Focus (di G.deTurris). Fenomenologia del paradosso politico dal premier Conte a Raggi Salvini e Fitto

Il commento di Gianfranco de Turris: "Da dove sia sbucato fuori Giuseppe Conte detto “Giuseppi”, non si sa con precisione..."

Virginia Raggi e Giuseppe Conte

Raggi e Conte

Il paradosso Conte

Da dove sia sbucato fuori Giuseppe Conte detto “Giuseppi”, non si sa con precisione. Avvocato e docente universitario nessuno lo aveva mai sentito nominare prima che il Movimento 5 Stelle lo indicasse come presidente del consiglio del governo gialloverde, dopo che l’economista Paolo Savona fosse bocciato: era troppo inviso a Mattarella per la sua posizione anti-euro, era troppo vicino al centrodestra e poi aveva addirittura scritto la introduzione ad un libro di Ezra Pound… E dunque sbuca dal cilindro pentastellato Conte, “persona ambiziosissima”, come lo ha definito una volta il padre in una intervista. E si è visto: uomo per tutte le stagioni è passato con disinvoltura dai gialloverdi ai giallorossi, da Salvini a Zingaretti, e sono sicuro che farebbe anche il premier di un governo di centrodestra in nome di un supremo interesse della patria, nonostante un proclamato (ogni tanto) “antifascismo”.

Inappuntabile, impassibile, sangue freddo in ogni occasione, non muove un muscolo anche di fronte a chi gli urla in faccia come gli sfollati di Amatrice, capace di dire tutto e l contrario di tutto, di fare promesse strabilianti poi mai attuate, di dare ragione a tutti e a nessuno, di non tener conto delle critiche alle quali non risponde mai, a suo agio dappertutto dalle cerimonie funebri ai palchi internazionali, dalle inaugurazioni alle commemorazioni, è un presenzialista che gira instancabile come una trottola pur di essere in primo piano, capace di afferrare al volo  tutte le occasioni positive e negative per mettersi in mostra: che più? Sembra il politico più adatto per questa occasione storica creata peraltro dagli stessi italiani che, stufi dei partiti tradizionali e dlle ultime esperienze governative (da Berlusconi a Monti, da Letta a Renzi) si sono fidati dei Cinquestelle ed hanno dato a questi la maggioranza alle ultime elezioni politiche. Peggio er loro, si dovrebbe dire, ma non è esattamente così, ahimè… E infatti Conte, forte dei sondaggi che, proprio per il suo modo di fare sopra descritto, lo vedono a livello personale come leader incontrastato e degli elogi internazionali per come ha affrontato la pandemia, afferma che durerà sino al 2023. A meno di una implosione interna alla coalizione giallorossa, è probabile visto che è come quei pupazzi che spinti verso terra si rialzano sempre e del fatto che non ha, purtroppo, un verto antagonista.

Il paradosso Salvini

Matteo  Salvini si è dimostrato alla fin fine un politico incredibilmente ingenuo per non dire incompetente dei meccanismi legislativi. Avendo fatto naufragare il governo gialloverde il giorno dopo che il Corriere della Sera aveva pubblicato um sondaggio che vedeva la Lega a circa il 34 per cento, forse pensava che Mattarella solo per questo avrebbe sciolto il Parlamento e indetto elezioni anticipate? Come si dice a Roma: O ci sei o ci fa. Ovviamente il capo dello Stato, a parte la sua antipatia per Salvini, doveva obbligatoriamente tentare altre vie e solo dopo aver fallito indire le elezioni. Forse Salvini pensava che dopo il precedente fallimento delle trattive M5S-PS non c’erano altre soluzioni? Seconda ingenuità: pur di non tornare al voto su sarebbe accettato ogni compromesso. Infatti, la soluzione  stata trovata  proprio in quel governo M5S e PD che in precedenza non era riuscito, ma ora le due parti hanno fatto di tutto per realizzare. Conseguenza: se ora ci troviamo come ci troviamo, cioè in un vicolo cieco,  in fondo la colpa è del leader leghista, che ovviamente non ha mai fatto mea culpa dato che non è uso ammettere di aver sbagliato mai qualcosa. E adesso non c’è nulla da strepitare e dire “quando saremo al governo…” La colpa è sostanzialmente è sua. Salvini riempie le piiazze, usa i suoi slogan, fa i suoi attacchi, ha un repertorio sin troppo sfruttato, eppure le elezioni regionali parziali del 20-21 settembre 2020 non sono andate così bene come si sperava e prevedeva, e ciò vuol dire che qualcosa nella strategia politica leghista non funziona più tato bene, almeno nella attale situazione politico-ecmimico-sociale. La creazione di una “segreteria” intorno a Salvini, potrebbe significare qualcosa, ma si dovrà aspettare la seconda tornata di regionali e le elezioni comunali in importanti capoluoghi  per capire in che direzione vanno le cose. 

