Calcio (di G. Del Ninno). In morte dell’Avversario, addio Boniperti

Il calcio non è più quello di allora, ma non sono cambiate le piccole gioie che ci sa regalare, e la tristezza che ci coglie quando scompare un campione

Giampiero Boniperti in azione

La morte di Giampiero Boniperti, oltre alla tristezza per la scomparsa di un uomo che ha scritto la storia del calcio per la sua Juventus e per la Nazionale, suscita in me un ricordo dove si fondono i toni di un crepuscolo – il suo di calciatore – e quelli di un’alba (il mio di tifoso ragazzino).

Per chi come me tifa Napoli, i bianconeri hanno rappresentato e rappresentano l’Avversario per antonomasia, il tabù difficile da battere ma che, quando ci riesci, provoca una gioia unica: vincano pure l’ennesimo scudetto, ma quest’anno li abbiamo battuti. Questo il diffuso sentire del tifoso partenopeo (e chissà, magari c’entra la storia dei piemontesi che detronizzarono i Borboni…).
Qui però, nel rendere onore all’Avversario che scompare a cinquant’anni dalla sua ultima partita, voglio ricordare l’inizio di quel viale del tramonto, simbolicamente iniziato con l’inaugurazione dello Stadio del Sole (poi intitolato a S. Paolo e ora a Maradona). In mezzo agli ottantamila in delirio per una delle non troppo frequenti vittorie sugli “odiati” bianconeri, quel 6 dicembre 1959 c’ero anch’io, con mio nonno, accompagnatore del tutto disinteressato al calcio (ma affezionato al nipote).
Oggi più che mai quella partita mi appare carica di simboli: pochi giorni prima, erano state consegnate le chiavi del nuovo stadio ad Attila Sallustro, vecchia gloria del Napoli, nella sua veste di custode dell’impianto. Fu una delle prime volte che a Boniperti – detto “marisa” per la sua chioma bionda e per i suoi inusitati modi gentili – fu affibbiata la maglia n. 7, che all’epoca significava quasi un declassamento, un confino sulle fasce del campo di gioco, per chi quel gioco aveva orchestrato da padrone nel ruolo di mezzala. Una mezzala prolifica – solo Del Piero avrebbe segnato di più, nella Juve – e famoso oltre i nostri confini, se è vero che fu chiamato nella rappresentativa del Resto del Mondo contro l’Inghilterra, quando la “perfida Albione” non partecipava ai tornei internazionali, ritenendosi superiore (la sfida finì 4 a 4, col nostro Giampiero autore di due gol).
E ora, in un bel pomeriggio si sole, davanti a una folla osannante ai beniamini di casa, Boniperti, per far posto alle nuove star Charles e Sivori e al giovane, promettente Nicolè, doveva portare sulle spalle, come una croce, quel numero 7… Ribaltando l’ingenuo motto di De Coubertin, Boniperti aveva pronunciato una frase che sarebbe diventata storica e sarebbe stata inserita nel metaforico blasone juventino: “Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”.
Quel pomeriggio non andò così per i suoi colori: il Napoli vinse 2 a 1, con gol di Vitali e Vinicio (una V2, sentii dire sugli spalti, e me ne sfuggiva il metaforico significato bellico…), e il piccolo Davide ancora una volta aveva abbattuto il grande Golia, stavolta su di un campo di calcio; un Davide collettivo che aveva i nomi – dimenticati dai più – di Bugatti e Comaschi, di Mistone e Beltrandi, di Greco e Posio, di Vitali e Di Giacomo e Del Vecchio (ma anche quello del “leone” Vinicio), contro i giganti Castano, Emoli, Cervato, Stacchini e, naturalmente, Sivori e Charles. Il calcio non è più quello di allora, ma non sono cambiate le piccole gioie che ci sa regalare, e la tristezza che ci coglie quando scompare un campione. E allora buon viaggio, Giampiero: chissà che non ti debba incontrare sui Campi Elisi con i tanti campioni che, in questi decenni ti hanno preceduto.

 

Giuseppe Del Ninno

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