Storia. Francisco Franco, il Caudillo di Spagna che resiste alla damnatio memoriae

Francisco Franco
Francisco Franco

Tra le molte parole e considerazioni che accompagnano la recente decisione della Corte Suprema di Madrid di procedere all’esumazione del corpo di Francisco Franco, Caudillo de España dal 1936 alla morte, nel 1975, dalla Basilica del Valle de los Caidos al cimitero di Mongorrubio, al Pardo, presso la Residenza dove Franco visse quale capo della Spagna franchista, si distinguono ancora una volta per scarso rispetto alla storia, mistificazione, faziosità, buttate disinvoltamente nel calderone approssimativo della Damnatio Memoriae, quelle di “La Repubblica”, a firma di Ezio Mauro.

In un editoriale del 3 ottobre, “Il Corpo di Franco”, Mauro inanella una serie di luoghi comuni, e pure di autentiche banalità ‘democratico-progressiste’ (superiori, credo, anche agli standard medi di Repubblica), che il sottoscritto, senza ovviamente possedere l’autorevolezza giornalistica di Mauro, proverà non a correggere, ma a proporne una lettura diversa.

Valle de los Caídos

La Valle de los Caídos (Valle dei Caduti) o Basílica de la Santa Cruz del Valle de los Caídos è un monumento costruito fra il 1940 ed il ’58, situato nelle vicinanze del Palazzo Reale del Escorial, voluto da Filippo II, nella Sierra de Guadarrama, presso Madrid. Il complesso fu ideato da Francisco Franco per la sepoltura di José Antonio Primo de Rivera, fondatore della Falange Spagnola, fucilato nel carcere di Alicante nel 1936, durante la Guerra Civile, e di altri 40 mila combattenti che appartenevano ad entrambi gli schieramenti opposti nel conflitto. Secondo il decreto di fondazione del 1º aprile 1940, il monumento e la basilica si costruirono per: «Perpetuare la memoria dei caduti della nostra gloriosa Crociata. La dimensione della nostra Crociata, gli eroici sacrifici che la Vittoria comporta e la trascendenza che ha avuto per il futuro di Spagna quest’epopea, non possono restare perpetuati dai semplici monumenti con cui sogliono commemorarsi in paesi e città i fatti salienti della nostra storia e gli episodi gloriosi dei suoi figli.» Successivamente, il dittatore decise che  il monumento fosse dedicato a perpetuo ricordo dei caduti di entrambi gli opposti schieramenti. 

La lapide dedicata al Generalissimo Franco

Nel complesso si trovano un’abbazia benedettina, una basilica scavata nella roccia con le tombe di Franco, di Primo de Rivera e due cappelle dove sono sepolti militari dei due schieramenti. Sopra la basilica sorge la più alta croce cristiana del mondo: 150 metri di altezza, visibile a più di 40 chilometri di distanza.  Dall’accesso al recinto, una strada porta ai piedi del monumento della Santa Croce della Valle de los Caídos, sboccando su una grande spianata. A metà percorso fra l’ingresso e la spianata quattro grandi monoliti cilindrici di granito, alti 11,5 metri, che hanno il nome di Juanelos. 

Valle de los Caídos. Vista parziale della spianata dall’entrata del tempio

Nella spianata si trova l’ingresso alla cripta (o basilica) di 262 metri di lunghezza. Si scavarono 200.000 metri cubici di roccia per la sua costruzione. L’abbazia fu affidata ai benedettini con una decisione personale di Francisco Franco. Fin dal primo Governo presieduto da José Luis Rodríguez Zapatero, nel quadro della sua politica di revisionismo, la ‘Memoria Histórica’, si considerò il futuro destino della Valle de los Caidos. Nel 2006, in quanto giudicato non come un monumento di riconciliazione nazionale, ma come un monumento di esaltazione della dittatura contro la democrazia, si paventò l’idea di radere al suolo l’edificio; il Consiglio d’Europa approvò una proposta che invitava ad istituire una mostra permanente che spiegasse come fosse stata costruita la struttura. Il 16 ottobre 2007 si arrivò ad un compromesso legislativo che prevedeva che si spogliasse la Valle de los Caidos di tutto ciò che esaltasse una parte politica, ovvero che non si lasciasse alcunché che potesse esaltare la guerra civile o il franchismo. Fino alla decisione più recente di rimuovere la salma del Caudillo. 

