“Mishima: Acciaio, Sole ed Estetica”: la vita come opera d’arte

Il saggio dell'orientalista e scrittore Riccardo Rosati per le Edizioni Cinabro nel 50 anniversario del Seppuku dell'artista giapponese

Mishima: Acciaio, Sole ed Estetica*, di Riccardo Rosati, è uno di quei libri agili eppure esaustivi che qualsiasi buon amante della concisione in saggistica gradirebbe leggere. Il testo dello studioso romano, che si presenta come una attenta e minuziosa ricognizione sulla vita e l’opera di Yukio Mishima, pur articolandosi nel breve spazio di poco più di cento pagine, ben si presta a servire da “introduzione” al complesso e controverso autore nipponico.

Nato Kimitake Hiraoka, Yukio Mishima è stato uno tra i più noti – se non il più noto – tra gli scrittori giapponesi del XX secolo; drammaturgo, saggista e poeta oltre che romanziere, è ricordato soprattutto per aver condotto una strenua battaglia nazionalista a difesa del Giappone uscito materialmente e spiritualmente distrutto dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale.

Regge per Mishima il parallelismo che molti nel nostro Paese hanno evidenziato con il “poeta-soldato” Gabriele D’Annunzio. Genio inquieto e versatile, Mishima non mancò di esplorare i più reconditi anfratti dell’anima e dell’esperienza umana, nell’arte come nella vita: il binomio arte-vita nel suo caso, come fu per il grande pescarese, anzi è assolutamente inscindibile. E, proprio come il poeta italiano – cui si deve la sceneggiatura della celebre pellicola “Cabiria” – , l'”esteta armato” giapponese non disdegnò di esercitare la sua intelligenza e la sua fervida immaginazione anche nella “settima arte”: fu infatti anche regista e, addirittura, attore.

Ad un dandysmo dalle tinte vagamente wildiane e decadenti – con sortite sentimentali omoerotiche – di cui documento più significativo resta il romanzo Il Padiglione d’oro (1956), seguì, negli anni della sua pur breve maturità, una riscoperta del corpo quale strumento d’azione caratterizzata da un intenso esercizio fisico, che si concentrò non solo nelle arti marziali tradizionali giapponesi ma anche in una “cultura” muscolare: fisica quanto letteraria. Di questo secondo periodo, che fu anche l’ultimo, in quanto preparazione e preludio del suicidio a soli 44 anni mediante la pratica rituale giapponese del seppuku, è indicativo l’altro suo capolavoro (stavolta un saggio: vero e proprio “testamento” contro la decadenza spirituale e civile) Sole e Acciaio (1968), cui il titolo del saggio di Rosati fa peraltro chiara allusione.

Dall’analisi condotta da Rosati – che, afferma Mario Michele Merlino nella sua prefazione al libro, è sì “specifica” e “parziale” ma ben lungi dallo scadere in una sorta di “scelta militante” tesa ad una acritica indulgenza nei confronti dell’autore giapponese – essenzialmente emerge, tra gli altri spunti, il confronto tra due “fasi” dell’esistenza di Mishima.

La prima “fase” della vita e della produzione letteraria dello scrittore sembra pervasa – afferma Rosati – da una “estetica della crudeltà” con annessa tensione all'”annichilimento della bellezza”, che “plasticamente” si concretizza nell’immagine, presentata ne Il Padiglione d’oro, di un monaco – alter ego dell’autore -, preda di un vero e proprio conflitto tra le due pulsioni primarie Eros e Thanatos, che saprà apprezzare la bellezza dell’antico padiglione del tempio solo vedendolo quasi distrutto dalle fiamme dell’incendio che appicca egli stesso: immagine, si potrebbe dire, di una stringente quanto tragica attualità!

Per la seconda fase, Rosati parlerà molto precisamente di una “misitca del corpo”, in quanto caratterizzata da un’azione non solo cerebrale ma anche e soprattutto fisica (nell’accezione più ampia ed alta del termine), che vedrà l’esile e raffinato scrittore, prima tanto preso da una forma di estetismo “lunare” a tratti romantico, sul modello di un Novalis, e “corrotto” dal vizio e dal bon vivre, unire alla sua sensibilità l'”acciaio” della katana (la spada classica giapponese) e mettersi addirittura a capo del movimento paramilitare del Tatenokai – la “Società degli Scudi” – al fine di fermare con un “colpo di stato” l’onda montante dell’invasione culturale americana nella terra del “Sol levante”, illudendosi così di preservare l’antico retaggio del Medioevo dei samurai.

L’intento del testo di Rosati ci sembra essere, dunque, precisamente quello di offrire una visione quantomai tesa a cogliere la profondità “estetica” del “fenomeno” Mishima (ciò non sembri un ossimoro!), ravvisando accanto alla indubbia vis tragica che caratterizzò l’autore e l’uomo, un indubitabile aspetto costruttivo, in quanto l'”estetica” di Mishima è cosa da porsi ben lungi rispetto a certo scialbo quanto sterile compiacimento estetico di alcuni intellettuali, e a maggior ragione dalla sciatteria ideologica e stilistica espressa da certi altri più sdoganati autori.

*Mishima: Acciaio, Sole ed Estetica, di Riccardo Rosati, prefazione di Mario Michele Merlino, Cinabro Edizioni, Roma, 2020, 10,00€

Giovanni Balducci

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