Hölderlin, l’Heimat e le «geografie dell’altrove»

Uno studio di Luigi Reitani per Marsilio sul grande poeta tedesco

Holderlin

Gli ultimi decenni del XVIII secolo e quelli iniziali del XIX hanno visto l’affermarsi, dapprima negli Stati tedeschi e poi in Europa, di una cultura che lungamente ha condizionato la nostra   storia. Ci riferiamo al movimento romantico, ai cui margini, fiorì la filosofia idealista. Non è certo casuale che, nello Stift teologico di Tubinga, abbiano affrontato il loro studentato tre indiscussi geni del’epoca: Hegel, Schelling e Hölderlin. Quest’ultimo, per Heidegger esemplare rappresentante di una nuova e antica forma di sapere,  il «pensiero poetante», ha prodotto un’opera  frammentata ed incompiuta. Per giungere ad una esegesi chiarificatrice del grande poeta-pensatore svevo, si stanno, da tempo, spendendo sui suoi testi insigni studiosi. Tra essi, in Italia, si è distinto Luigi Reitani, germanista dell’Università di Udine e curatore dei volumi hölderliniani comparsi nei «Meridiani». 

Il saggio per Marsilio

E’ nelle librerie, per i tipi di Marsilio, la sua ultima fatica, Geografie dell’altrove. Studi su Hölderlin (pp. 190, euro 19,00).

   Si tratta di una silloge di saggi dedicati al poeta, scritti tra il 1999 e il 2015. Al centro dell’analisi: «vi sono i testi di Hölderlin […] considerati all’interno di un discorso storico-culturale che vede il poeta entrare in dialogo con i suoi contemporanei» (p. 7). Tale affermazione trova conferma nel contenuto degli scritti. In essi, Reitani integra quanto sul poeta è stato detto in Italia alla luce della speculazione filosofica, soprattutto di scuola heideggeriana, costitutivamente orientata a leggere l’espressione poetica quale paradigmatica eco del «dire originario». L’autore mira a decifrare, comprendere e contestualizzare storicamente l’opus di Hölderlin, chiarificandone: «aspetti finora rimasti inesplorati» (p. 8),  afferenti alle reti di relazioni da questi intrattenute con personaggi della cultura o con tematiche emergenti nel clima intellettuale dell’epoca. Ne esce un ritratto a tutto tondo dello svevo, sottratto all’astrattezza esegetica nella quale, finora, è stato confinato. Un Hölderlin  per il quale la: «“vocazione” del poeta è quella di interpretare le attese di una comunità e di farsene carico nel proprio lavoro» (p. 8).

Heimat ovvero patria

L’incipit del volume muove dalla discussione di un topos centrale nell’intera poetica del tedesco, il ritorno all’Heimat. La patria è identificata da Hölderlin con il focolare domestico, con la casa materna di Nürtingen o con il paesaggio ameno della valle del Neckar. La Heimat è: «sinonimo di sicurezza affettiva, di rifugio e protezione, e la sua natura sembra rivelare un ordine che include armonicamente al proprio interno gli uomini» (p. 11). Durante la giovinezza del poeta, essa corrispondeva anche alla patria politica, alla terra dei padri, Vaterland. Nonostante ciò, il giovane, per fedeltà alla propria vocazione artistica, si allontanò dal Württemberg per evitare di entrare nella carriera ecclesiastica e l’Heimat divenne per lui: «polo di un movimento dialettico che porta in altri paesi e regioni» (p. 12). La patria, generatrice di un «altrove», è cantata in liriche dedicate ai fiumi Neckar e Meno. Da esse emerge come il viaggio non sia da considerarsi semplice traslazione nello spazio, ma anche nel tempo. La nostalgia dell’altrove nel tedesco veste i panni della Grecia classica, in quanto il poeta ha contezza di vivere in un’epoca di profonda lacerazione spirituale. Una nostalgia, la sua, dal tratto antimoderno: «il desiderio di fuga del soggetto […] è anche desiderio di fuga da un’epoca avvertita come imperfetta e inappagante» (p. 16). 

