Champions. L’impresa di Oporto, il Chelsea campione d’Europa a dispetto di Pep

Le scelte di Tuchel e la colossale prestazione della squadra (su tutti Kanté) guastano la festa annunciata del Manchester City

Una Champions incredibile si chiude con l’ennesimo colpo di scena. Tuchel contro Guardiola, i miliardi del City che ridimensionano i notevoli investimenti del Chelsea e due facce di un’Inghilterra fuori dall’Unione europea ma ancora al centro del calcio di questo continente.

In un’atmosfera surreale, con dei tifosi finalmente ad assistere al match e il sole notturno di Oporto ad accendere il campo, alle 21:00 è iniziata l’ennesima finale tutta britannica. Dopo il modesto spettacolo offerto solo due anni fa da Tottenham e Liverpool ci si aspettava un’altra partita tirata e con poche occasioni da gol, ma ci ha pensato il maestro Guardiola.

Ancora una volta il tecnico catalano è stato vittima del suo ego, decidendo di stravolgere una formazione che aveva dominato per tutto l’anno, costringendo gli interpreti a giocare fori ruolo o senza un’idea ben precisa di quello che stavano facendo. Guardiola ha deciso che doveva vincere lui la Champions, non il City e così Tuchel, molto più pragmatico e diretto, non ha rinunciato al suo 11 titolare, decidendo di osare solo schierando Havertz al posto di Pulisic (scelta giustificabile viste le magie che il talento tedesco aveva sfornato nel pre-match). Difesa a 5 in fase di non possesso e a 3 in fase di possesso, un attacco che ha visto come sempre al centro Werner, ormai più una boa che un finalizzatore e l’infinito Kanté a centrocampo. Così il Chelsea ha imbrigliato tatticamente il City.

I primi difendevano stretti, chiudevano ogni spazio del campo e appena potevano saltavano il centrocampo con verticalizzazioni e tanta corsa (Mount monumentale nel ripartire sempre con saggezza); i secondi vagavano in campo senza identità, alla ricerca di qualcosa indefinita e di sé stessi in ogni passaggio. Sarà forse vera la maledizione dell’agente di Yaya Touré a Guardiola, per cui non vincerà mai più una Champions League o sarà soltanto che a volte basta essere fedeli alle proprie idee e mettere la squadra a proprio agio per vincere, fatto sta che al 42’ del primo tempo, dopo una serie infinita di occasioni per il Chelsea, proprio Havertz l’ha sbloccata: 1-0. Risultato mai messo in discussione se non al 96’ con il primo vero tiro in porta del City, ad opera di Mahrez, con palla che ha sibilato vicino all’incrocio dei pali per poi spegnersi sugli spalti.

Il Chelsea ha trionfato, nell’incredulità di quasi tutti gli appassionati di calcio, ma è stato il risultato più giusto. La squadra costruita da Lampard, con i giovani e qualche innesto di lusso,  ha vinto grazie al suo sostituto che ha portato in dote quel po’ di esperienza che mancava a Frank. E le scene più belle sono state Azpilicueta, capitano di mille avventure sollevare finalmente quella coppa, Thiago Silva abbracciare in pura estasi Tuchel, Mount correre come un pazzo per il campo a festeggiare un titolo che sognava sin da bambino con quella maglietta blues addosso, Kanté sorridere e pensare che senza Ranieri e il Ds del Leicester, forse oggi giocherebbe ancora in serie B francese, Jorginho baciare quella medaglia che dai campetti della Sanbenedettese sembrava solo un miraggio…e si potrebbe continuare perché tutti i giocatori del Chelsea hanno delle storie di lealtà e rivincita, che ci fanno ancora credere nel valore catartico dello sport dominato dal danaro e da sedicenti santoni del mestiere.

Stefano Coropulis

Stefano Coropulis su Barbadillo.it

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