Giornale di Bordo. Di Renaud Camus, di profilattici e di “sostituzionalismo”

L'intellettuale francese, da giovane schierato a sinistra, è ora sotto processo per le tesi identitarie. Il suo monito agli europei: "Un popolo che conosce i suoi classici non si fa condurre facilmente nella pattumiera della storia"

Renaud Camus

“Una scatola di preservativi offerta in Africa significa tre annegati in meno nel Mediterraneo, centomila euro di economie per la previdenza sociale, due celle rimaste libere nelle prigioni e tre centimetri di banchina tutelati.” Con queste parole un po’ crude, anche se statisticamente attendibili, si è espresso in un tweet lo scrittore francese Renaud Camus. Tanto è bastato per farlo apparire davanti al tribunale di Parigi per “ingiuria razziale” (per l’esattezza injure publique envers un groupe de personnes à raison de leur origine ou de leur appartenance à une ethnie, une nation, une race ou une religion).

Renaud Camus – da non confondersi con l’omonimo e più noto Albert – è un personaggio dalle molte sfaccettature. Come tale può piacere o non piacere. Omosessuale dichiarato, fu per questo diseredato dai genitori, agiati borghesi di provincia, lui dirigente d’azienda lei avvocato. In gioventù (è nato nel 1946) militò a sinistra e nei movimenti omosessualisti; fu iscritto al partito socialista e sostenne Mitterrand alle elezioni del 1981. A fargli cambiare opinione, sino a farlo simpatizzare per il Front National, fu il dilagare dell’immigrazione islamica in Francia come in tutta l’Europa. Orientamento sessuale a parte, la sua parabola è affine a quella del grande regista Claude Autant-Lara, negli anni Sessanta beniamino della sinistra per le sue pellicole antimilitariste, caduto nella polvere quando nel 1989 fu eletto europarlamentare nelle liste del Front National di Le Pen e, ironia della sorte, toccò a lui, deputato più anziano, pronunciare il discorso inaugurale della legislatura.

Camus tra l’altro ha coniato la teoria del “grand remplacement”, della sostituzione etnica guidata da molti centri di potere economico, politico e oggi si può dire anche religioso, per trasformare l’Europa in una “Eurabia”, per utilizzare l’espressione cara a Oriana Fallaci. Ma è sua anche la locuzione “grande déculturation”, con cui denuncia una politica volta a far dimenticare a una nazione le sue radici culturali.

Camus è stato intervistato nel 2019 dall’intellettuale progressista Gad Lerner nella trasmissione Rai L’Approdo

Camus non ama i mezzi termini e spesso afferma le sue idee in maniera cruda. Ma le sue provocazioni non mancano di un fondo di verità. Ed è assurdo soprattutto che vengano perseguite in una Francia che della libertà di espressione ha fatto la sua religione laica, difendendo (giustamente) il diritto alla satira, anche la satira francamente volgare di “Charlie Hebdo” nei confronti della religione islamica. A meno che non esistano due libertà d’espressione: quella nei confronti delle fedi religiose, tutelata in nome della libertà di pensiero, e quella nei riguardi delle conseguenze di una politica demografica e migratoria manovrata da quello che Camus chiama il  sostituzionalismo (in francese remplacisme), perseguita per via giudiziaria.

In un’intervista al sito francese “Le Causeur” (per chi ha dimestichezza con l’idioma gallico è consultabile qui), lo scrittore fa fornito una sua analisi di questa apparente contraddizione: “Charlie Hebdo  – ha scritto – non è per nulla ostile al sostituzionalismo, è del tutto normale che sia oggetto delle attenzioni del potere sostituzionalista. Sostituzionalismo e islamismo non sono una sola e identica forza. Sono due totalitarismi rivali: provvisoriamente alleati, certo, ma fondamentalmente rivali, come il nazismo e il comunismo ai tempi del patto germano-sovietico”.

È una tesi che in molti hanno liquidato sotto l’onnicomprensiva categoria del complottismo. Resta comunque un fatto: il sostituzionalismo – tweet a parte – non si combatte con i profilattici, ma con la cultura, e il primo a saperlo è lo stesso Camus, secondo cui “il cambiamento demografico non è lo sterminio degli europei d’origine, benché comincino a esserci molti attentati, massacri, strangolamenti e decapitazioni”, ma “ la distruzione della cultura e della civiltà degli europei d’Europa”. Un suo aforisma – “un popolo che conosce i suoi classici non si fa condurre facilmente nella pattumiera della storia” – meriterebbe di essere scolpito a caratteri cubitali sul frontone di tutti i licei. Almeno di quelli in cui i classici non vengono censurati da quella che nel mondo anglosassone si incomincia già a chiamare “biblioclastìa”.

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Enrico Nistri

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