Il ritratto di Antonio Malusardi. Un prefetto contro la mafia

Oltre Mori, l'epopea degli uomini di Stato che hanno tenuto alto l'onore della Sicilia

Siamo tra le risaie che caratterizzano la zona della Bassa in provincia di Novara. E più esattamente a Vespolate (il paese delle nespole), all’inizio dell’epopea del Risorgimento. L’11 maggio 1818, Antonio Malusardi nasce da Ferdinando e Antonia Albertazzi un vivace maschietto che si aggiunge alla loro numerosa famiglia patriarcale: il suo nome completo è Giacomo Antonio Paolo. La famiglia del nostro è benestante. È formata da importanti proprietari di risaie dove lavorano alacremente. Di loro si diceva a quel tempo che fossero nati per servire il re, un difetto che caratterizzerà Antonio.

Tugnin, come viene affettuosamente chiamato dai suoi, dopo la spensierata età della fanciullezza viene avviato agli studi e dopo il servizio militare di leva, a 21 anni, è licenziato al liceo del Collegio Reale di Novara. Successivamente Antonio diviene “aspirante all’impiego” presso l’Intendenza del Regno dei Savoia a Novara. Inizia con la qualifica di aiutante custode e pertanto svolge le mansioni più umili e – date le condizioni dei lavoratori del tempo – anche senza emolumenti. Ma fortunatamente viene ospitato da un cugino e sostenuto dalla famiglia.

Svolge ad ogni modo il suo servizio in maniera esemplare, senza mai lasciarsi sfuggire un lamento e facendosi anzi apprezzare sempre. Alla fine di questo periodo di apprendistato viene promosso “volontario effettivo” con la possibilità di essere successivamente assunto in maniera retribuita.

La svolta

Passano quattro anni e il nostro Antonio prende il volo. Finalmente con lettera del primo segretario di Stato Thaon de Revel del 1844, viene nominato segretario della commissione provinciale di liquidazione dei conti delle Opere Pie con relativo stipendio di 1000 lire, per l’epoca una grossa somma. Presta solenne giuramento sulla bandiera del re Carlo Alberto. Gli anni 40 dell’800 furono cruciali per l’Italia e anche per Antonio. Nel ‘48 inizia la prima guerra d’indipendenza per l’unità e nel cuore del nostro scoppia la pretesa di contribuire a fare l’Italia. Le cinque giornate di Milano avevano infatti suscitato nei novaresi tanta solidarietà. E Malusardi fa parte del comitato di emigrazione per l’Italia.  

Intanto a Carlo Alberto succede Vittorio Emanuele II che, con Cavour e Garibaldi, dopo una serie di vittoriose lotte, il 17 marzo 1861 proclama la nascita del Regno d’Italia. Con il Regio decreto 230 viene istituita la figura del prefetto e pertanto Malusardi è nominato sottoprefetto di San Bartolomeo in Galdo. Da questo momento il bel ragazzone dritto e fiero, nutrito a pieno dei sentimenti patriottici del Risorgimento, assume un atteggiamento ieratico sottolineato dalla sua barba alla patriottica (rossiccia e probabilmente rivelatrice delle sue origini celtico-normanne n.d.r.).

L’integerrimo funzionario piemontese viene in seguito inviato in molte città del Regno per debellare la piaga del brigantaggio scaturita in buona parte dalla renitenza alla leva obbligatoria, dalla povertà, dalle nuove tasse, dall’ingiustizia e dall’ignoranza. Nel 1862 è di stanza a Messina e tra l’altro si interessa delle vicende avvenute due anni prima a Bronte durante la spedizione di Garibaldi e del brutale intervento di Bixio con la fucilazione di inermi contadini.

A Palermo

Nel 1863 è stata frattanto emanata la legge Pica per la repressione del brigantaggio.Il 4 aprile 1865 Malusardi viene trasferito alla prefettura di Palermo come consigliere delegato, dopo fa tappa in altre sedi e infine il 17 dicembre 1876, nominato prefetto di seconda classe dal ministro Giovanni Nicotera, ritorna a Palermo con poteri speciali al fine di debellare il banditismo e i mafiosi. In Sicilia l’ordine pubblico era seriamente compromesso. Circa 1300 latitanti infestavano le campagne. Violenze, rapine, sequestri di persona (tra cui quello dell’inglese Rose), omicidi, si susseguivano senza soluzione di continuità.