‘Restos de Franco: por qué es tan polémico el Valle de los Caídos en España’, titolava BBC News Mundo, lo scorso 24 septiembre 2019:

‘I detrattori del monumento accusano Franco di essersi costruito un mausoleo. Da parte sua, la Fundación Nacional Francisco Franco afferma che fu il re Juan Carlos I a decidere di seppellire lì le spoglie del  Caudillo. La Fondazione, la famiglia Franco e settori di destra si oppongono alla traslazione e, se obbligati dalla legge, chiedono che essi siano composti nella  Cattedrale di Almudena, di fianco al Palazzo Reale di Madrid, dove la famiglia dispone già di un loculo. Il governo socialista rifiuta l’ipotesi ed il Tribunale Supremo lo appoggia. Il Partido Popular argomenta, da parte sua, che rimestare  la faccenda può riaprire le ferite del passato e causare divisioni. Il PP non pensa dedicare neppure un minuto alla notizia, un dibattito che non apporta nulla di positivo alla società, mentre i Popolari si occupano dei vivi. Altri esponenti dello spettro politico, come Vox, di estrema destra, considera l’iniziativa socialista esclusivamente come una manovra politica in vista delle  elezioni generali del prossimo 10 novembre, le quarte in 4 anni’.

           (https://www.bbc.com/mundo/noticias-internacional-49808171)

Per Eduardo Inda, noto giornalista di Pamplona: 

‘Pedro Sánchez vuol convertire l’esumazione dei resti di Franco in un gran atto di campagna elettorale. Se esumano il dittatore spero e desidero che si ritiri il nome di Carrillo, che assassinò 6.000 persone a Paracuellos, della ‘Pasionaria’, di Largo Caballero o del pluriomicida Lluís Companys a tutte le vie e monumenti’.

(https://www.elconfidencial.com/cultura/2017-03-02/franco- tumba-154_1341378)     

Franco non lasciò disposizioni e la sua ultima dimora (almeno nelle convinzioni dell’ora) s’improvvisò in tre giorni. Fu in effetti Carlos Arias Navarro, Presidente del Governo, col consenso del re, a pensare che il luogo più idoneo era il grandioso ‘tempio dei morti’, per gli eroi, i martiri per Dio e per la Patria, infine per i caduti delle due parti in aspro conflitto. Carmen Polo, la vedova, desiderava una sepoltura al Pardo. Terminò con la tumulazione nella Basilica de la Santa Cruz del Valle de los Caídos: una sobria tomba con una pesante pietra sepolcrale adagiata sul pavimento, uguale a quella di José Antonio Primo de Rivera. 

Franco non sopportava il marchese de Estella, Grande di Spagna, da vivo, pur utilizzandone il mito, l’aura di martirio: avrebbe proprio voluto ritrovarselo accanto da morto?

Franco alla inaugurazione della Valle dei caduti

So, da buona fonte, che negli ultimi tempi Franco era solito dire agli intimi: ‘Io muoio al potere. Dopo di me cambia tutto. I caudillos non fondano regimi, non hanno successori’. E così fu, venne la transizione (in fondo preparata sin dal 1949, quando la Spagna ufficialmente tornò ad essere una monarchia legittima), da tutti attesa, immaginata, ma senza revanscismi. Essi spuntarono assurdamente fuori 30 anni dopo….

Pertanto fa sorridere quanto scrive Ezio Mauro: “Finisce così, dopo oltre 40 anni, il funerale del dittatore che si ribellò alla morte, non voleva morire e si ribellò persino alla sua stessa agonia dilatandola oltre il disumano”. Ma quando mai? Avrà, anzi, in cuor suo maledetto il genero Cristóbal Martínez-Bordiú, il playboy che si credeva un gran cardiochirurgo (come disse il celebre dr. Barnard),  e che non voleva lasciarlo morire, almeno fin che lo accompagnò la lucidità… Altro che: “l’arcivescovo di Saragozza stende sul suo letto il mantello della Vergine del Pilar. Riesce a baciarlo, e quando apre gli occhi fissando il cappellano Bulart sembra che adesso pretenda da Dio quell’aiuto eccezionale a cui pensa di avere diritto per le sue imprese, come difensore della cristianità che ha consacrato la Spagna alla Santa Eucarestia”. 

Per Mauro, dopo l’attentato a Carrero Blanco, nel 1973, “Franco piange in tv ai funerali, quando l’ETA con un attentato feroce fa saltare per aria il primo ministro, e con quella bomba esplode anche la sua pretesa di controllarlo l’avvenire, comandarlo, guidandolo persino dopo la sua scomparsa, l’unica vera forma di immortalità”! Come se veramente il Caudillo avesse pensato che l’ammiraglio Luis Carrero Blanco, già quasi settantanne, per quanto di sua completa fiducia, potesse succedergli quale capo del franchismo! E giù, i pettegolezzi e le fregnacce: “Lui dormiva col vecchio mitragliatore belga sotto il letto, probabilmente assediato dal ricordo delle repressioni sanguinose che aveva scatenato, i 200 mila morti giustiziati con la garrota o la fucilazione, i 300 mila incarcerati, le prove violente esibite in pubblico contro il dissenso, il lapis rosso e blu ‘Faber’ con cui siglava le condanne da eseguire e quelle da rinviare, mentre faceva merenda con i soliti biscotti”. 

