Esteri. L’Europa tra la versione di Eliade, la Germania e la prospettiva imperiale

Una cartina dell’Impero romano

L’Europa senza la Germania non è Europa. Non sono concepibili derive nazionaliste e tanto meno unioni europee alternative come l’Europa dei Paesi del Mediterraneo. Tuttavia, una Germania non solidale che rinneghi il suo  protagonismo storico, inossidabile anche dopo la sconfitta delle due grandi guerre del XX secolo, si tradurrebbe in un atto definitivamente dissolutorio dell’Europa. Infatti, Norbert Lammert, già presidente del Bundestag e, oggi, presidente della Fondazione Konrad-Adenauer, ha affermato pubblicamente, tramite Süddeutsche Zeitung: «Il fatto che in un momento critico come questo la Germania rifiuti categoricamente di saldare ulteriormente il legame europeo comune provoca più danni politici di quanto ci si possa aspettare da un sollievo economico».

La scarsa conoscenza o il rifiuto della Storia da parte delle classi dirigenti e soprattutto la riduzione della realtà ad una visione strettamente economicista hanno prodotto l’attuale crisi dell’Europa. La principale paura della Germania pare essere il ripetersi di Weimar. Non si vuole tenere conto che la storia politica, e quindi militare, dell’Europa unita nasce dal sodalizio romano-germanico. Romano per cultura istituzionale e concezione politica universale, germanico (comprendente anche le varie tribù celtiche) per stirpi. Tutte le spinte centrifughe sono state animate da forze e ideologie che hanno contribuito esclusivamente all’indebolimento dei Popoli europei piuttosto che alla rispettiva autocoscienza identitaria.

Tra l’altro: esiste davvero una coscienza nazionale o una identità francese, spagnola, tedesca (germanica è cosa differente) o italiana?  Si può negare che il “patriottismo” sia una mera invenzione ideologica?

La versione di Mircea Eliade

Mircea Eliade, in Fragmentarium, rilevò che “l’abate Gioacchino da Fiore fu il primo patriota italiano, il primo a dichiarare la sua fede nell’unità dell’Italia. Per lui, i nemici della nazione italiana, del populus latinus, erano i nemici del ‘popolo eletto’. Tutti gli invasori barbari venuti dal nord – longobardi, franchi, normanni, germani – svolgevano lo stesso ruolo che avevano avuto gli assiri nella storia dell’altro ‘popolo eletto’, gli ebrei.”.

Continua Eliade: “E’ pur vero che all’origine di qualsiasi ‘coscienza nazionale’ vi è un certo profetismo … Ma la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo hanno conosciuto una ‘coscienza nazionale’ illuminata e fecondata soprattutto da profetismi sociali, con una struttura laica di matrice illuminista… La rivoluzione francese – fonte di tutti i ‘patriottismi’ – è stata il primo movimento a mettere in circolazione l’idea di ‘razza’ (i nobili erano odiati perché erano ‘germani’, invasori, ‘stranieri’) e quelle di ‘valori nazionali’, di ‘creazioni etniche’ (la dea della Ragione è una dea francese, ecc.).”.

Oggi, dinanzi alla possibilità di una ricostituzione europea, più che di coscienza, categoria astratta ed inutile, c’è bisogno di conoscenza delle proprie radici storiche. L”ultimo dei romani”, così era soprannominato il generale Ezio Flavio, nacque a Durosturum in Mesia inferiore (oggi Silistra in Bulgaria), intorno al 390, da Gaudenzio, comandante militare romano secondo alcuni di antica origine scita o gotica, e da madre discendente da una ricca e nobile famiglia italica (che non significa italiana). Ezio Flavio era un vero romano ma non era italiano come lo potrebbe intendere oggi una qualsiasi ideologia patriottarda o nazionalista.  E questo lo comprese bene Charles De Gaulle quando, nel 1950, tendendo la mano a Konrad Adenauer, rispetto alla sua proposta mirante alla creazione degli «Stati Uniti d’Europa» affermò, rievocando le gesta di Ezio Flavio:

«io non trovo, in effetti, nella storia di nessun popolo, di nessuna coalizione, una vittoria all’altezza di quella dei Campi Catalaunici, dove i Franchi, i Galli, i Germani e persino i Romani, riuniti, misero in fuga Attila. (…). Avremmo qui, senza dubbio, una possibilità di sviluppo comune che potrebbe trasformare l’Europa libera e persino ridare la speranza a quella che non lo è più. Insomma, sarebbe riprendere su basi moderne – cioè economiche, sociali, strategiche, culturali – l’impresa di Carlo Magno».

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Massimo Ciullo

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