Il paradosso Di Maio

Come l’America ha avuto un presidente tipo Jimmy Carter che aveva fatto il venditore di noccioline, così l’Italia ha un ministro degli Esteri tipo Luigi Di Maio che ha fatto il venditore di bibite negli stati, con la differenza dei pochissimi anni trascorsi per quest’ultimo nel salto di qualità dalle stalle alle stelle. Non credo infatti che ci sia alcuna nazione al mondo che abbia un responsabile della politica estera, trentenne, ex venditore anche del Caffè Borghetti, che ha la sola caratteristica di parlare come un vecchio democristiano senza dire nulla ed una faccia tosta pari soltanto a quella del suo presidente del Consiglio. Che non conosce le lingue, che non viene ascoltato da nessuno nei consessi internazionali, che non ha carisma, che ha solo una bella abbronzatura. Che va in Tunisia, regala 11 milioni di euro per fermare l’esodo di migranti economici (quindi da rimandare in patria) verso l’Italia e ottiene solo che l’esodo continui senza sosta, che va in Libia per mediare tra le varie fazioni e accreditarsi con loro  e ottiene solo che ci sequestrino dei pescherecci in acque internazionali che unilateralmente uno dei tanti governi locali ritiene sue e non risolve la questione il più presto possibile, che in sostanza si occupa di politica nazionale invece che internazionale, anzi di problemi interni al M5S soprattutto ora che dopo le elezioni di settembre il Movimento è in crisi avendo ottenuto una percentuale di voti ridicola rispetto al passato, dimostrando di aver perduto il suo appeal sugli elettori. Chissà quindi che ne pensano i funzionari della Farnesina, quelli di carriera ovviamente, non i compaesani lì piazzati da Gigino secondo gli schemi della più classica partitocrazia…

Il problema di fondo è che Di Maio, così come tutti i pentastellati che si sono insediati in posti di responsabilità, sono in genere degli incompetenti demagogici e presuntuosi pieni di sé, privi di autocoscienza, che si ritengono unti del Signore e pensano di potersi permettere tutto. Ancora una volta grazie al voto degli italiani che si illudevano di cambiare.

Il paradosso Meloni

Sulla piazza da almeno 25 anni, Giorgia Meloni che ora ne ha 43, è di certo un politico navigato, con una memoria di ferro (chissà cho è il suo spin-doctor)e con un ragionamento coerente, un linguaggio chiaro e incisivo e un carattere deciso che la fa emergere nei dibattiti pubblici e televisivi, ben  fronteggiando gli avversari, anche se ogni tanto commette errori clamorosi come quello di scegliere Raffaele Fitto candidato governatore in Puglia. Se si presentasse come sindaco di Roma vincerebbe a mani basse, ma ha evidentemente altri obiettivi e così non si sa ancora chi il centrodestra presenterà quale avversario della Raggi. C’è chi critica la sua cadenza romana, ma non si può  cambiare, come non si può cambiare la calata siciliana (che imperversa tra i Cinquestelle) o toscana o napoletana o veneta che hanno tanti altri politici. Forse pensa alla presidenza del consiglio (la prima donna in tal caso) e di certo sarebbe migliore di un Salvini che non ha la caratura per esserlo: troppo demagogico, troppo retorico, meglio che ritorni ad essere ministro dell’Interno. Sta di fatto che fra il terzetto dei rappresentanti del centrodestra, lei è sicuramente la migliore, quella che si fa più sentire e considerare, nonostante le critiche del centrosinistra che, proprio da quel pulpito, si potrebbero definire sessiste. Ma non ce la farà, perché se il centrodestra vincerà le elezioni indipendentemente dal sistema elettorale adottato (le proiezioni sono del Corriere della Sera) e la Lega risultasse primo partito, la carica la chiederà Salvini, oppure, come anche si ipotizza, verrà scelto un “personaggio autorevole” e non politico in modo da rappresentarne le tre anime della coalizione dove Forza Italia, nonostante il minimo storico raggiunto nelle elezioni regionali di settembre e le pessime condizioni di salute di Berlusconi, preme con la scusa di essere “determinante”.

