Perché bisogna fare luce sugli enigmi degli Anni di Piombo

Il commento di Mario Bozzi Sentieri parte dalle parole del presidente Sergio Mattarella e passa per i casi Castellano e per la testimonianza di Savasta

Una foto simbolo degli Anni di Piombo (da Wikipedia)

C’è veramente voglia di verità rispetto al detto e non detto degli anni di piombo? In occasione del Giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo,  lo stesso  Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha richiamato la necessità di fare piena luce sui troppi angoli oscuri che hanno segnato quegli anni. L’ arresto, a Parigi, di sette ex terroristi, quasi tutti brigatisti rossi, condannati per gravi crimini di sangue, ben oltre i singoli, gravissimi casi è un invito a squarciare  la coltre di silenzio  sulle connivenze e sulle ambiguità  di una sinistra storicamente divisa tra riformisti e massimalisti. 

A denunciare la “zona grigia” di chi silenziosamente approvava la lotta armata, appoggiandola o meno, arriva ora la testimonianza  di Carlo Castellano, vittima, a Genova,  di un agguato terroristico nel 1977. All’epoca dirigente dell’Ansaldo e iscritto al Pci, Castellano, intervistato dall’inserto genovese de “la Repubblica”, parla senza mezzi termini: “In Italia la sinistra è sempre stata dilaniata tra massimalismo e riformismo e in qualche modo dentro al Pci, al Psi, nei sindacati e nell’intellighenzia, ma anche nei gruppi cattolici c’era il filone della lotta di classe e di rivoluzione, e qualcuno ha inteso che questa lotta dovesse essere armata”.  Genova, in questo ambito, è stata una delle città-simbolo del terrorismo rosso: la città – per citare alcuni episodi – del Gruppo XXII ottobre (prima organizzazione terroristica della Sinistra extraparlamentare, attiva in città, dal 1969 al 1971),  del rapimento del Giudice Sossi da parte delle Brigate Rosse, dell’uccisione, nel 1976, sempre ad opera delle B.R. ,  del Procuratore Generale Francesco Coco con la sua scorta,  e poi, nel 1979,  dell’operaio Guido Rossa, “reo” di avere denunciato un fiancheggiatore delle B.R. intento a distribuire volantini brigatisti all’interno dell’Italsider.  

Genova è stata anche  – non va dimenticato – la città in cui il Pci svolse, più che altrove, una metodica azione egemonica, saldamente radicata in un’esperienza  partigiana sanguinosa, che andò ben oltre il 25 aprile 1945, e che esplose, nel 1948, in occasione del ferimento di Palmiro Togliatti, allorquando il capoluogo ligure  divenne, per diversi giorni,  lo scenario di duri scontri a fuoco tra i rivoltosi comunisti e le forze dell’ordine. 

Quello di Genova non è però un esempio isolato. Emblematico quanto accadde alla fine degli Anni Sessanta in Emilia, dove – come rivelò Alberto Franceschini, uno dei fondatori delle B.R.    era stretto il rapporto tra i vecchi partigiani ed i giovani extraparlamentari di sinistra, ideali continuatori della vecchia Resistenza. Lo stesso Franceschini ebbe modo di  descrivere  la sua visita a un deposito di armi creato dai partigiani fuori Reggio, in campagna, con trenta, quaranta mitra Sten che funzionavano alla perfezione oltre vent’ anni dopo il 25 aprile. Alcune di queste armi verranno poi sequestrate dalla polizia, nel 1982,   durante un’ irruzione in un covo brigatista.

All’interno del Pci era – del resto – ben presente e rappresentata ai massimi livelli un’ala militarista e massimalista, i cui personaggi di spicco erano Pietro Secchia e Pietro Longo, impegnata a continuare, dopo il 1945, la Resistenza, per abbattere la “causa reale” del fascismo, il sistema capitalistico ed i “nuovi servi” democristiani.

Ultimo, ma non meno rilevante aspetto, essenziale per fare piena luce sugli anni di piombo e sul ruolo del terrorismo rosso i rapporti tra le  B.R. ed i servizi segreti dell’Est comunista, a partire dal K.G.B.  Gli archivi di Mosca e di Berlino hanno peraltro già rivelato  come uomini delle B.R siano stati in rapporti sia con altri gruppi terroristici, sia con agenti dell’Est comunista, sia con uomini dell’ala massimalista del  Pci. Il 9 marzo 1982, durante un’udienza del processo al rapimento del generale americano James Lee Dozier, il brigatista Antonio Savasta ammise: “il rappresentante dell’Olp chiarì che il contatto con noi era stato richiesto per costruire un fronte di lotta contro Israele da noi, e con la Raf, in Germania. In seguito a ciò l’Olp ci inviò armi e esplosivo plastico”.

Di questo insieme di rapporti, connivenze, condivisioni ideologiche è tempo di fare finalmente piena luce. A cominciare da quello che Castellano  identifica come “le ragioni di quel processo durissimo che ha investito un pezzo di sinistra, in particolare i più giovani, ma anche quella sinistra rivoluzionaria che si rifaceva al racconto della Resistenza tradita”.

Ha  sottolineato il Presidente Mattarella “La completa verità sugli anni di piombo e’ un’esigenza fondamentale per la Repubblica”. Ora è tempo di passare dagli auspici ai fatti. Per chiudere veramente una stagione di odio e di sangue ed  aprirne finalmente una fatta di verità e di piena assunzione di responsabilità.

Mario Bozzi Sentieri

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