“Home Game”, la generosità nobile degli sport praticati (solo) per la gloria

Dal calcio fiorentino all'apnea filippina, in una docuserie Netflix la bellezza insuperabile dello sport fuori dai circuiti mainstream

C’è qualcosa di nobile e di nobilitante nelle cose fini a se stesse. Forse è un retaggio di un’epoca passata, più probabilmente il fascino di ciò che va in controtendenza con il mondo contemporaneo. Rimane che ciò che viene fatto senza uno scopo preciso – senza fini di lucro, verrebbe da dire pescando dal vocabolario dei detti triti e ritriti – si ammanta immediatamente di nobiltà, di superiorità morale. L’art pour l’art o ars gratia artis parafrasando più prosaicamente il leone della Metro Goldwin Meyer. Direttamente legato a ciò era l’etimo originario della parola sport, dal francese antico “desport”, qualcosa fatto per divertimento, con atarassico distacco. Un significato che pur perdendosi nel tempo sopravvive quando si dice “fare qualcosa per sport” o prendere qualcosa “sportivamente”.

Ma al di là di significati da paleontologia lessicale, ecco che arriva Netflix un po’ a tradimento a ricordarci che cos’è lo sport, con Home Game: una docuserie, un genere ormai ampiamente sdoganato, in cui ogni puntata è dedicata a una particolare disciplina, tipica di un luogo e di una cultura.

Si inizia, alla grandissima, con la puntata sul calcio fiorentino e poi si prosegue spaziando nei luoghi più diversi e nelle umanità più distanti: incontriamo infatti sia donne indiane che praticano un antichissima forma di lotta, il pehlwani, sia giovani del Texas altrettanto agguerrite sui pattini a rotelle del Roller derby; passiamo da sport dove è la resistenza fisica a fare la differenza, come le immersioni in apnea delle Filippine ad altri dov’è la suggestione e la commistione di show e magia a dominare, come il Catch Fétiche in Congo.

Non importa qua se si parla di paesi ampiamente industrializzati, tigri asiatiche o periferia del mondo, quello che conta è semplicemente che questi sport siano praticati appunto per sport. Non ci sono star né ingaggi milionari, né insigni sponsor eppure la sensazione è che ci sia molta più soddisfazione per la vittoria e per la gara negli occhi di questi atleti che in molti campioni sempre sotto i riflettori.

Ma al di là di logiche dal vago sapore romantico, quand’anche non evoliano, si pone d’obbligo una riflessione: è vero che la globalizzazione ci appiattisce e al tempo stesso tramite se stessa finisce per concentrarsi ed esaltare forse, con l’intento di sottolinearne il folclore retrò, queste espressioni tipicamente locali. Il titolo Home Game può indurre a pensare a qualcosa di casalingo, di nostrano, di legato a retaggi atavici e pittoreschi, come i tornei delle Highland scozzesi con il loro lancio del tronco a cui assiste Sua Maestà (divertendosi un mondo, garantiscono gli organizzatori). Eppure, all’orecchio e all’occhio attenti questo non fa che riportare alla mente altro, ovvero l’importanza della tradizione nella sua mutevole e variegata forma.

Può essere un canto, un rito (e lo sport è pieno di riti), una festa, un abbigliamento, ma ciò che parla di retaggi e di onore, di generazioni passate e future troverà un modo per continuare a esistere. Può essere che oggi allo sport si associ i loghi rosso fiammante di Coca-cola o Fly Emirates, ma è ciò che scorre sotterraneo e silenzioso che attraversa i secoli e permane, confermando che, alla fine, le radici profonde davvero non gelano.

Runa Bignami

Runa Bignami su Barbadillo.it

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