L’intervento. La riscoperta di identità e solidarietà nazionale per sconfiggere il virus

Idee per l’Italia

Per procedere alla definitiva sconfitta del virus e alla ricostruzione successiva occorre innanzitutto una forte riscoperta collettiva di una identità e di una solidarietà nazionale.

Sono passati 75 anni dal 1945. L’Italia sta avviandosi verso una crisi che per alcuni aspetti richiama la devastazione bellica. È senza dubbio la crisi più drammatica dalla Seconda Guerra Mondiale. Sconfitto il virus, perché questo avverrà per certo, vivremo la devastazione dell’economia nazionale. Eppure gli anni successivi alla seconda guerra mondiale gettarono le basi per lo sviluppo economico più significativo della nostra storia, sviluppo che fu certamente più importante di quello di altre nazioni. Si profilerà un mondo nuovo, con straordinarie opportunità, conseguenti a modalità di organizzazione sociale, produttiva e del lavoro indotte e sviluppate proprio dalla catastrofe epidemica. La grande crescita post bellica fu certamente agevolata dal piano Marshall che destinò all’Italia fra 1948 e 1951 ben 1 miliardo 204 milioni di dollari, anche se va ricordato che i bombardamenti e le requisizioni avevano distrutto la gran parte del nostro patrimonio industriale. Fu però soprattutto il contesto normativo a rendere possibile una rapida ricostruzione. Non esistevano per esempio i soffocanti vincoli della attuale legislazione sugli appalti e si è visto con quanta rapidità e con quale efficienza sia stato ricostruito il ponte autostradale crollato a Genova, una volta applicata una normativa di eccezione. Non esisteva nel 1946 un complesso intrico di lacci e lacciuoli burocratici che legittimano a loro volta un ancor più penalizzante intervento giudiziario preordinato a tutelare un ordinamento oppressivo. Non esistevano nemmeno i penalizzanti vincoli europei per esempio quelli sul divieto di aiuti di Stato.

La sospensione del patto di stabilità non può essere seguita, a epidemia terminata, né da una semplice riedizione di ciò che è stato fin qui a livello europeo, né dall’applicazione, nelle forme così concepite, del Meccanismo Europeo di Stabilità, che all’indomani del temporaneo «tana libera tutti» e della conseguente, ora necessaria, politica in deficit, rischierebbe di mettere l’Italia nelle mani della cosiddetta troika, spogliando il Paese della sua residua sovranità economica. Se la lotta al virus, per i grandi sacrifici che richiede al popolo italiano, necessita una forte coesione nazionale, la ricostruzione richiederà scelte difficili e delicate, capacità di visione, competenza, abbandono di ogni forma di velleitarismo, insieme ad un forte spirito nazionale. Abbiamo visto in queste drammatiche giornate che ogni Stato ha rapidamente abbandonato sacri proclami di solidarietà paneuropea, panatlantica o di aiuto fraterno, per trincerarsi in una dura, spesso egoista, ma certamente molto realista difesa del tutto prioritaria degli interessi nazionali. Da Parigi a Berlino, da Washington a Mosca ognuno ha pensato all’utile suo.

Per procedere dunque alla definitiva sconfitta del virus e alla ricostruzione successiva occorre innanzitutto una forte riscoperta collettiva di una identità e di una solidarietà nazionale. Soprattutto occorre che l’Italia divenga una democrazia matura. Una democrazia matura non coltiva all’interno del suo seno nemici: chi rappresenta l’opposizione non può essere considerato un pericoloso nemico da abbattere, un potenziale pericolo per la democrazia a cui non si riconosce legittimità a governare; per converso il confronto con il governo da parte di chi sta all’opposizione non deve avere le caratteristiche di una guerra, ma deve avvenire nel nome del superiore interesse nazionale, essendo pronti, laddove seriamente richiesti, a collaborare. Questo è il passaggio chiave: qualunque sarà il Governo che guiderà l’Italia nei prossimi anni, si commetterebbe un grave errore se non si desse corso ad una nuova fase della vita politica italiana. Nel 1946 si riuscì a garantire il varo della Carta costituzionale, che assecondò la ricostruzione, perchè le forze politiche di allora seppero dialogare, pur nella diversità delle posizioni. Così ancora in piena guerra fredda, di fronte al pericolo del terrorismo, nel 1978, i partiti dell’epoca seppero far prevalere le ragioni del dialogo su quelle dello scontro.
Oggi il pericolo per il futuro del nostro Paese è certamente ancor più grave di quello rappresentato dal brigatismo rosso e dall’eversione nera. È per questo che nei prossimi mesi sarà decisivo, per uscire dalla crisi drammatica in cui siamo precipitati, un nuovo spirito di dialogo, di reciproca legittimazione, di costruttiva collaborazione per la rinascita della nostra nazione.

*Accademico, vicino alla Lega Salvini premier

Giuseppe Valditara*

Giuseppe Valditara* su Barbadillo.it

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