La debolezza dell’Europa, gigante incatenato secondo Luciano Canfora

Cosa cambia nel continente europeo dopo il lockdown

Luciano Canfora

Europa, gigante incatenato (Dedalo) è un brillantissimo pamphlet che ha l’urgenza dell’attualità e riflette sulla politica europea a partire dal lockdown.  Con il consueto rigore metodologico, Luciano Canfora destina la prima parte dell’opera ad un’anamnesi puntuale dello stato di salute del vecchio continente e la seconda a prescrivere una “cura sperimentale ma non chimerica” dei malanni riscontrati. 

Tra i mali incancreniti si evidenziano la sottomissione supina all’imperialismo americano, la distanza siderale tra le visioni sociopolitiche dei paesi membri della Ue, la zoppia di una federazione che stenta a trasformarsi in una confederazione mossa da intenti solidali.  Si è intravvisto, tuttavia, negli ultimi mesi un mutamento di prospettiva. La pandemia, ciecamente democratica, ha compiuto un miracolo che più di sessant’anni di matrimonio non erano erano mai riusciti a disegnare nemmeno come ipotesi. È stato messo, infatti, in crisi l’assioma dell’austerità che costituisce il primo comandamento del decalogo rigorista a cui già da tempo i Paesi europei sono costretti ad attenersi: “per un paio di mesi tutta la bardatura di regole costrittive e penalizzanti (i famigerati parametri) è stata … “messa in quarantena”… a dimostrazione della possibilità di … convivere, anche rimuovendo la macchina vessatoria”. E per la prima volta la barriera che separa paesi virtuosi o ‘frugali’ e paesi ‘scialacquoni’ è sembrata meno alta.

I privilegi dei prepotenti

Lo studioso fa una cronaca delle progressive incrinature nella corazza dei prepotenti. Dalla caritatevole apertura dei primi di marzo di Valdis Dombrovskis agli italiani: gli “sforamenti” dovuti a provvedimenti economici conseguenti all’epidemia in corso “non verranno computati nella vostra pagella”, alla necessità di progettare, a fine aprile, uno stanziamento di fondi, il Recovery Fund, per sostenere la ripresa economica di tutti i Paesi colpiti dal virus. Dalla severa opposizione della Germania e i suoi satelliti Svezia, Danimarca, Finlandia, Austria, con le consuete lamentationes sui mali endemici dei paesi mediterranei (debito pubblico, infiltrazioni mafiose, corruzione della classe dirigente), allo scatto di reni del premier Conte che, a fronte del miope ostruzionismo degli Stati frugali, ha minacciato: “se non ci date nulla (o solo briciole) possiamo anche pensare di salutarvi”, all’ipotesi, lanciata tra gli altri da Massimo Cacciari, di un “piano Marshall in abiti cinesi”. Il dibattito tra solidali ed egoisti, apertosi in seno all’opinione pubblica tedesca, a partire da un articolo di Der Spiegel (4 aprile 2020) dal sottotitolo eloquente “Il rifiuto tedesco degli eurobond è non solidale, gretto e vigliacco”, è un ulteriore segno della spaccatura nella granitica idea che l’austerity sia la soluzione a tutti i mali, mentre, in realtà, è un placebo. 

L’atlantismo

La “radice della mala pianta”, che condanna ai ceppi il gigante Europa, è l’atlantismo, una subalternità politica-economica agli Usa, possibile grazie alla Nato, il patto militare stretto a scopi difensivi ai tempi della cortina di ferro, e oggi “una gabbia di ferro” da cui è difficile evadere. L’asse Londra-Washington, rafforzatosi con la Brexit, l’appoggio incondizionato degli USA al gruppo di Visegrád, le quinte colonne europee, sono efficaci strumenti del dirigismo  d’oltreoceano. Il cui più scellerato epifenomeno – secondo l’autore – è dato dalle sanzioni commerciali alla Russia, dopo l’ipocrita levata di scudi contro la pretesa di Putin di riprendersi la Crimea. La minorità europea sta nel non sottrarsi a questa soggezione e nel non spezzare le maglie di questa rete rese inossidabili dallo scrupoloso lavoro di propaganda dell’intelligence. Certo, l’intromissione Nato negli affari europei ha vari gradienti: più blanda verso la Germania, il paese più rappresentativo, molto più incisiva verso nazioni più deboli come l’Italia, la cui decisione di accettare aiuti sanitari dalla Russia durante l’emergenza Covid ha destato preoccupazione nell’amministrazione Trump per “la maligna influenza russa”. 

È congruo e non nuovo il parallelismo tra imperialismo americano e imperialismo romano: entrambi si fondano sulla pretesa di farsi portavoce di civiltà anche con il ricorso al bellum iustum. La guerra è giusta se serve ad esportare la democrazia ad ogni costo e ad imporre ovunque il modello liberista-capitalista che, – profetizzava Silvio Trentin – con “la soppressione della personalità e l’annientamento dell’autonomia”, ha realizzato nella società degli uomini la “schiavitù integrale”. Sotto la maschera della missione civilizzatrice, si cela l’Ipocrisia elevata a regola suprema mirata a salvaguardare, con la guerra, la pace e l’ordine, un sistema crudele che spingeva un pur convinto imperialista come Tacito a dichiarare dei Romani Auferre, trucidare, rapere, falsis nominibus imperium, atque, ubi faciunt solitudinem, pacem appellant.

Parole che risuonano clamorosamente attuali, se si pensa che ad innescare la maggior parte dei focolai di guerra degli ultimi sessant’anni (Corea, Vietnam, Iraq, per citare gli esempi più noti) c’è lo zampino dell’Impero americano. L’Europa non è innocente, poiché molte tra le ditte che fabbricano armi sorgono nel vecchio continente, Italia in testa. Pertanto – commenta sconsolatamente il Professore – “il profitto delle aziende produttrici di armi, che supporta molte delle leadership del cosiddetto mondo sviluppato, verrebbe meno se le grandi potenze post-colonialiste non producessero conflitti dovunque possibile in quei territori che un tempo si erano spartiti e che governavano in modo diretto.”

 E dunque, quali rimedi mettere in atto?

Innanzitutto sgomberare il campo dalle falsità propagandistiche e avere chiara consapevolezza che gli States non sono la più solida e giusta democrazia mondiale, ma una “democratura”, fallace per le storture della sua legge elettorale, ostaggio di lobby finanziarie che pilotano le istituzioni stesse, onnipotente dispensatrice di ‘sommersi e salvati’, Stati canaglia e degni clienti. Liberarsi, dunque, del ruolo di “cuccioli” di Trump. 

In secondo luogo, recuperare la lezione di Altiero Spinelli o Ernesto Rossi, alcuni degli ideologi più acuti dell’unione europea e rinverdire, quindi, l’autentico spirito socialdemocratico, purtroppo oggi minato da un orrido liberismo malthusiano e da uno sconcertante darwinismo sociale, ideologie nefaste che orientano le scelte di molti paesi europei a guida socialista, dalla Svezia alla Danimarca. 

In terzo luogo, consolidare i rapporti tra le nazioni dell’Europa mediterranea e rinnovare il parterre delle alleanze con inedite sperimentazioni. Potrebbe funzionare? 

@barbadilloit

Cecilia Pignataro 

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