dalla (loro) retorica del soli contro tutti.
Icardi segna tantissimo, fa il capitano dell’Inter e ha scritto un’autobiografia a 23 anni. Per farlo ci vuole personalità, ma il troppo stroppia. Maurito s’è guastato con tutti e lui, a sfregio, segna appena può. Non basta essere pretenziosi e antipatici, però. Fosse così, Ibrahimovic (di cui sopra) sarebbe da tempo a seminar becchime alle paperelle. Il fatto è diverso.
Maurito non gioca per la squadra, né per la maglia; e non fa nulla per nasconderlo. Anzi, lo ostenta. Se San Siro fosse un teatro d’opera, ogni maledetta domenica gli sentiremmo intonare l’aria più celebre della Carmen di Bizet: je chant pour moi meme, alla faccia del sempre più nervoso e intemperante don José, nella cui rabbia si sublima quella ormai inarrestabile del pubblico di fede bauscia.
Non torna, non fa la fase difensiva. Non fa nient’altro che aspettare la palla giusta per infilarla alle spalle del portiere avversario. Poco importa se dietro Babacar (che non è esattamente Batistuta, eh) si mangia i compagni come fossero biscottini al burro. Lui è lì ad aspettare l’occasione giusta per cantare, per sé stesso e per la sua Wanda Nara. Per nessun altro, manco per i tifosi. L’Inter affonda, come il Titanic. E lui segna e canta, ma lo fa solo per se stesso e per far crepare di gelosia tutto il mondo che lo odia.
Icardi così resta in disparte e rischia seriamente di non diventare mai ciò che è destinato a essere: uno degli attaccanti più forti degli ultimi anni. Non è un uomo squadra e va bene, ma lui esagera. Ed è per questo che in Argentina non lo convocano mai in nazionale. Altro che le magre consolazioni etiche di Maxi Lopez, ma questa è un’altra (e ormai noiosa) storia.