Grazie Dea. L’Atalanta ai quarti di Champions ci riconcilia con l’estasi del pallone

Valencia-Atalanta

Il calcio è quella cosa per cui l’Atalanta batte il Valencia e approda ai quarti di Champions League. Il pallone è quella cosa che, per un attimo, ha indotto i bergamaschi, prostrati dall’epidemia del coronavirus, ad alzare le braccia al cielo. A urlare gol a ogni stoccata di Ilicic, ogni rete un puntello sulla scala del sogno e un pugno in faccia al maledetto virus, al male, alle preoccupazioni, alle ansie. I calciatori che, a fine partita, dedicano l’impresa alla città assediata dal morbo. Altro che mercenari, altro che professionisti: questi ragazzi sono dentro la storia e, come ha scritto benissimo Vittorio Feltri, nel cuore di una comunità che ha fatto piangere, per una volta, di gioia.

Il football è quella cosa per cui, come hanno giustamente scritto alcuni importanti giornalisti sportivi d’oltremanica, il sogno è l’unica realtà. Come, appunto, quello di Bergamo e della sua Atalanta. Vincere non è l’unica cosa che conta. C’è, dietro, la passione, la forza, la voglia di esserci e di portarsì là dove non osano nemmeno più le aquile. Parafrasando la pubblicità, il pallone vende sogni, non solide realtà. Eppure c’è qualcuno che vorrebbe cambiare tutto.

Si mettesse l’animo in pace, dunque, il plutocratico Andrea Agnelli. Sogna il modello americano, lui. Le franchigie e compagnia bella: chi più scuce, più vince. Niente Davide contro Golia, niente Papu Gomez contro il Mastalla, niente Gasperini contro Klopp e Guardiola. Proprio l’Atalanta, meschinello, ha scelto per ribadire che senza blasone (leggi: senza fatturati ultramilionari) non si dovrebbe nemmeno ambire a certi traguardi. Una reazione da borghese piccolo piccolo, quella del rampollino, che sente sfilar da sotto incassi e visibilità (cioé altro denaro) al club degli ottimati del calcio europeo.

Agnelli ha pure proposto un modello. Il peggiore possibile: in pratica, vorrebbe che il calcio si trasformi nel wrestling, che – come si affannano a giustificare i suoi interessati apologeti – “è predeterminato ma non predefinito”. Uno spettacolo di plastica, pompato.

Invece l’Atalanta che stronca a domicilio il Valencia è il calcio vero. Quello che fa restare bambini anche a settant’anni. La Dea che dona a Bergamo, prima linea nel dramma dell’epidemia, un attimo di dimenticanza, un barlume di felicità, è l’essenza del calcio e dello sport. Fuor di retorica, eppur va detto: il pallone è questo, non le starlette, non i clicca qui, non le sopravvalutazioni anzi: le plusvalenze.

Il calcio auspicato da Agnelli è puro porno, muscolare, meccanico, recitato a soggetto: le peripezie di milfone e stalloni che girano, a ogni ora del giorno e della notte, su uno schermo.  Il folber dell’Atalanta che la mette in saccoccia ai big del continente è una storia d’amore d’estate: fatta di palpiti, voli, cadute e rapimenti estatici. Di baci concessi, rubati, negati e ripresi, di fughe in motorino, di gelati. Grazie, Dea. E forza Bergamo.

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Giovanni Vasso

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