Il paradosso Raggi

Pur essendo il peggior sindaco che Roma abbia mai visto negli ultimi decenni, la Raggi ha avuto la faccia tosta (tipica dei Cinquestelle) di autocandidarsi alla successione di sé medesima, appoggiata da Grillo, ma osteggiata da un ampio settore del suo Movimento e dallo stesso PD. Come tutti i grillini divenuti sindaco ha fatto solo disastri, pur se eletta da tanti che cercavano un “cambiamento” rispetto alle esperienza tradizionali precedenti, e che si sono invece trovati davanti a personaggi che hanno fatto soltanto scelte demagogiche e ideologiche (in base peraltro ai loro programmi ben noti). La fissazione ovunque dei Cinquestelle è la lotta al traffico automobilistico privato, ma le soluzioni proposte o adattate sono state catastrofiche. A Roma la Raggi, o chi per lei, ha realizzato piste ciclabili che sono risultate non solo inutili ma addirittura pericolose e che hanno aggravato il traffico (Castro Pretorio, Via Tuscolana). E ha progettato   addirittura una…  teleferica che dovrebbe collegare l’EIR con il capolinea della Metro A, il che vorrebbe dire la costruzione lungo il suo percorso di una serie di tralicci metallici o piloni di cemento impiantati nella città con conseguenze non sollo estetiche ma pratiche allucinanti. 

La priorità di un suo successore di centrodestra, se mai verrà eletto, dovrebbe essere l’azzeramento di queste iniziative, ma anche la soppressione dei nomi di alcune strade o stazioni della metro intitolate in senso del tutto ideologico, una preoccupazione che la signora sindaco ha avuto nel corso del suo mandato. Ma chissà se ne avrà il coraggio! Il candidato di centrodestra che ancora si ignora, dovrebbero prospettarlo nel suo programma elettorale e, forte del mandato di chi lo ha votato, attuarlo. Non è possibile che ci si debba tenere in eterno tutte le scelte demagogiche attuate dal M5S o dal centrosinistra quando il vento è cambiato per evitare polemiche, ma costoro, giunti al potere, fanno quel che a loro  piace con le scelte di chi li ha preceduti senza preoccuparsi di eventuali proteste.

Il paradosso Fitto

Grande meraviglia perché il candidato del centrodestra alla presidenza della Puglia, Raffaele Fitto, è stato sonoramente sconfitto dal governatore uscente Emiliano. Anche lui, in una intervista “a caldo”, ha detto che non se lo aspettava. Evidentemente non si sa chi sia stato Raffaele Fitto. Evidentemente Giorgia Meloni nemmeno se ha effettuato questa scelta consigliata non si sa da chi. E’ chiaro che in Puglia hanno votato Emiliano anche elettori di centrodestra. E perché? A parte l’antipatia personale che esprime il personaggio con la sua supponenza, si è voluto dimenticare da parte dei politici di professioni quel che avvenne nel 2005, ma a quanto pare gli elettori di centrodestra se lo sono ricordato bene. Avvenne che il trentenne Fitto che aveva vinto le elezioni del 2000, durante la campagna elettorale del 2005, lui “moderato” di famiglia democristiana e aderente ai Cristiano Democratici per la Libertà (Rocco Buttiglione) e vicino a Forza Italia, se ben ricordo rifiutò sdegnosamente i voti della destra. E venne sconfitto per appena 14.000 voti consegnando la regioni per dieci anni a Vendola e per cinque anni a Emiliano che adesso  governerà per altri cinque. Ora Fitto, passato alla ex ripudiata destra rappresentata oggi da Fratelli d’Italia, ha ricevuto quel che si meritava. Ripeto: nessuno aveva avvisato Giorgia Meloni dei trascorsi fittiani?

 

Gianfranco de Turris

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