Fare il presepe per resistere al frastuono del Covid a Natale

Giuseppe Del Ninno: "Più che l'anticipo della Messa pesano le limitazioni al culto e i divieti di rincongiugimento"

Un presepe scolastico

Si avvicina l’8 dicembre, data tradizionale della preparazione di presepe e albero di Natale, e ancora non ho risolto i miei dubbi. In questo nefasto 2020 segnato dalla pandemia continuerò la consuetudine familiare del presepe? Devo precisare che il lavoro del presepe rappresenta per me un sacrificio non indifferente, data la sua mole e lo spazio relativamente stretto nel quale, ogni anno, lo inserisco, trasferendone dalla soffitta i numerosi e ingombranti pezzi. Aggiungo che, crescendo i nipoti, la loro rinnovata meraviglia per quei paesaggi in miniatura, quelle statuine, quella straordinaria Storia che viene illustrata fra sugheri e cartoni, creta e muschio, si affievolisce, come dire… fisiologicamente.

 

Inutile poi aggiungere che gran parte dei miei dubbi, nell’imminenza di questo Natale, risiede nei mutamenti che, ben prima del nuovo “dpcm” del nostro Capo del Governo – autentico pur se dissimulato e confuso “gauleiter” del satrapo Coronavirus – siamo stati chiamati ad affrontare.

 

Dunque, limitazioni alla Festa nel nome della Dea Salute; del resto, chi vorrebbe mettere a repentaglio l’integrità fisica e la sopravvivenza propria e degli altri? Il nucleo del problema sta nella conferma di quel lunghissimo processo di secolarizzazione, rispetto al quale la stessa Chiesa cattolica non sempre riesce a restare… immune. E qui la secolarizzazione si manifesta in particolare attraverso i molteplici processi di separazione in atto nella nostra cultura e nella nostra società, a partire da quella fra il Cielo e la Terra, fra la religione e tutte le altre umane attività.

 

Il Vangelo – non diversamente da altre tradizioni religiose – è costellato di episodi di guarigioni miracolose, che ad una lettura superficiale sembrerebbe avvalorare, anche da parte del Salvatore, l’importanza che oggi si dà al benessere e alla salute del corpo; ma una simile riduttiva lettura è peculiare di una civiltà che, come la nostra, ha progressivamente perduto ogni capacità simbolica. Simbolo vuol dire infatti “tenere insieme”, cioè l’esatto contrario del separare, e così la restituzione della vista al cieco o dell’udito al sordo non rappresenta più, sul piano spirituale, la restituzione della capacità di vedere e ascoltare a chi l’aveva perduta, così come la guarigione degli storpi vuol dire rimettere sul cammino della salvezza – della realizzazione spirituale – coloro che si erano smarriti.

 

Come si vede, siamo lontani dalla mera preoccupazione per la nuda sopravvivenza, priva di finalità superiori. Dicevamo della separazione: sembra essere questo l’imperativo dominante in tutti i campi dell’umana attività. Lavoro “da remoto”, “insegnamento a distanza”, prescrizioni sul “distanziamento sociale”, paratie e sedili alterni in sale d’attesa, aerei, treni, ristoranti, cinema, chiese e via distanziando. Ora, è vero che molti di questi provvedimenti avranno carattere contingente e verranno superati con l’affievolirsi del contagio, ma le mutazioni di mentalità e di sensibilità resteranno a lungo, forse per sempre. Basti pensare, per fare un solo esempio, stavolta positivo, alle abitudini igieniche, un tempo blande e ora addirittura esasperate. Questo senza contare la mole di interessi connessi con il “digitale” e i suoi Signori e quelli delle stesse imprese – incluse quelle di Stato – sicuramente avvantaggiate dal relegare nelle rispettive abitazioni quote importanti di dipendenti e collaboratori. E senza contare la facilità di controlli ininterrotti sulle attività, pubbliche e private, dei singoli cittadini da parte dei vari centri di potere. Insomma, siamo all’aggiornamento del motto “divide et impera”.

 

Ma torniamo al Natale. Dico subito che non mi scandalizza, in sé, l’anticipo di due ore della Messa di mezzanotte: da sempre, la religione si è poggiata su due basi; da un lato, le con-suetudini e le con-venzioni e dall’altro i dogmi, soggette storicamente a mutamenti, i primi, non negoziabili e dunque immutabili, i secondi. In tutto quello che concerne la con-vivenza, lo Stato ha giurisdizione (“date a Cesare”… con quel che segue), specialmente in tempi calamitosi. E non mi voglio perdere in disquisizioni e interpretazioni giuridiche, ad esempio in materia di Concordato e Patti Lateranensi. Del resto, la stessa storia sacra ha ormai convenuto che non è nota la data – e meno ancora l’ora – della nascita del Salvatore.

 

Certo, pesano le rinunce a certe fette di libertà di culto (altro esempio: divieti per le processioni, i canti corali – come vorrebbe l’Unione Europea – e, tanto per restare in tema, i presepi viventi, costitutivi di tante tradizioni locali). E pesano le limitazioni ai “ricongiungimenti natalizi”, specie per l’irrazionalità, largamente riconosciuta, di quei divieti; per non parlare delle famiglie numerose, ignorate da uno Stato che – non solo con questo Governo – non si è mostrato capace di arginare la falla demografica in atto da lustri. Separazione, dunque, anche di nonni da nipoti, e di padri e madri – magari separati – da figli.

 

Sembrano invece più labili le preoccupazioni di assembramenti in negozi e ipermercati, di cui viene consentita l’apertura anche con lunghi orari; residuo scrupolo economico di un governo in grado solamente di emettere provvedimenti-tampone (!) e che ci sta preparando a controlli, per ora solo in strada, degni dei peggiori regimi autoritari. Certo, ferisce l’uomo religioso il paragone, di fatto istituito, fra le discoteche di agosto e le chiese di Natale, ma questo è il frutto del clima di complicità fra scienziati e politici.

 

E allora? Farò il mio presepe? Penso di sì, perché anche questo è un modo per opporsi alla marea montante. Così, nel mio piccolo, cercherò di tenere insieme le consuetudini e i dogmi.

 

Giuseppe Del Ninno

Giuseppe Del Ninno su Barbadillo.it

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