Il caso. Non basterà l’uomo della Provvidenza Draghi se non cambia la Costituzione

Il tramonto dei partiti avviato dai tempi di Tangentopoli più che il fallimento della politica che resta al centro

Osserviamo il quadro delle consultazioni e degli incontri volti alla formazione del nuovo governo, prima che l’Autore e la sua bottega vi spalmino le ultime pennellate. Nella nostra metafora, lo sfondo assume però un’importanza ben maggiore rispetto alle figure in primo piano. Dunque: il soggetto è la designazione di un capo dell’esecutivo, con la conseguente scelta di ministri e sottosegretari da sottoporre al Capo dello Stato ed al Parlamento; ma stavolta avrebbe torto l’osservatore che ignorasse o sottovalutasse il paesaggio e i gruppi sul fondale della scena.

 

In bilico fra lo psicodramma e l’opera buffa, queste consultazioni evidenziano una volta di più, fuor di metafora, il distacco fra la “società politica” e quella “civile”, la prima impegnata in giochi di potere, la seconda imbrigliata dalle disposizioni anti-Covid e alle prese con una crisi economica in procinto di arrivare – anzi, già precipitata – dalle tabelle degli economisti fin sulle mense quotidiane di troppi. Il fatto è che la “società civile”, fino a ieri frammentata in categorie e corporazioni, oggi appare compattata, all’ingrosso, in due soli schieramenti contrapposti: da un lato, i “garantiti”, con al vertice un gruppo di “benestanti” (o presunti tali); dall’altro, i “non garantiti”, i nuovi poveri, insomma la parte bassa della scala sociale. E il bello è che i due schieramenti non coincidono con i consueti posizionamenti a destra o a sinistra dell’asse politico…

 

In questo scenario, ovviamente, l’informazione svolge il suo ruolo non secondario, con crescente invadenza e ricchezza di mezzi, in una sorta di “circolarità” con la politica, che influenza e dalla quale è influenzata. Di questa galassia, fa parte integrante il baraccone dei sondaggi, che ora esalta e ora deprime questo o quello, con il sospetto che a determinare i risultati – continui fino ad essere ossessivi – siano proprio i committenti.

 

C’è però una costante: se i mutamenti e le oscillazioni riguardanti la “società politica” sono in fondo minimi, da un giorno all’altro, da una settimana all’altra, per quanto concerne la “società civile”, da questi sondaggi viene fuori un popolo di depressi e arrabbiati al tempo stesso, di impauriti e bisognosi di protezione da parte dei leader di turno, una società di scettici sul futuro, tanto da determinare un continuo calo della natalità e una crescita dei risparmi improduttivi.

 

In un simile scenario, appaiono sbiadite le insegne dei Partiti. La ripetuta designazione di “tecnici” al vertice di esecutivi – Draghi è solo l’ultimo in ordine di tempo – ha fatto parlare di crisi della politica. In realtà, la politica ha continuato ad occupare la scena, non soltanto in occasione dei periodici rituali elettorali, ma con il varo e le modifiche di un apparato normativo che, seppur riferibile ad uno o più “tecnici”, riveste un indubbio significato politico, e questo anche in termini di visione. Che altro era, se non una precisa visione – politica e metapolitica – quell’austerità rappresentata fino alla vigilia della pandemia dalle strettoie volute dall’Unione Europea (patto di stabilità in testa)? E che altro è se non visione (seppur sotto l’ombra dell’istinto di conservazione) il nuovo, interessato spirito mutualistico che spira da Bruxelles e da Francoforte?

 

D’altra parte, la politica ha continuato e continua a condurre la sua onesta esistenza (non sempre…) nel campo dell’amministrazione della cosa pubblica, specie nelle sedi territoriali e locali. Dunque, attenzione a intendersi quando si parla di crisi – o di tramonto – della politica, una diagnosi che sembra attagliarsi più ai Partiti che non a quella nobile disciplina: ad essere in una condizione di patologica trasformazione sono infatti, a nostro avviso, i Partiti, quelle entità collettive previste dalla Costituzione della Repubblica, la cui funzione doveva essere quella di cinghia di trasmissione fra la società politica e quella civile, quella di custodia di ideali diversificati ma di pari dignità, atti ad ispirare comportamenti pubblici e privati, quella di formazione delle nuove classi dirigenti, quella di costituire luoghi di aggregazione sul territorio e di collegamento fra il centro e la periferia dello Stato.

 

A quasi tutte queste funzioni, i partiti come oggi li conosciamo, son venuti meno, specialmente dopo Tangentopoli. E’ subentrata la stagione del personalismo, si sono progressivamente allentati i vincoli di fedeltà alle idee ed allo stesso territorio, ne è risultato profondamente incrinato il principio di rappresentanza, alla base della democrazia (in particolare di quella parlamentare). Hanno fatto irruzione entità pronte a surrogare la politica, dalla Magistratura alla Finanza ai padroni dei mass media. Lungo questa china, non stupisce la progressiva disaffezione dell’elettorato, evidenziata da un costante calo delle astensioni.

 

La crisi nella quale ci dibattiamo è la risultante di tali processi, e non saranno le prossime elezioni a invertire la tendenza, specie se si dovesse tornare a un sistema proporzionale. E’ vero: l’Italia del “particulare” guicciardiniano, l’Italia dell’individualismo familista e anarcoide, l’Italia che ha preteso di elevare a nobile pratica il trasformismo più losco, mal sopporta di essere inquadrata in due soli schieramenti, come richiede il “maggioritario”: lo dimostrano certe maggioranze parlamentari del passato, solide sulla carta e fragili di fronte alle più importanti svolte legislative. Tuttavia, il sistema proporzionale, specie se non assistito da un nuovo radicamento territoriale e da adeguati sbarramenti percentuali, finirà per alimentare le incertezze e le opacità subito dopo il voto e con l’allontanare ancora di più il popolo dai suoi (presunti) rappresentanti; i programmi presentati prima delle urne saranno vaghi e non verranno rispettati, non si potrà stabilire chi ha vinto e chi ha perduto, torneremo sotto il ricatto di questo o quel partitino e assisteremo a poco nobili trattative e compromessi, sopra e sottobanco.

 

Di fronte a queste prospettive, non basterà un (presunto) Uomo della Provvidenza a salvarci, ma bisognerà trovare la lucidità e il coraggio, aldilà delle stinte magliette partitiche, per mettere mano ad un vasto piano di revisione della Costituzione (ma soprattutto delle nostre coscienze di cittadini).

 

 

 

 

Giuseppe Del Ninno

Giuseppe Del Ninno su Barbadillo.it

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