Libri. Nella satira di Alessio di Mauro il ritratto più fedele dell’Italia degli ultimi dieci anni

Esce per Historica "Banzai-Dieci anni di vignette e satira spericolata": viaggio omeopatico e coraggioso nelle follie recenti del nostro Paese

Se uno il coraggio non ce l’ha, non è che se lo può dare. Ma se uno il coraggio, a differenza di don Abbondio, ce l’ha di suo, non è che se lo può togliere. Così brandisce, come il martello di Thor, matite e pennelli e dipinge vignette in cui mette alla gogna tutti i limiti, le fisime, le mancanze, le falsità dei signorotti del potere italiano che, in alcuni casi, a paragonarli a don Rodrigo si farebbe loro un complimento.

Se cercate un libro che con la chiarezza più assoluta vi esponga la storia, puntuale e precisa, degli ultimi dieci anni della vita pubblica del nostro Paese, le vostre preghiere sono state esaudite. È uscito, per Historica, “Banzai-Dieci anni di vignette e satira spericolata” di Alessio Di Mauro (230 pagg- 18 euro). Si tratta di un’opera che ripercorre, fase per fase, cambiamento per cambiamento, scandaletto per scandaletto, sciocchezza per sciocchezza, tutti – ma proprio tutti – i casi che, nell’epoca dell’eterno presente, hanno minacciato di rivoluzionarci la vita oggi per farsi dimenticare già domani. Ogni pagina è un pugno nello stomaco, una risata a denti stretti.

Sic transit gloria mundi…

Sono tutti in fila: Berlusconi quando era il Cav, Fini quando era il capo della Destra, Bersani quando era il capo della Sinistra, la Camusso quando faceva il sindacato, Nichi Vendola quando era l’ultima speranza di chi s’ostinava ad andare oltre il Pd. E poi Renzi quando era ancora qualcuno nel cuore di Maria Elena Boschi, Beppe Grillo quando ancora poteva minacciare rivoluzioni brandendo apriscatole. In mezzo, di contorno, di lato, tutta una serie di personaggi ormai fuori dai giochi, lontani da riflettori e velleità politiche. Li rivedi pennellati nelle vignette di Di Mauro e ti fanno l’effetto della foto di un vecchio compagno di classe che, a rivederlo oggi, non riconosceresti per nulla. E, forse, ti farebbe anche un po’ pena.

La carrellata dei Fabris, per dirla con Verdone, è nutrita, giusto per citarne alcuni: Italo Bocchino, Federica Guidi,  Enrico Letta, Maurizio Martina, Guglielmo Epifani. Eppure, a modo loro, ognuno di essi ha giocato un ruolo, piccolo o grande, nelle vicende piccole o microscopiche, della politica italiana, dagli strappi politici alle alleanze più assurde, dagli scandali, più o meno grandi, più o meno verificati, più o meno sventati o confermati di cui ci siamo nutriti bulimicamente, fino a farne indigestione e persino a rimuoverli dalla memoria collettiva del nostro Paese. Ieri così potenti, comunque determinanti. Oggi, sia detto senz’offesa, di loro non si ricorda quasi più nessuno: sic transit gloria mundi

 

Gli Annali di un tempo ridicolo

Nelle vignette di “Banzai” di Di Mauro ci sono gli Annali recentissimi della nostra sventura nazione. La politica, secondo Di Mauro (ma ogni osservatore un po’ disincantato non può che essere d’accordo), è giunta a livelli parossistici tali da rappresentarsi come la parodia di se stessa. Fare satira è difficile, in questo contesto. Di Mauro lo sa ma se ne frega. Ci sarebbe una scorciatoia, battutissima e di sicuro successo, che potrebbe percorrere ma che, scientemente, si nega. Non indulge alla satira di costume, alla battutina sparata nel mucchio del volgo selvaggio e rinselvatico come quelli chic né s’attarda a punzecchiare cadaveri o a rimestare la mitologia dei bei tempi andati, qualunque essi siano. Lui, fedele al senso autentico e vero della satira, se la prende coi potenti nel vigore del loro potere. Dovrebbe essere la normalità, la prassi della satira: ma, come sappiamo, viviamo in tempi sciapi.

E meno male, dunque, che c’è ancora chi va all’attacco lo stesso perché sente una sente come un dovere morale e spirituale prima che culturale. Con il coraggio della disperazione, se vogliamo: urla Banzai! e colpisce, sciabolando penne e matite. Ogni disegno è la restituzione, spietata, di una congrega plebea di semplici gestori di briciole di potere politico e culturale, immiserito e monco; restituisce, tratteggiandone le miserie, tutto il quadro di una classe dirigente che s’è rivelata incisiva come una scritta lasciata sulla sabbia, come un tweet vergato nel mare del web. Anche perché si illude di contare qualcosa quando tutto ciò che è davvero importante viene deciso ovunque, tranne che in Italia. È la globalizzazione e ostentare potere, in questo momento, nell’ottica globalista, è già triste e ridicolo di per sé.

Per la satira, perciò, sono tempi duri. La satira non è comicità fine a se stessa, né insulto gratuito e nemmeno indignazione a comando. Non c’entra granché col culto contemporaneo delle battutine sarcastiche che un gigante come Elemire Zolla ci ha insegnato essere tratto distintivo dell’uomo debole, impaurito e perciò perso in fantasticherie di rivincita. E’ un farmaco politico e culturale fondamentale, unica cura possibile quando la società impazzisce, quando i don Abbondio si sentono nel giusto e i don Rodrigo si crogiolano nel senso di onnipotenza. Ecco, forse per raddrizzare quell’epoca folle ci vorrebbero più satiri veri, come Alessio Di Mauro.

 

 

 

 

 

Giovanni Vasso

Giovanni Vasso su Barbadillo.it

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