C’è da rimanere perplessi. “Per il premier Pedro Sánchez è una grande vittoria della democrazia spagnola, per riparare le sofferenze delle vittime di Franco”, pronuncia estasiato il nostro Mauro ‘sanculotto’, invece di scrivere quello che molti pensano: “basso sciacallaggio politico, condito con salsa tanatofila”. Per concludere con un’altra tetra spiritosaggine: “Non aveva lasciato scritto dove voleva essere sepolto, ma aveva fatto di più, progettando il sacrario monumentale ai caduti, moderna piramide del franchismo, costruita dai prigionieri politici (…). Un monumento specchio per il dittatore, fuori dal tempo, con la pretesa di fermare la storia nella gloria della pietra. Oggi quella pietra si ribella”!    

Abbiamo visto che non fu esattamente così. E Franco non stava fuori del proprio tempo, almeno non nel 1939 ed anni seguenti, quando “sfascistizzò” il regime e cedette le basi agli USA. Fortebraccio non avrebbe mai scritto simili storielle, anche se i suoi lettori eran di bocca buona…

Le testimonianze più accreditate, gli storici, descrivono Franco come un uomo, un militare – l’eroe del  Tercio de Extranjeros – convinto di dover espletare una missione civile al servizio del riscatto spagnolo (¡Una, Grande, Libre!), non straordinario intellettualmente e neppure una ‘Madre Teresa’, certo un capo duro, astuto, dalla irreprensibile vita privata. Contrariamente a Mussolini, Francisco Franco non incoraggiò mai un “culto” del proprio corpo, anche perchè era tondo e basso. “Paquita culona” lo sbeffeggiava il generale Queipo de Llano, dalla lingua biforcuta… Non era esente da alcune debolezze del ‘culto della personalità’, come quella di assegnare titoli nobiliari o ribattezzare El Ferrol del Caudillo la città natale. Egli era forse miglior politico che militare, nonostante fosse asceso al generalato a 33 anni, essendo il generale più giovane d’Europa. I grandi eccidi della guerra civile spagnola, checchè ne dicano oggi i ‘sinistri’ d’ogni latitudine, furono peraltro quasi tutti opera dei ‘rossi’; anarchici e comunisti rivaleggiarono in brutalità…e poi vennero le rappresaglie, tipiche delle ‘guerre sporche’. Franco seppe poi mantenere coeso il Movimiento, a dispetto delle cento rissose anime della destra spagnola, e unita la nazione, reduce da infinite lotte fratricide e da sempre vittima dei suoi demoni separatisti.

Con transizione spagnola o transizione democratica, s’intende il periodo tra la fine (con i suoi vari ed eminentemente pacifici passaggi) tra il  regime del generalisimo Francisco Franco, e la Monarchia Costituzionale che consacrava uno Stato democratico, rappresentativo, di diritto. Cioè tra la proclamazione di Juan Carlos I di Borbone (scelto da Franco nel 1969 quale successore al vertice dello Stato) come  Re di Spagna il 22 novembre 1975 (nonostante l’opposizione del padre, il Conte di Barcellona, escluso per volontà di Franco stesso) e l’entrata in vigore della Costituzione il 29 dicembre 1978 (secondo altri, essa si prolungò fino al 1º marzo 1979, data delle elezioni della Prima Legislatura). 

Il 22 novembre 1975, Juan Carlos I di Borbone venne proclamato re davanti alle Cortes e al Consiglio del Regno. Il re confermò nel ruolo il Presidente del Governo, Arias Navarro. In quell’esecutivo Manuel Fraga Iribarne fu voluto dal sovrano come esponente riformatore e fu nominato Vice Presidente del Governo e Ministro dell’Interno. Juan Carlos inizia così il suo regno senza uscire dai binari della “legalità franchista”. Giura fedeltà ai princìpi del Movimiento, prende possesso della corona davanti alle Cortes franchiste e rispetta la Legge Organica dello Stato del 1966 per la nomina del Capo di Stato. Nonostante ciò, già nel suo discorso davanti alle Cortes si mostra aperto ad una trasformazione del sistema politico. Presto si manifesta la difficoltà di portare a compimento riforme politiche sotto il governo di Arias Navarro, producendosi un distacco sempre maggiore tra il sovrano ed il predetto, che presenta le proprie dimissioni il 1º luglio 1976. 