Tutto inizia nel gennaio 1877 a Palazzo dei Normanni (dove allora risiedeva la prefettura n.d.r.) con la collaborazione dell’ispettore di polizia Michele Lucchesi, del colonnello De Sonnaz e del procuratore Carlo Morena. Si tratta di preparare una “guerra lampo”.  L’operazione che segue viene chiamata dei “tre munseddi”. Tutti i militi a cavallo della Sicilia (una sorta di polizia rurale istituita dai Borboni, degenerata in milizia privata agli ordini dei baroni) vengono riuniti in rassegna e poi divisi in tre gruppi; uno viene sciolto, il secondo arrestato e il terzo, i cui componenti erano stati vagliati attentamente, trasformato in Corpo di Pubblica sicurezza a cavallo. In questa occasione Malusardi afferma che da quel momento solo lo Stato avrebbe avuto il monopolio della forza e che sarebbe stata a esclusivo servizio del cittadino. Riesce a coordinare le varie forze di polizia e militari ottenendo positivi risultati. Richiede anche la collaborazione dei vari enti pubblici per apportare migliorie sociali e garantire maggiore giustizia. Egli, forte dell’esperienza del passato servizio a Palermo del 1866, si immedesima nella psicologia dei siciliani cercando anche di assumerne i costumi e la “parlata”. La lotta viene estesa alla provincia e grazie alla collaborazione popolare le bande vengono sgominate insieme ai loro capi. Tra questi Antonino Leone, Pietro Salpietra, Gaudenzio Plaja, la brigantessa Peppa Calivà ed altri. La mafia non proteggeva più i briganti.Lo Stato lo pluridecora per il servizio e gli assegna nel tempo le più alte onorificenze, i sindaci dei vari comuni, tra cui Misilmeri, inviano encomi e lettere di ringraziamento al Prefetto.

La lotta alla mafia

Il Super Prefetto è inarrestabile, osa toccare la mafia, l’organizzazione dei reati, i colletti bianchi “con i guanti gialli” come l’avvocato Giuseppe Torina, “manutengolo” della banda Leone, e il marchese Tommaso Spinola che però, in qualità di curatore dei beni reali tra cui La Favorita dove si nasconde la manovalanza criminale, riesce a sfrattare la prefettura da Palazzo dei Normanni e ad affibbiare al prefetto, ovvero “Il Precursore” come ebbe a definirlo il barone Li Destri, il nomignolo di “sbirro” e ad accusare i suoi collaboratori di utilizzare illegali metodi violenti e anche la tortura. Indignato Malusardi si rivolge al Ministero per ottenere giustizia ma, nel frattempo, a Roma la musica cambia. Al ministro Nicotera subentra Francesco Crispi e a questi, dimessosi per bigamia, Zanardelli. 

A Roma viene applicato il metodo “gattopardesco”. Nulla cambia e pertanto, offeso nella sua dignità di rappresentante dello stato, Malusardi si dimette. Di contro diviene Senatore. Il 28 aprile 1878 lascia Palermo per Roma. Successivamente molti di coloro che aveva indagato vengono prosciolti. Nella veste di Senatore l’ormai ex prefetto si ritrova con Garibaldi a sostenere “l’imposta unica e progressiva” e a combattere per la giustizia sociale ma anche contro Crispi, suo nemico personale che gli aveva troncato la carriera. A Vespolate, suo paese d’origine, contribuisce fortemente per la costruzione di un asilo e aiuta la famiglia a supportare i nipoti nel prosieguo degli studi. Ed è proprio nella sua casa di Vespolate che Antonio Malusardi si spegne serenamente a 73 anni nella notte di una domenica del 4 gennaio 1891.

Oggi riposa nel cimitero del paese natio. Una statua con le sue fattezze è stata posta successivamente sulla sua tomba dai congiunti. Una via di Vespolate porta il suo nome e recentemente è stato intitolato al grande prefetto anche un Istituto comprensivo. L’Italia si è formata grazie anche a uomini come Malusardi che l’hanno saputa amministrare: la patria non è infatti soltanto il suolo che calpestiamo o lo stato depositario della forza ma anche la pubblica amministrazione che applica la legge, che fa funzionare i servizi e fa funzionare i servizi di cui necessitiamo ogni giorno.

M.A. Caravaglia, riporta a tal proposito nel suo libro dedicato a Malusardi, Un prefetto per l’Italia – un colloquio che questi ebbe con il nipote. «Gli italiani, nonostante l’unità – gli diceva – non vogliono ancora sentirsi parte di una patria comune. Sono un popolo individualista, sono gente che cerca sempre, all’interno dei problemi comuni, la propria personale soluzione. In altre parole, quando la barca affonda, invece di tentare di salvarla mettendosi tutti assieme in un bello sforzo collettivo, cercano di cavarsela ciascuno per proprio conto. Conoscono la solidarietà solo sul piano sentimentale ma non in quello razionale organizzativo, non so se mi spiego». Parole attualissime. L’Italia è fatta, ma bisogna ancora fare gli italiani. Antonio Malusardi è da additare ad esempio. Ha contribuito a fare l’Italia. Ha dato alla Causa il suo cuore, il suo fiato, il suo intelletto, la sua ragione, il suo sentimento. In una parola, tutto. Ha consacrato la sua vita alla Patria. L’Italia.

 

Fonti:

G.C. Marino “Storia della mafia”;

M.A. Caravaglia “Un prefetto per l’Italia”;

G. Portalone “Studi Storici Siciliani”;

Senato della Repubblica “Scheda Senatore Antonio Malusardi”;

Comune di Vespolate “Intitolazione Istituto Comprensivo” 1/6/2011. 

Franco Lo Dico

Franco Lo Dico su Barbadillo.it

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