“La Valle Oscura”, un’occasione persa per la critica alla Silicon Valley

Il "diario" di Anne Wiener edito da Adelphi annoia e non svela nulla di scottante eppure ce ne sarebbero di cose da scrivere...

La Silicon Valley

Il pensiero critico, si sa, è un elemento fondamentale per progredire come individui e come società. Da questo punto di vista, la critica alla Silicon Valley è iniziata con ritardo: dapprincipio, il sorgere di start-up innovative e prive di esoscheletro aveva eccitato anche gli animi più algidi, portando a salutare l’innovazione tecnologica come un cambiamento bellissimo solo in quanto cambiamento. Tuttavia ci si è poi accorti che ogni luna, per quanto luminosa possa sembrare, ha il suo lato oscuro: ce ne si è accorti con i vari casi di Cambridge Analytica, Wikileaks ed Edward Snowden fino a realizzare che il sistema informatizzato da qualche parte doveva pur mangiare e che di fatto mangiava noi, i suoi utenti, digerendoci e infine servendoci a noi stessi, facendoci sorgere più di un sospetto sull’”impasto” degli ubiqui cookies.

Abbiamo già parlato di The Social Dilemma con tutti i suoi guru dell’hi-tech pentiti, intenti a flagellarsi pubblicamente e a denunciare le storture del sistema, svelando segreti di Pulcinella. Operazione analoga e non troppo smaliziata, la fa Anna Wiener nel suo “La Valle Oscura” edito in italiano per i tipi di Adephi a fine 2020, nella traduzione di Milena Zemira Ciccimarra. Ora, chiariamoci, criticare la Silicon Valley è, come dicevamo in apertura, doveroso. Il libro della Wiener ci riesce? Più no che sì, verrebbe da rispondere.

Il titolo in inglese è forse più esaustivo rispetto alla sua controparte italiana: “The Uncanny Valley, a memoir” sottolinea due aspetti importanti: il primo la valle non è oscura ma “disturbante”  riprendendo il termine coniato da Masahiro Mori nei suoi studi sull’effetto che robot troppo verosimili potevano generare su un pubblico umano, e di cui nella versione italiana rimane traccia solo nella foto dell’androide in copertina; e poi, fondamentale, “a memoir”. Il volume della Wiener infatti ben lungi dall’essere una critica obiettiva è appunto un ricordo, un diario della sua esperienza nella Silicon Valley. I più maligni diranno che è più simile a un diario terapeutico, che svolge una funzione catartica più per l’autrice che per chi lo legge. E i più maligni, secondo me, non sbagliano: il libro si struttura su due parti (tre con l’epilogo): la prima “Incentivi” ha abbrivio a New York dove l’autrice vive e lavora nel settore editoriale. Mossa da un senso di insoddisfazione che [spoiler] non l’abbandonerà mai no matter what, decide di mollare l’editoria classica per quella digitale. Ora, qui il lettore più attento si sarà già imbattuto in un fastidioso stilema della Wiener, che è quello dell’uso di perifrastiche lunghissime per non citare espressamente i marchi delle aziende, sia quelle per cui lavora che quelle semplicemente di passaggio nella storia. Se in un primo tempo può anche stuzzicare il lettore, a metà libro ha già ampiamente stancato e pone inoltre un quesito sul rischio calcolato: se l’autrice si astiene da pubblicare i nomi ma non tutto il resto, si presume che tutto il resto non contenga materiale particolarmente scottante. Così è.

La storia personale dell’autrice/protagonista evolve nella seconda parte dal calzante titolo “Crescita”, spostandosi appunto sulla West Coast, teatro principale dell’azione. La critica qui si dovrebbe fare aspra perché i temi sono tanti e disparati: si potrebbe parlare degli affitti fuori controllo, di un sistema basato fondamentalmente sull’ipocrisia e su una bolla dorata tanto quanto il Golden Bridge. Eppure, Wiener non va mai davvero a fondo con il coltello: scalfisce l’auto-referenzialità della Valley senza però farne vedere le ripercussioni sulla società circostante, parla dei dilemmi etici come se fossero un reflusso gastrico dato dalla mala digestione, che poi passa da solo. I cenni a una società corrosiva e pervasiva sono, appunto, cenni, e quando il sogno della Silicon Valley, qualunque esso sia, si infrange sull’elezione di Trump lì semplicemente lo spirito critico da appena accennato si scioglie come neve al sole, scontrandosi con quello che è il grande problema di una certa categoria intellettuale, ovvero l’incapacità di accettare che non è tanto il sonno della ragione che genera i mostri (quelli così definiti dalla ragione stessa, quantomeno), ma quanto la sua veglia costante.

Cito testualmente un passaggio del capitolo che commenta l’esito dell’elezioni del 2016.

“Sul forum pesantemente moderato, i commentatori discussero [della necessità] di un Piano Marshall della razionalità, un nuovo illuminismo.”

Il forum pesantemente moderato è un esempio delle perifrastiche pesanti di cui prima (probabilmente indica la piattaforma Reddit), il resto si commenta da sé e tradisce la tendenza sempre attuale a voler relegare nell’illogico, nell’oscuro, nel retrogrado tutto ciò che non rientra in determinati e diderotiani schemi, senza nemmeno porsi dubbi sull’origine dei fenomeni e senza avere la voglia e la capacità di analizzarli con oggettività e senza dare giudizi di merito, ma con il solo scopo di correggere, di “illuminare” forzatamente come si illumina con una torcia la faccia di qualcuno sotto interrogatorio

Tutto il libro scorre così, tanto che non si capisce nemmeno quale sia il messaggio ultimo che vuole veicolare. Temi come la scarsa integrazione razziale o il gender gap vengono accennati, sottolineati con frasi che però non aggiungono niente al concetto. Se è vero che le donne vengono pagate meno e molestate sul luogo di lavoro, ciò non è certo, purtroppo, prerogativa unica dell’industria tecnologica. Il benpensantismo di una società che promette di svoltare il destino dell’umanità e si basa al contempo sullo sfruttamento di lavoratori sottopagati in Cina e di risorse naturali e umane in Congo viene proposto come uno dei dilemmi che potrebbero o non potrebbero attanagliare i nuovi tycoon di San Francisco. Ma poco sembra interessarsene anche l’autrice stessa.

Rimane tutto quindi un po’ sospeso, senza avere il merito di far sorgere domande nel suo interlocutore, figuriamoci dare delle risposte.

Chiudendo lì dove avevamo iniziato, potremmo dire che la necessità di un dibattito dal buon vecchio stampo hegeliano di tesi, antitesi e sintesi è quantomai necessario per lo Spirito della tecno-digitalizzazione, ma di certo faticherà ad arrivare dal suo interno, siano a farlo fuori usciti in cerca di gloria o redenti sulla via di Damasco.

Runa Bignami

Runa Bignami su Barbadillo.it

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