Torcuato Fernández-Miranda Hevia, presidente del Consiglio del Regno, ottenne che, nella nuova terna di candidati alla presidenza del governo, entrasse lo stesso Segretario Generale del Movimiento, Adolfo Suárez González. Fraga e Areilza si autoesclusero dal nuovo esecutivo e Arias venne sostituito da Adolfo Suárez, ultimo capo del Movimiento Nacional, il partito unico, che s’incaricò di intraprendere le trattative con i principali leader dei diversi partiti e delle forze sociali, per elaborare una Costituzione democratica. Durante il mese di novembre la Legge sulla Riforma Politica venne discussa dalle Cortes, sotto la presidenza di Fernández Miranda, e approvata con 425 voti a favore, 59 contro e 13 astenuti. Non definiva e delimitava ciò che sarebbe diventato il nuovo sistema politico, semplicemente eliminava gli ostacoli posti dal regime all’insediamento di un sistema democratico. In realtà, era l’atto di liquidazione del franchismo, approvato proprio dalle Cortes franchiste! Abile fu l’opera di Adolfo Suarez, l’uomo forse più adatto per tessere e portare a buon fine la complessa operazione, assai difficile: convincere i politici del sistema insediati nelle Cortes Españolas a… smantellare il sistema stesso. In questo modo veniva formalmente rispettata la legalità franchista e si evitava, prevedibilmente, il pericolo di un intervento dei capi dell’Esercito nel processo di transizione. Il governo volle poi legittimare questa operazione sottoponendo la nuova legge ad un Referendum, il 15 dicembre 1976,  a cui partecipò il 77,72% dell’elettorato, di cui il 94% diede l’approvazione.

A partire da quel momento, il processo elettorale era aperto per scegliere i deputati delle Corti Costituenti, incaricate di elaborare una nuova Costituzione. Questa norma, in soli cinque articoli, conteneva la tacita deroga al sistema politico franchista. Suárez aveva un problema importante da risolvere: l’assimilazione dell’opposizione clandestina nel processo di democratizzazione, ormai attivato. Per questo egli affrontò uno dei problemi più delicati, la legalizzazione delle forze di opposizione radicale. L’8 febbraio 1977 viene approvato un decreto legge sulla Riforma Politica e, successivamente, nel marzo 1977, venne legalizzata la maggioranza dei partiti, mentre con un altro decreto legge vennero stabiliti i requisiti per la loro legalizzazione. Per dare credibilità al progetto, il governo aveva adottato una serie di misure. Nel luglio 1976 vi fu pure un’amnistia politica parziale, ampliata nel marzo 1977, e portata a termine nel maggio successivo. 

L’approvazione di questa legge diede origine, il 15 giugno 1977, alle prime elezioni democratiche, senza esclusioni significative. L’Unione del Centro Democratico di Suárez, il partito più votato, fu incaricato di formare il governo. Inizia, quindi, il processo di redazione della Costituzione da parte del Parlamento, poi approvata dal referendum popolare del  6 dicembre 1978. Le elezioni legislative del 1979 furono vinte con 168 seggi su 350 dell’UCD del primo ministro uscente, Adolfo Suárez. La normalizzazione democratica non evitò le continue azioni terroristiche, violente dell’ETA (Euskadi Ta Askatasuna, País Vasco y Libertad), l’organizzazione nazionalista basca e marxista rivoluzionaria, del FRAP (Frente Revolucionario Antifascista y Patriota), marxista-leninista, e del gruppo maoista GRAPO (Grupos de Resistencia Antifascista Primero de Octubre): per il GRAPO gli attentati erano rivolti contro le forze armate e di sicurezza definite strumenti di repressione di uno Stato capitalista ed oppressore, che ingannava il popolo lavoratore, sia attraverso la dittatura, che con la falsa democrazia occidentale, liberale e borghese. Pertanto i sovversivi non erano specificamente contro il regime franchista, come concionavano i nostri ‘sinistri’, giustificandoli, e come poi si vide…. 

Parallelamente si percepiva, in un settore delle Forze Armate, una situazione di crescente inquietudine. Il tentativo di colpo di Stato da parte di un gruppo di militari della Guardia Civil comandati dal Tenente Colonnello Antonio Tejero Molina, il pomeriggio del 23 febbraio 1981, non riuscì ad instaurare un Governo militare, seppur il malcontento di una parte delle Forze Armate era chiaro. Allo stesso tempo aumentò, però, il prestigio del re Juan Carlos I, considerato da allora il supremo ed imprescindibile garante del nuovo ‘corso democratico’. 