   Al paesaggio svevo, attraverso un sapiente gioco di rimandi, si sovrappone, nelle liriche in questione, quello dell’arcipelago greco. Il viandante, protagonista indiscusso della poesia del Nostro e suo alter ego, può vivere solo nostalgicamente la Heimat o agire nell’attesa del suo possibile   propiziarsi in un Nuovo Inizio. Nella dissonante modernità è possibile sentirsi a casa esclusivamente richiamandosi alla potestas della natura, esperita, si badi, quale: «luogo del sublime e dell’informe» (p. 22). Ciò rende il ritorno ad Itaca, la riconquista dell’origine, decisamente problematica. Forse, rileva, Reitani, Hölderlin, attraverso la  poetica del: «naufragio, esprime la sua sublime grandezza» (p. 24). Eppure, questo antimoderno, fu assai attento agli sviluppi della geografia e dell’astronomia nel suo tempo. Lo dimostrano le affermazioni tratte dall’epistolario. Inoltre, egli fu attratto dalla letteratura di viaggio, che fiorì in Europa a seguito delle esplorazioni di Cook: «L’intero romanzo Hyperion si basa su alcuni resoconti di viaggi in Grecia, dove Hölderlin non era mai stato» (p. 29), in particolare sugli scritti di Richard Chandler. In diversi testi compare il riferimento al volo immaginario, il cui paradigma lo svevo trasse da Pindaro. Ma il motivo del volo era altresì presente nello spirito dell’epoca, evocato dal clamore suscitato dai voli in mongolfiera: «L’intera opera di Hölderlin è attraversata dal motivo dell’ascensione e dal senso del movimento in verticale» (p. 32), che implica anche la possibilità del fallimento per il viaggiatore, della perdita di sé. In ogni caso, nelle liriche è evidente una sorprendente capacità di interiorizzazione del paesaggio, nella quale si mostra la dicotomica distanza che divide: «il nuovo cosmo della modernità e il piccolo mondo della tradizione» (p. 37).

   Reitani chiarisce, di poi, l’origine del nome del personaggio Alabanda, che compare nell’Hyperion. Questi è un cospiratore rivoluzionario, il cui tratto psicologico rinvia agli aderenti alle società segrete, come quella degli Illuminati. Una figura femminile dal medesimo nome anima il romanzo di Wieland, Lo specchio d’oro. Donna fatale, avida e capricciosa è assai distante dal modello del cospiratore. Pur nella differenza, le due figure, come mostra l’autore, derivano da una fonte comune, la Naturalis Historia di Plinio. Qui, nel capitolo VII, si dice di una varietà di gemme, i carbonchi, provenienti dalla città di Alabanda in Caria. Tale attestazione è rintracciabile ancora nei Lapidari medievali: «La natura delle pietre venne per secoli interpretata allegoricamente […] da Jacob Böhme fino al pietista Oetinger, lungo una tradizione magica e alchemica» (p. 44). Alla luce di ciò, Reitani suggerisce che la scelta del nome Alabanda da parte di Hölderlin abbia rappresentato una  risposta forte all’estetica di Wieland, fondata su una inversione di segno del nome: «Al posto della rappresentazione femminile del lusso, della decadenza e della voluttà […](il poeta) mette al centro l’eros maschile della volontà» (p. 45).

   Nei rimanenti scritti, l’autore, tra le altre cose, si occupa dell’inno dedicato a Mnemosyne, del rapporto con Goethe, della figura retorica e concettuale del chiasmo, oltre che del valore della lettura di Hölderlin nella contemporaneità. Un libro, dunque, che rappresenta un punto fermo nell’ermeneutica hölderliniana.   

Giovanni Sessa

Giovanni Sessa su Barbadillo.it

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