“Il confine tradito”: la questione giuliano-dalmata in un romanzo storico

Il racconto di Quintana descrive il cortocircuito avvenuto alla fine della Seconda guerra mondiale nel confine orientale

Questa terra ho nelle vene
Questa terra mi appartiene
Terra nostra per la storia
Nel mio sangue la memoria
(…)

Questa è la mia religione
Unità della Nazione
Religione insanguinata
Religione della Patria
Terra pazzamente amata
Terra mai dimenticata
Ogni vero Italiano è anche Dalmata e Giuliano

(Non Nobis Domine, Terra Rossa)

Il Confine Tradito, quello che dà il titolo all’ultimo romanzo storico a firma del padovano Valentino Quintana, recentemente pubblicato per i tipi di Leone Editore, è il limes nord-orientale del nostro Paese. Tradito nella sua identità italiana da parte di una classe politica incapace di difenderne gli interessi e i diritti; tradito da una spartizione geopolitica maturata indipendentemente dall’appartenenza etnico-culturale della sua popolazione e nonostante la tempra e la civiltà di quest’ultima.

Quintana propone una trasposizione narrativa delle vicende dell’area giuliano-dalmata dalla fine della Seconda Guerra mondiale alla seconda annessione di Trieste all’Italia, nell’ottobre del 1954. Trieste, città “due volte redenta”, è difatti la protagonista indiscussa di questo romanzo: l’ineccepibile ricostruzione storiografica viene in esso agilmente veicolata grazie a una trama godibile e ricca di colpi di scena. La vicenda storica nazionale, in cui la questione istriana si sovrappone alla guerra civile dell’Italia postbellica, viene letterariamente rielaborata attraverso lo sguardo privilegiato dei due fratelli Gherdovich, già protagonisti del precedente – e pluripremiato – romanzo di Quintana, Fratelli Contro. Ne Il confine tradito i fratelli, l’uno, Giorgio, fascista repubblichino, l’altro, Mattia, liberale antifascista, si rincontrano nella loro città d’origine, Trieste, dopo i quaranta giorni di occupazione del giugno 1945: i due, sebbene esponenti di spicco di fronti politici contrapposti, spinti dall’amore incondizionato per le loro terre decidono d’intraprendere coraggiose azioni politiche e diplomatiche per incidere attivamente sulla storia d’Italia. Il romanzo affronta così, con una piacevole rielaborazione narrativa, le principali tappe che condussero all’occupazione alleata di Trieste, alla spartizione e divisione della Venezia Giulia, sino alle trattative della Conferenza di pace di Parigi e all’esodo istriano, con l’allestimento di campi profughi in molte città italiane, fra cui la stessa Roma, dove si svolgono alcune importanti sequenze del romanzo.

La famiglia Gherdovic

La famiglia Gherdovich diviene emblema di un’epica italiana che oggi, in un’epoca segnata dalla morte delle grandi narrazioni, dal livellamento ideologico-culturale e dall’alienazione sociale, risulta difficile a comprendersi. La percezione destinale della storia che condusse molte famiglie a dividersi in base all’adesione ideale e politica, per poi ritrovarsi nell’alveo di un’appartenenza comune, ancor più atavica, sotto la spinta dell’unità nazionale e dell’esigenza di rinascita, è precisamente il sotto-testo che colora di responsabilità civile e identitaria le belle pagine de Il confine tradito.

Sotto questa luce ben si comprende la scelta di Giorgio, il protagonista d’orientamento repubblichino del romanzo, il quale, per amor di patria, arriva a stemperare le proprie rigidità ideologiche in nome di un compito superiore: «Giorgio comprese che quel che mancava era lo spirito della guerra precedente, quella di redenzione, che aveva condotto alla vittoria. La sconfitta attuale e l’occupazione avevano invece portato allo scoramento degli animi. Il problema di Giorgio, ossia ritrovare lo spirito del ’15-’18, non era cosa da poco. Recuperare figure come Scipio Slataper, eroi che avevano dato tutto per Trieste, o pensare alla carica del Risorgimento sulla città, sembrava una missione impossibile in quel momento. Eppure, in qualche modo, bisognava ripartire da lì e non certo dal Fascismo, giunto al peggiore degli epiloghi. Parimenti, bisognava combattere su tutti i fronti il nuovo nemico, lo slavo-comunismo che stava imperversando nella Venezia Giulia, senza che nessuno potesse intervenire, tra l’indifferenza generale e l’impotenza ad agire. Per persone come Giorgio, rinnegare il proprio ideale sarebbe stato impossibile, ma per i giuliani riscoprire quello spirito che li aveva animati nei secoli poteva essere un nuovo segno di possibile resurrezione». Quando la rinascita nazionale veniva plasmata a colpi di strategia diplomatica, imprese militari e pensiero-azione, anziché tweet, sondaggi e slogan virtuali: anche di questo Il confine tradito è valida testimonianza e decisivo memento.

Il confine tradito, di Valentino Quintana,Leone Editore, Monza 2020, pp. 384, 13,90€

 

Luca Siniscalco

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