Un passo indietro. Il 25 aprile 1974 in Portogallo un’insurrezione militare (la cosiddetta ‘Rivoluzione dei Garofani’) provocava la caduta dell’ ‘Estado Novo’, vagamente corporativo, sorto nel 1933, con António de Oliveira Salazar  quale ‘uomo forte’ (più che dittatore)  fino al  1968, rinunciando per malattia ai 79 anni e morendo due anni più tardi, dando origine ad una repubblica semipresidenziale democratica. La caduta del regime portoghese autoritario suscita una forte inquietudine tra i politici spagnoli franchisti. Il 1º maggio 1974, più di un milione di persone marciano per le strade di Lisbona, richiedendo una maggior giustizia sociale, spostandosi politicamente verso sinistra, con una presenza considerevole di comunisti, specialmente rappresentati da alcuni esponenti dell’alta ufficialità delle Forze Armate.

La ‘questione’ portoghese aveva suscitato preoccupazione nelle cancellerie occidentali: Willy Brandt sosteneva che, quanto più la sinistra si fosse inserita nelle istituzioni in Portogallo, tanto più la destra, almeno nel breve periodo,  si sarebbe rafforzata in Spagna. Henry Kissinger si espresse nella stessa direzione, mostrandosi d’accordo sul fatto che la Revolução dos Cravos non si dovesse ripetere nel Paese vicino; non era accettabile che di fronte alla imminente morte di Franco non fosse presente un’opposizione moderata. I potenziali democristiani erano assai divisi e lo strapotere dell’Opus Dei non favoriva la sintesi…Occorreva evitare il rischio della polarizzazione. È proprio durante quegli anni che la ‘Piattaforma Democratica’ guidata dal socialista PSOE si affianca alla ‘Giunta Democratica’ del PCE (i comunisti di Santiago Carrillo). 

Dopo l’attentato dell’Eta del 20 dicembre 1973, quando perde la vita il Capo del governo dal giugno precedente, l’ammiraglio Carrero Blanco, e la malattia di Franco, che conserva la Jefatura dello Stato, ma cede l’Esecutivo, gran parte del potere ricade nelle mani di Carlos Arias Navarro, nuovo Presidente del governo. Egli cercò di introdurre alcune riforme all’interno del decadente regime, neutralizzato tra le sue due fazioni in lotta: gli ortodossi del franchismo e gli aperturisti, che promuovevano una transizione verso un regime democratico, con elezioni libere.

(Da: A. Botti, C. Adagio, Storia della Spagna democratica. Da Franco a Zapatero, Mondadori, 2006;  https://it.wikipedia.org/wiki/Transizione_spagnola).

Ludovico Incisa di Camerana, un diplomatico italiano che fu destinato quale Consigliere alla nostra Ambasciata in Madrid negli anni ’60, quando già si manifestava insofferenza per il regime franchista (e la ricerca di una transizione ad un regime “più liberale ed europeo”), ha lasciato una pregnante testimonianza del suo prolungato e privilegiato soggiorno quale osservatore in Spagna senza miti, (Ludovico Garruccio, pseud.), Milano Mursia, 1968. 

Nel Prologo l’autore presenta ed individua la specificità della Spagna del suo tempo, 50 anni fa, e… di sempre! 

‘La Spagna è sempre stata oggetto di definizioni appassionate e controverse. Le sue repentine fortune storiche e l’inizio quasi inmediato di una lenta decadenza propongono ancora allo storico ardui interrogativi. Le sue stesse origini etniche sono spunto di aspre discussioni. Permane il mistero delle razze sommerse nel magma centralista dei re cattolici: due storici insigni come Amedeo Castro e Claudio Sánchez Albornoz polemizzano tuttora sulla predominanza o meno del fondo celtibero preromano o degli elementi post-romani e soprattutto delle due civiltà ripudiate. L’ebraica e la moresca. Ai giorni nostri la lunga dittatura che succede al periodo di intenso fervore politico e di accese tensioni culminato nella Guerra Civile del ’36, se attira una valutazione pressoché unanime sul piano etico, è oggetto, nel merito, di giudizi di valore distinti se non opposti. Su ogni fenomeno spagnolo ricorrono in Europa sentenze positive o negative sovente dettate dalla passione di parte o, più semplicemente, dall’ignoranza (…). L’ultima immagine europea della Spagna è quella divulgata dagli intellettuali del ’36: la Spagna intrepida della Guerra Civile. Agli intellettuali francesi delusi dal Fronte Popolare, agli americani francesizzati dei roaring twentes, ai molti anglosassoni innamorati del mondo latino, stanchi della grettezza piccolo-borghese che esauriva la carica vitale della sinistra francese proprio quando incombevano i fascismi, e disgustati dalla leziosaggine  e dalla frivola accettazione del fascismo e del bellicismo da parte della società italiana, la Spagna appariva come l’ultimo ridotto della fantasia latina, come un mondo spontaneo e generoso che accettava senza esitare un destino di lotta. Era la Virgin Spain di Waldo Frank, la fidanzata dell’Europa antifascista: il Paese dove il senso della morte e della tragedia  accresceva l’intensità della vita, purificando e rendendo autentico ogni sentimento, riscattando ogni impegno dalla retorica’.

