L’intervista. De Kerckhove: “La web-democracy é il futuro. Ma ci sono rischi totalitari in Cina”

Derrick de Kerckhove (Foto libera by Daniel Trudu)

Il web come volano di una nuova democrazia partecipativa, ben differente dalla data-democrazia, versione totalitaria che si va affermando in Cina: il professore canadese Derrick De Kerckhove – tra i massimi studiosi internazionali della politica sul web – evidenzia i rischi delle nuove agorà digitali.

Professor Derrick De Kerkove, “web democracy” è la nuova frontiera della partecipazione politica?

“Tutte le nuove grandi pratiche che hanno a che fare con la partecipazione dispongono già di applicazioni e strategie digitali. Viviamo uno stato di fatto nel quale è la rete che spinge la partecipazione. Con aspetti positivi e altri meno. I cittadini non ci credono, votano sempre meno, ma la spinta della rete crea una integrazione e una nuova sensibilità. Noi abbiamo adesso una responsabilità principale come individui verso la società. Basta guardare la Thumberg che ha capito che abbiamo responsabilità molto più grandi di noi verso l’ambiente. Il sentimento di ansia cresce davanti a precarietà e guerre con Trump e compagnia, i ghiacciai che spariscono. La gente comprende e reagisce”.

Quali i laboratori più avanzati della web politica?

“Ci sono formule in rete attraverso cui ci si collega con il governo per produrre le leggi, come a Taiwan, e mentre in altri casi c’è una sintesi tra rete e incontri faccia a faccia, con siti in grado di trasmettere consigli su come organizzare la partecipazione digitale”

Il web ricrea le stesse condizioni della democrazia comunitaria, secondo le dinamiche di una polis?

“Se c’è un modo di salvare la democrazia, l’opportunità viene dal web. Possiamo tendere alla democrazia digitale. Ho scritto un manifesto con altri studiosi sulla cittadinanza digitale, mentre tutto si scioglie in una modernità liquida. Dobbiamo salvare la democrazia attraverso la rete, invece di lasciarla rovinarla. Non dobbiamo difenderci dalla robotica, ma dal digitale, che può sovvertire le dinamiche della democrazia. Se sommiamo velocità e le malintenzionati di chi si interessa al potere, il risultato può essere pericoloso, ovvero la data-crazia: i cinesi ormai sorvegliano tutti attraverso il telefonino e impediscono di prendere aerei secondo i contagi, eliminando totalmente la responsabilità dell’individuo”.

Il caso del M5s: dal meet up piattaforma Rousseau…

“E’ qualcosa di molto nuovo. Sono interessato a come cambia la cultura politica, ma tra tutti quelli che si muovono i cinquestelle sono i meno cretini di altri”.

Uno vale uno non deresponsabilizza alle classi dirigenti?

“Diciamo che il problema della democrazia partecipativa è diverso dalla democrazia diretta, che porterebbe al caos totale. L’uno a uno è una prospettiva malpensata. Una democrazia partecipativa intelligente si occupa di riconnettersi con i bisogni della gente”.

Le primarie e “sagre del programma” a sinistra sono una forma di democrazia che surroga la crisi dei partiti?

“Onestamente non ci credo troppo. Il web ormai si è imposto e non si può fare a meno delle discussioni in tempo reale attraverso la rete. Il web lè a sede più efficace per la discussione dei temi della politica. La piattaforma va combinata con le piazze e il coinvolgimento faccia a faccia. Vale nel lavoro come nella politica. Una democrazia partecipativa non può uscire dalla rete, o meglio dal telefonino. Non si vive senza selfie e senza telefonino”.

Facebook che cancella più o meno arbitrariamente account di gruppi o leader politici non impone la discussione e la definizione di regole per la politica nelle nuove piazze digitali.

“Zuckerberg non vuole regole. Ma chi dovrebbe scriverle? Un governo mondiale? Le nazioni unite? C’è il tema delle privacy e della partecipazione e ci vogliono regole, perché chi partecipa può essere vittima di un rovesciamento politico e anche di eventuali ritorsioni”. (pubblica in forma estesa su La Gazzetta del Mezzogiorno)

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