Eccolo: un meme semplice, leggero, ma efficace. Come ha notato il politologo presso l’università di Perugia, Alessandro Campi: “A brigante, brigante e mezzo. Chi gioca con i mezzi della comunicazione digitale, pensando di fare la rivoluzione a colpi di post e flash mob, poi si espone a simili (peraltro divertenti) rappresaglie. Alle sardine anti-salviniane hanno già risposto i gattini salviniani. E la partita politica, semmai iniziata, può dirsi già virtualmente conclusa”.
La verità è che la parola sardine si espone già tantissimo al contropiede della satira. E non basta la svolta ittica del popolo antisalviniano per costruire una narrazione che difficilmente può riprodursi nei termini di un programma. Dai girotondi al popolo viola, la pancia della sinistra non è riuscita a produrre nulla di duraturo. Appunto perché l’anti può servire a nutrire l’odio (contro Craxi, Berlusconi, Almirante, Cossiga e via dicendo), ma non a erigere proposte.
Ben venga dunque la mobilitazione delle sardine. Finché c’è la partecipazione delle agorà c’è politica. L’anomalia sta in altro (e non solo nel nome). Quando un popolo – che già è rappresentato da un maggioranza parlamentare che esprime a sua volta un esecutivo legittimo (il giallorosso con dentro Pd, M5s, Leu e Iv) – si scaglia contro una forza di opposizione, e lo fa dalla piazza, vuole dire che la dialettica democratica è in forte avaria. Una roba, cioè, che manco i talebani. Inutile ricordare che a chi non vuole Salvini premier, o non vuole i suoi uomini e donne a capo dell’Emilia-Romagna e della Calabria, basta non votare il Carroccio e i suoi alleati. Ecco arginato il presunto pericolo. Punto.