Un’immagine epica che contrasta e stride con la nazione del “desarrollo”:

‘La Spagna degli anni 40, quella degli anni ’50 ed infine quella degli anni ’60. I libri di Hemingway, di Malraux, di Koestler, non servivano più da Baedeker ai milioni di turisti che arrivavano sulla Costa Brava, a Torremolinos, a Benidorm, a Maiorca, nelle lontane Canarie. Una Spagna che si sarebbe preferito veder irrigidita nel dolore e nel lutto o in preda ad eroici furori, non era in fondo che un Paese di camerieri cortesi, albergatori corretti, pappagalli di bocca buona ed entraîneuses compiacenti. All’oleografia del ’36 succede una nuova oleografia: la Spagna dei turisti, piacevole, godereccia, à la page. Il duca di Wellington diceva che la Spagna era l’unico Paese dove due più due non fa quattro. Ed effettivamente, per molti interpreti della Spagna, europei e anche spagnoli, i conti non tornano: la dittatura non crolla, la palingenesi rivoluzionaria non arriva, la classe operaia non organizza lo sciopero generale politico. (…). È un Paese complesso, che spesso si è crogiolato nel mito delle sue diversità, che ama la sua complessità’.

La Stampa, 2.10.75: 

“Stamane tre poliziotti sono stati uccisi a Madrid, a sangue freddo, senza una parola o un gesto. È un atto inequivocabile di terrorismo politico, forse sfida. Forse provocazione, appena tre ore prima che Franco,con voce tremente, celebrasse il suo giorno di festa davanti a una Plaza de Oriente colorata di folle e di bandiere (…) Oggi tutti sanno che le lotte di palazzo dilaniano un corpo già privo di vita, c’è un vuoto di iniziativa che cinque fucilazioni e un’adunata oceanica non riescono più a nascondere…Potrebbero essere gli estremisti di destra favorevoli a creare un clima di guerra civile ed a scatenare la ‘Caccia al rosso’, dietro la protezione di un nuovo governo di emergenza, duro, autoritario, ferocemente repressivo”. 

Una delle varie ricostruzioni alquanto fantasiose, con valutazione infondate o faziose che segneranno le corrispondenze da Madrid per “La Stampa” di Mimmo Càndito, in quegli anni iniziali della transizione. Commenti volti a ingigantire il ruolo delle destre franchiste, contrarie ad ogni apertura, del cosiddetto ‘bunker’ (invece ridotto, velleitario e marginale), a vedere ovunque “piste nere” ed a giustificare ogni eccesso ‘democratico ed antifascista’, secondo il collaudato copione dell’Italia degli anni ’70, quelli della disinformazione di sinistra. In Spagna “le forze reazionarie e fasciste potevano costituire un ostacolo insuperabile, e addirittura un pericolo di colpo di stato, per l’instaurazione di un regime di governo militare” delirava la buonanima…  Vulgata sinistrorsa e di grana grossa, interpretazioni frettolose, iperideologizzate, poi sovente riprese da “La Repubblica”, dall’”Unità” o dal “Manifesto”.

Cinque  terroristi baschi e di estrema sinistra, assassini di poliziotti, erano stati giustiziati il 27 settembre ’75, a seguito di sentenze di condanna da parte dei Consigli di Guerra, molto commentate dai media internazionali, che alzarono ondate di protesta, presentando i condannati come idealisti perseguiti per le loro aspirazioni di libertà e democrazia. Persino il Pontefice Paolo VI intercedette per risparmiare le loro vite. Clemenza fu chiesta da Capi di Stato e di governo. Altri sei condannati a morte furono, peraltro, indultati.  “L’Unità”, organo ufficiale del P.C.I., titolò la prima pagina con caratteri enormi: “FASCISMO INFAME”.  Inoltre gli  “Eurocomunisti”  avevano inviato i loro attivisti ad assaltare Consolati ed Uffici del Turismo Spagnoli e non solo in Italia. Auto di privati cittadini con targa spagnola furono distrutte o vandalizzate. Ed il giorno 

