Mostra/Roma. “C’era una volta Sergio Leone” un tributo al maestro che reinventò il Western

Il banner della mostra su Sergio Leone a Roma

Nel controverso Museo dell’Ara Pacis a Roma, che da anni ha sostituito la “teca” in stile razionalista di Vittorio Morpurgo, è stata presentata alla Stampa il 16 dicembre la mostra: C’era una volta Sergio Leone, una simpatica ripresa dai titoli dei suoi celebri film. La esposizione è stata promossa dalla Cinémathèque Française di Parigi, della quale è stata la prima sede (10 ottobre – 27 gennaio 2019), e curata dalla blasonatissima Cineteca di Bologna. Fino al 3 maggio 2020, il pubblico della Capitale potrà compiere questo nostalgico viaggio, fatto di oggetti, immagini e suoni, attraverso la vita di uno degli immortali della Settima Arte, il quale non ebbe comunque per lungo tempo i favori della critica e degli intellettuali à la page. Finalmente, la sua Roma tributa, a 30 anni dalla morte e a 90 dalla nascita, l’amore e il rispetto che merita Sergio Leone (1929 – 1989), senza mezzi termini, uno dei titani del cinema, malgrado abbia firmato solo sette film, in un arco di tempo che va dal 1961 al 1984. 

L’Italia repubblicana ha costantemente avuto il vizio dei favoritismi, delle “simpatie”, sovente in chiave politica. Così facendo, si sono talora incensati eccessivamente alcuni, e declassati ingiustamente altri. In primis, proprio Leone, ma parimenti accadde al grandissimo Vittorio De Sica, con cui il cineasta romano fece il suo apprendistato. Il padre del Neorealismo prima e della Commedia all’Italiana poi vinse tanti Oscar quanto Federico Fellini; eppure, è possibile dire che siano stati trattati nello stesso modo? Crediamo di no. La qualità infinita di uomo di cinema di De Sica è stata ricordata da Leone in persona, che dichiarò: “Ho imparato più da De Sica in poche settimane di lavoro che negli anni successivi in cui ero pagato come assistente dei grandi registi americani”. 

Il lettore si domanderà forse la ragione di questa riflessione “polemica”. La risposta è che una mostra come quella di cui stiamo parlando si basa solamente su due aspetti: la comprensione e il ricordo. Del resto, tutto l’opus leonino è incentrato sul “C’era una vota”, in poche parole sul concetto di tempo, che il regista espande al livello del sublime in C’era una volta in America (1984). Ragion per cui, chi andrà a vedere la esposizione all’Ara Pacis, al fine di uscirne arricchito, dovrebbe pensare, mentre percorre le varie sale. Non vi sono antiche sculture orientali, reperti egizi o preziose ceramiche europee da ammirare… no. Fotografie, filmati e qualche oggetto fungono esclusivamente da “evocazione continua”, ammantando questo evento di un carattere proustiano. 

Benché si sia quasi totalmente confrontato col genere (peplum e Western), Leone è stato un artista di elevato spessore intellettuale, assai incline a una ricerca maniacale del dettaglio, cosa che lo avvicina a un altro immenso del nostro cinema, quel Luchino Visconti per il quale aveva una grande ammirazione, e che si manifesta specialmente in C’era una volta il West (1968), che è il suo film più “pittorico”. Invero, l’arte era per lui una grande risorsa, e da cui traeva spunti per le pellicole. Non tutti sanno che egli collezionava le acqueforti dello spagnolo Francisco Goya, e adorava Giorgio De Chirico – un altro assoluto numero uno poco simpatico alla critica militante – che lo influenzò potentemente, venendone impressionato dalle prospettive “illusorie” e marcati cambiamenti di piani.  

Sergio Leone ha reso leggendario il racconto filmico della storia di miti moderni come il West. Grazie ai preziosi materiali di archivio della Famiglia Leone, oggi è possibile entrare nel mondo di questo regista,  osservare come nascevano le idee per il suo cinema. Cimeli personali, la sua libreria, modellini, scenografie, bozzetti, costumi, oggetti di scena, sequenze indimenticabili e una costellazione di magnifiche fotografie (quelle di un maestro del set come Angelo Novi); tutto ciò consente, per dirla con termini “alla moda”, di vivere una esperienza immersiva.

Dicevamo, autore eccelso, sin da subito amatissimo e popolarissimo. Nondimeno, vissuto ai margini dei grandi riconoscimenti, osteggiato dagli intello, poco degnamente omaggiato in vita dai grandi festival internazionali; Leone andò avanti per la sua strada, sempre in ascesa, come gli aveva insegnato la Scalinata di viale Glorioso, in quel Rione Trastevere ove era nato. Egli elaborò un altro West, intriso di influenze goldoniane, di personaggi che rimandano a quelli di Cervantes, e agli eroi omerici. Infatti, Leone considerava provocatoriamente il sommo poeta della classicità greca come il primo autore Western della storia. 

In conclusione, trattasi di una mostra che di senso ne ha molto e che è davvero benvenuta nel tributare a un Maestro i giusti onori, sebbene tristemente postumi. Tuttavia, fa riflettere, e non poco, che essa sia nata su impulso francese e non italiano! Come pure il fatto che il maggiore esegeta al mondo di Leone sia l’inglese Sir Christopher Frayling, che ha appena dato alle stampe, assieme a Gian Luca Farinelli, curatore della mostra e direttore della succitata Cineteca di Bologna, un voluminoso testo, dal titolo: La rivoluzione Sergio Leone (Edizioni Cineteca di Bologna). È vero, Sergio Leone ha rivoluzionato il cinema, andando persino a sfidare gli americani in casa loro, annullando il mito della Frontiera, per proporre un West madido di sudore, sporco, e socialmente connotato, ma, nel contempo, profondamente estetico nella forma. Cosa altro aggiungere? Forse il fatto che se da tempo diciamo che non sarebbe male in determinate circostanze andare al di là della critica, questa non dovrebbe essere intesa quale una posizione di sfida, bensì una semplice necessità.

@barbadilloit

Riccardo Rosati

Riccardo Rosati su Barbadillo.it

Exit mobile version