Viespoli: “Dal sovranismo al piazzismo. La destra in (retro)marcia”

La versione dell'intellettuale e politico: "Non si può dimenticare la stagione di governo. Così si passa da Carl Schmitt a Sabino Cassese"

Le forze del centrodestra scenderanno in piazza il 2 giugno prossimo. Si tratterà di un importante evento politico che darà chiavi di lettura per interpretare quali saranno i rapporti di forza, ideali e non, sia interni che esterni allo schieramento. Ma per Pasquale Viespoli la piazza, da sola, rischia di trasformarsi in un boomerang. “Ci vogliono le idee. Per farlo occorre ripartire dalla stagione della destra di governo”.

 

La piazza non sia un bene rifugio

 

“La destra si ritroverà in piazza. Nell’attuale temperie che stiamo attraversando, la piazza ha un grande valenza simbolica e grande forza comunicativa. Ha senso se serve a dare spinta e dimensione popolare a una proposta forte di ricostruzione nazionale. Può dare la scossa, rappresentare un colpo d’ala, trasmettere energie positive per alimentare la speranza oltre le paure se serve a indicare la strada della nuova modernizzazione italiana. Altrimenti la piazza diventa una sorta di bene rifugio, una ridotta propagandistica per coprire un vuoto d’idee  e soluzioni, quello che caratterizza quella che qualcuno ha definito la spirale “decadente” del sovranismo.

E la destra di oggi sta rinunciando a fare la destra, dimenticando un’intera stagione della sua storia, quella destra di governo. E lo fa in una fase in cui peraltro si aprono grandi spazi su grandi questioni che proprio alla cultura della destra sono congeniali”.

 

Sovranità senza (più) Stato. 

“Sono passate praticamente inosservate due date. La prima di queste riguarda i cinquant’anni del regionalismo e il quasi ventennio della scellerata riforma del Titolo V della Costituzione. La pandemia  ha avuto il “merito” di rimarcare il ruolo e la funzione dello Stato e la necessità di un riassetto costituzionale profondo, per recuperare la  di una revisione di quella riforma del centrosinistra nel 2001 che ha determinato una frantumazione dell’entità statuale. L’articolo 114, difatti, ha messo sullo stesso piano tutti gli enti: Stato, Comuni, Regioni, Province, Aree metropolitane. È l’orizzontalità delle istituzioni che mortifica il ruolo dello Stato. E quindi si impone una considerazione: come si fa a parlare di Sovranismo se manca lo Stato?

In una recentissima intervista al Fatto Quotidiano, Gianni Cuperlo ha chiesto scusa per quella riforma orrenda che la sinistra fece – e potrei autocitarmi – per rincorrere l’elettorato leghista. La fece manipolando la Costituzione a fini elettorali. Per ammetterlo ci son voluti diciannove anni e una pandemia. Ma almeno a sinistra c’è stata una riflessione. Si è aperto un dibattito. Da destra, invece, nessuna riflessione anzi una sorta di appiattimento su una posizione di conservatorismo costituzionale e di difesa del parlamentarismo: verrebbe da dire si è passati da Carl Schmitt a Sabino Cassese”.

 

Il tema del lavoro sembra centrale. Eppure….

“La seconda delle date “scordate” dalla destra riguarda il 50esimo anniversario dell’approvazione dello Statuto dei Lavoratori. Cade, questa ricorrenza, proprio quando tutto intorno a noi pare dar ragione alle battaglie storiche della destra. Con la fine del liberismo e la crisi del mercatismo si inizia a invocare un ruolo più decisivo dello Stato.

Una destra che è stata al governo ricorda e rivendica il fatto che che per la prima volta al di fuori dei cancelli della grande fabbrica fordista, nelle aziende “sottosoglia”, la cassaintegrazione in deroga  stata concessa grazie a un governo di centrodestra.

Ma ora si dimentica la stagione di una destra che si è posta l’obiettivo strategico dello statuto dei lavori, le questioni della democrazia economica e della partecipazione; in questa fase una destra che vorrebbe assolvere al suo ruolo dovrebbe rilanciare il modello partecipativo, l’idea comunitaria dell’impresa, studiare il tema delle nuove relazioni industriali in una fase di ricostruzione nazionale, un rapporto nuovo in cui capitale e lavoro superino il conflitto e cerchino vie nuove verso la partecipazione e la cooperazione”.

 

L’Italia riparte dal Sud.

“Non bisogna ripetere l’errore del 2008, quando tutte le risorse furono indirizzate sul centronord. Occorre uscire, una volta per tutte, da quest’idea della locomotiva che si trascina dietro il peso del Mezzogiorno. L’Italia riparte dal Sud.

Lo dice Fabio Panetta, membro del comitato di controllo della Banca centrale Europea, che, in una recentissima intervista al Corriere della Sera, ha parlato del Sud come di una miniera non sfruttata ma dal potenziale immenso. Bisogna trovare strumenti, come la fiscalità di vantaggio, e strategie per farla fruttare. E per farlo si deve trovare il coraggio di superare la frantumazione regionalistica, individuare luoghi di coordinamento a livello centrale e spendere, finalmente bene, i fondi a disposizione e accompagnare la macchina degli investimenti, dalle infrastrutture al digitale.  Il Sud è stato cancellato dall’articolo 119 della Costituzione. Ora occorre ritrovare il coraggio di restituirgli centralità: senza il Mezzogiorno, l’Italia non può pensare a una ripartenza”.

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Giovanni Vasso

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