seguente, per rappresaglia, altri tre poliziotti furono assassinati, alla stessa ora, come detto, da commandos terroristi ‘etarra’ o comunisti. Il regime, apertamente sfidato, sembrava non poter controllare l’ordine pubblico. Mercoledì primo ottobre Francisco Franco, Capo di Stato – sempre più lasciando alle monete l’orgoglioso titolo del passato: Caudillo de España por la Gracia de Dios – parlerebbe alla nazione, indignata per tante aggressioni, dal balcone del Palazzo d’Oriente di Madrid.  Tutti sapevano che la salute del vecchio Generalísimo era delicata, che l’incontro poteva essere l’ultimo. In Spagna si parlava ovunque di “aperturismo”, in contrapposizione al supposto “búnker falangista”, per chiudere un’epoca.

La Plaza de Oriente era colma di gente. Non erano il milione promessi dagli organizzatori, ma varie centinaia di migliaia. Una vera adunata oceanica. Non tutti entusiasti di gridare “¡Arriba Franco!” eppur felici di dispiegare e far ondeggiare la bandiera, orgogliosi della propria ‘hispanidad’, rivindicando una dignità nazionale offesa. Soprattutto preoccupati per la violenza estremista, desiderosi di pace e tranquillità. Ciò che in fondo il  franchismo aveva assicurato per decenni. Era una Spagna che sognava con la Comunità Europea, libertà, consumi, auto, vacanze, molti diritti e pochi doveri, non con i miti e le crociate del passato. Nessuno voleva un’altra guerra civile o scontri sanguinosi. Il regime stava morendo come il suo capo indiscusso. Il futuro Re, da molti spregiativamente soprannominato ‘Juan Carlos el Breve’, pareva poco amato, con scarso carisma. Solo i più ottimisti pensavano che il ‘Paco’ aveva buon olfatto e se così aveva deciso, scartando pure il duca Alfonso di Cadice, marito dell’amata nipote Maria del Carmen Martínez-Bordiú, avrà avuto le sue buone ragioni. Infine, Francisco Franco apparve, nell’ uniforme di gran gala di Capitano Generale dell’Esercito, con gli occhiali scuri, circondato dalla sorridente moglie, doña Carmen, dagli impassibili Prìncipi di Spagna, dal Presidente del Governo, Arias Navarro, acclamati dalla moltitudine. Con la voce malferma del malato di Parkinson, tremante e difficile da capire, ma  omaggiato con ricorrenti  pañueladas, il Caudillo  lesse un breve testo, esaltando il valore dell’entità spirituale ispana: 

“Spagnoli, grazie per la vostra adesione e per la serena e virile manifestazione pubblica che mi offrite in compensazione alle aggressioni di cui sono state oggetto varie delle nostre rappresentanze e sedi spagnole in Europa. Tutto obbedisce a una cospirazione massonica di sinistra della classe politica, in combutta con la sovversione terrorista comunista sul piano sociale…”.

Poi alcuni presenti alzarono il braccio ed intonarono “Cara al Sol”, mentre il Generalísimo si ritirava dal balcone. Piangendo, si seppe poi, lui che possedeva leggendari nervi d’acciaio, che aveva con successo fronteggiato Hitler, a Hendaya, nell’ottobre del 1940. Un momento emozionante. I presenti avevano la netta sensazione di essere gli ultimi testimoni di un lungo periodo di  miserie, crudeltà, sviluppo, illusioni, di guerra e poi di pace, che stava esaurendosi, inesorabilmente. Al “Caudillo de España” restavano, infatti, 50 giorni di vita, almeno 40 dei quali di dolorosa agonia e di coma. 

Alcuni attivisti del movimento, con la camicia blu, si allontanarono e furono a cantare varie volte “Cara al Sol”, con il braccio teso, di fronte ai ministeri e caserme.  Al principio erano sette-ottocento.  Alla fine circa 200.  Lungo il cammino, tra un luogo e l’altro, si sfilavano gli affamati ed i tiepidi, un po’ stufi di sempre intonare i versi di José Antonio, del 1936: 

“Cara al sol con la camisa nueva que tú bordaste en rojo ayer…Volverán banderas victoriosas al paso alegre de la paz y traerán prendidas cinco rosas: las flechas de mi haz… ¡Arriba escuadras a vencer que en España empieza a amanecer!”.

