“Conservare la Natura”: viaggio nella vocazione della destra ambientalista

Francesco Giubilei si cimenta in un saggio su un tema di cui il mondo progressista vorrebbe detenere il monopolio

Lo scrittore Francesco Giubilei sfonda una porta tanto aperta che, negli anni, in molti si son presi la licenza o di non vedere o di non attraversare. L’incrocio cioè tra ambiente e destra. Sì, perché i temi dell’ecologia appartengono di buon diritto anche all’altra metà della sfera politica. Non solo ai progressisti o ai globalisti. Un punto che prima o poi andava ribadito, rompendo le catene di un’ideologizzazione verde sempre più forzosa e che non accetta intrusioni o contributi altri. Ma che invece ci sono e sono radicati in una diversa lettura dello sviluppo economico e nella critica comunitaria al modello dominante di industrializzazione capitalista.

Scrivendo Conservare la natura. Perché l’ambiente è un tema caro alla destra e ai conservatori (Giubilei Regnani, 2020), Giubilei rimette le cose al loro posto e al tempo di Greta Thunberg e della sovraesposizione progressista in questo ambito, propone una narrazione che per vastità e complessità merita di essere affrontata fuori dalla mode del momento e dalle semplificazioni culturali. 

Buonsenso 

L’ambiente è di tutti e tutti se ne devono occupare. Ognuno con il suo approccio, le proprie gradualità e le relative sensibilità. Giubilei ragiona da conservatore (ma in un’accezione vasta, che ricapitola cioè il ventaglio di frequenze del pensare a destra). Che vuol dire? Non assolutizzare le questioni ambientali (o, nello specifico, i cambiamenti climatici) e armonizzarle con i temi del lavoro e della salute. Perché le ricette che puntano massicciamente alle sole questioni ecologiche, senza badare agli effetti occupazionali, rischiano di essere indigeste a chiunque. O, peggio ancora, inutili.

 

Partire dalle comunità

Eccolo: «È necessario sviluppare la conservazione della natura a partire proprio dalle piccole comunità, dai quartieri, dai comuni, dai corpi intermedi: solo un ambientalismo (o meglio un’ecologismo) dal volto umano può avere a cuore le persone. Una reale salvaguardia della natura non viene attuata solo perché lo Stato (o l’Unione Europea) impone leggi e obbliga i cittadini a seguire determinati comportamenti, è piuttosto il risultato della volontà delle persone di vivere in un ambiente salubre, di avere riguardo degli spazi verdi vicini a casa propria, di non gettare rifiuti o inquinare i luoghi in cui si vive». 

Giubilei mette anche in luce l’ipocrisia di chi, dietro il paravento delle questioni ambientali, spinge il piede sulla leva del prelievo fiscale: «È evidente che lo Stato debba svolgere una funzione di controllo verso i comportamenti poco virtuosi, multando chi trasgredisce e incentivando le aziende e i privati che scelgono di investire a favore della tutela dell’ambiente, ma è altrettanto importante svolgere un’attività di sensibilizzazione dei cittadini per educarli, senza però colpirli con le cosiddette “tasse etiche”». 

Chiesa e fraintendimenti

Conservare la natura contribuisce inoltre a rendere l’insegnamento dei papi sulla difesa del creato intellegibile a chiunque. Compreso quello di Bergoglio, su cui – a dire il vero – le destre hanno riservato finora un giudizio frettoloso. L’autore fa un passo utile alla comprensione del magistero bergogliano, mettendo in chiaro i contenuti del pontefice argentino (come nel caso emblematico della “Laudato si'”), dove la cura della «nostra casa comune» e l’opzione per i poveri procedono di pari passo. Giubilei non manca tuttavia di porre attenzione alle voci critiche circa il sinodo sull’Amazzonia.

Come detto, c’è un ambientalismo di destra che viene da lontano e che andava ricapitolato. Spesso poco raccontato. Ma generoso. Prima di Greta c’erano i Gar (Gruppo Azione Risveglio) e i Gre (Gruppi di ricerca ecologica) e  l’impegno pionieristico del leader missinoPino Rauti, «firmatario, nel 1982, della prima proposta di legge in difesa dell’ambiente mai presentata nel Parlamento italiano».  C’era il pensiero ecologista di Rutilio Sermonti e l’iniziativa di Fare Verde (vedi il lavoro di ricerca promosso da Barbadillo e citato nel saggio). C’era soprattutto un grande testimone: Paolo Colli – fondatore di Fare Verde ed esponente della comunità politica di Colle Oppio –, andato via troppo presto per un male incurabile. Uno di quelli che sul campo ha dato tutto se stesso – in prima linea nel volontariato in Kosovo e Nigeria –, pagandone gli effetti sulla propria pelle. Quel che resta della sua testimonianza è un esempio solare di umanità e passione. 

@fernandomadonia

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Fernando M. Adonia

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