Giornale di Bordo. Il prof. Fino e Norimberga: ma che ci azzeccano le pandette con la bagna cauda?

Nistri nel commento si chiede: "che cosa ci sta a fare un professore di diritto romano in una facoltà di Scienze enogastronomiche?"

Le scienze enogastronomiche

Uno fra i motivi che mi scoraggiarono dall’intraprendere la carriera accademica, nonostante gli incoraggiamenti ricevuti da cattedratici non di secondo rango, come lo storico militare Massimo Mazzetti, il critico letterario Luigi Baldacci, lo studioso del pensiero politico Salvo Mastellone, lo storico della filosofia Antimo Negri, fu l’altissima considerazione che nutrivo nei confronti dell’università come istituzione. Avere  studiato e sostenuto esami alla facoltà di Lettere fiorentina  con autentici maestri, come Eugenio Garin, Ernesto Ragionieri, Michele Ranchetti o con giovani studiosi ancora incaricati, come Renzo Pecchioli, allievo prediletto di Delio Cantimori, Giovanni Cherubini, Franco Cardini – le cui splendide lezioni sulla cavalleria medievale potei seguire solo da “uditore”, visto che insegnava a Magistero e non a Lettere – aveva fatto maturare in me un concetto troppo alto della docenza universitaria per potermene considerare all’altezza. Non dico che non feci dei tentativi, pubblicando su riviste scientifiche estratti della mia tesi di laurea, ancora oggi citati; ma ero convinto che pubblicare un saggio storico realmente innovativo e non un furbesco lavoro di compilazione, nobilitato magari da un adiposo corredo di citazioni, richiedesse uno sforzo di cui non mi sentivo all’altezza. Non si trattò, certo, dell’unico motivo della mia rinuncia; influirono su di essa la mia impazienza per certe logiche baronali, la possibilità di rapidi guadagni con il lavoro editoriale e le collaborazioni giornalistiche, la delusione per le prime porte trovate sbarrate. Senz’altro, però, fu il motivo più nobile: sono sempre più convinto che ci si perda più per le proprie qualità che per i propri difetti.

Mi concedo queste confidenze dopo avere scoperto il curriculum di Michele Antonio Fino, professore associato di Diritto romano e Diritti dell’antichità all’Università di scienze enogastronomiche di Pollenzo. L’ho letto soltanto perché l’insigne “romanista” (si dice così, nel gergo accademico) ha pubblicato sui social una dichiarazione che ha suscitato quasi unanimi proteste:

“Difficile non associare gente come Tarro, Gismondo, Zangrillo e Bassetti a un luogo. Tipo Norimberga”.

Fino, che è un giurista, si è accorto di averla fatta grossa e si è affrettato subito a fare marcia indietro, per prevenire querele. Ma non è questo il vero scandalo: uno sproposito sul web può capitare a tutti. Il problema non è perché il medico di Berlusconi dovrebbe comparire dinanzi a un tribunale analogo a quello che giudicò i gerarchi nazisti, ma che cosa ci sta a fare un professore di diritto romano in una facoltà di Scienze enogastronomiche e ancora di più che cosa ci sta a fare una facoltà di Scienze enogastronomiche nel sistema universitario italiano.

Una volta l’università era considerata il tempio della scienza disinteressata, della ricerca pura, della libera conoscenza, non una sorta di super-istituto professionale, in cui s’impara a pigiare l’uva. Prova ne sia che le facoltà più professionalizzanti, come ingegneria, dopo il biennio fisico-matematico, o economia e commercio, o anche architettura, erano chiamate politecnici o scuole superiori e che la laurea da sola non abilita all’esercizio di nessuna professione, esercizio per il quale occorre sostenere un esame di Stato. La riforma Berlinguer e le spinte aziendalistiche hanno portato, fra le altre conseguenze, anche a una proliferazione di atenei, spesso privati, il cui fine sembra soprattutto nobilitare la diffusione di un sapere pratico, per cui sarebbe più adatto un Istituto tecnico superiore, se non di assicurare uno status accademico ad aspiranti alla docenza universitaria.

L’enogastronomia è una cosa seria, anche sono incline a scorgere  nell’idolatria dei cuochi una delle tante manifestazioni del tramonto dell’Occidente, specie quando vedo troneggiare nei giornali la foto di uno chef la cui fisionomia presenta inquietanti analogie con un ex membro del Csm radiato dalla Magistratura. Ma che ci azzeccano Ulpiano con la Bagna Cauda e le pandette col barolo?

 

 

Enrico Nistri

Enrico Nistri su Barbadillo.it

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