Una settimana dopo Francisco Franco è ricoverato e si diffonde il sospetto che sia tenuto in vita quasi artificialmente per alcune settimane, nella clinica del genero, il yernísimo, marchese di Villaverde, fino alla morte, il 20 novembre 1975,  presumibilmente per far coincidere la data con quella della esecuzione di José Antonio. Una folla strabocchevole rende, quindi, omaggio alla salma del defunto Caudillo, deceduto a quasi 83 anni, segno di una perdurante popolarità in vasti settori di opinione pubblica. Il ‘consenso’ non era solo propaganda. Due giorni dopo la morte di Franco, don Juan Carlos di Borbone divenne Capo di Stato, proclamato Re in virtù della Legge sulla Successione nel Comando dello Stato. Fino a quel momento, il principe si era mantenuto discretamente in secondo piano. L’introduzione di un sistema politico democratico nella nazione raccoglieva ampi consensi sia dentro che fuori la Spagna: i Paesi occidentali, un settore importante del capitalismo spagnolo ed internazionale, la maggior parte dell’opposizione al franchismo ed una parte crescente del proprio apparato.                                                         

Si delinea ora il ruolo politico, inesperato, di re Juan Carlos I,  proprio quando  il cosiddetto ‘Eurocomunismo’ (svincolato da Mosca, sia pure non del tutto) suscita timori o speranze nel continente. La transizione dovette, tuttavia, superare le resistenze originate dal proprio regime, in uno sfondo di tensioni causate da gruppi radicali di estrema sinistra e di estrema destra. Nel corso dei primi istanti del suo mandato, il re, abbiamo visto, colloca uno dei suoi fedeli collaboratori alla presidenza del Consiglio del Regno e delle Cortes Españolas, Torcuato Fernández-Miranda Hevia, un uomo pubblico franchista che condivideva con il monarca la necessità che la Spagna sviluppasse un sistema democratico, apportando le sue solide conoscenze giuridiche al progetto. La realizzazione dello stesso richiedeva che l’opposizione controllasse i propri sostenitori, in modo da evitare qualsiasi provocazione e che l’Esercito non cedesse alla tentazione di intervenire nel processo politico per salvare le strutture del regime. La condotta politica di don Juan Carlos e dei suoi collaboratori si mosse in questa doppia direzione. 

Davanti alla nuova tappa storica che si apriva, c’erano tre atteggiamenti chiaramente diversi: A). I sostenitori del regime autoritario, del partito unico, difensori del mantenimento della “legalità franchista”. Nonostante lo scarso appoggio sociale, l’esercito (uno dei due pilastri del regime, con la Chiesa) aveva un peso rilevante. Viceversa, nessun fascista occupava da tempo posti rilevanti; B). L’opposizione di sinistra, organizzata inizialmente in due associazioni di partiti politici, le accennate ‘Giunta Democratica’ e ‘Piattaforma di Convergenza Democratica’, note come Platajunta. Difendevano la frattura legale con il regime franchista per passare direttamente ad uno Stato democratico e progressista; C). Altri esponenti moderati del Movimiento Nacional, come Torcuato Fernández-Miranda Hevia, professore di Diritto Politico di Juan Carlos I, e l’ex ministro Manuel Fraga Iribarne, sostenevano l’opportunità di riformare le Leggi Fondamentali del Movimiento mediante nuove disposizioni, per giungere così alla democrazia evitando vuoti legali. Lo stesso sovrano, dopo essersi dichiarato pienamente favorevole alla creazione di un sistema democratico in Spagna durante un viaggio negli Stati Uniti, decise, il 5 luglio 1976, di accettare (o pretendere) le dimissioni di Carlos Arias Navarro. Il cambio fu suggerito (o imposto) da Washington?

Nel 1936 l’Alzamiento del 18 luglio di Franco e dei militari nazionalisti fu reso possibile grazie all’aiuto militare di Italia e Germania ed al tacito beneplacito inglese (ed americano, quindi). Il Regno Unito non desiderava una Spagna repubblicana socialcomunista, specialmente dopo la vittoria del Fronte Popolare in Francia, a maggio. I tentativi di penetrazione di Stalin suscitavano la più ferma opposizione. Londra non voleva neppure insediare un regime fascista a Madrid, ma vedeva di buon occhio un regime militare conservatore. In cambio dell’aiuto, Franco s’impegnò segretamente a non toccare lo statu-quo di Gibilterra e l’Italia fascista ebbe sanzioni moderate dopo la conquista dell’Etiopia. Anche la Germania nazista fu ‘compensata’ in vari modi, almeno fino all’occupazione di Praga, nella primavera del 1939.

L’appoggio di Stati Uniti  e Gran Bretagna è fondamentale anche nella transizione di Juan Carlos I, simboleggiato dalla visita in Spagna del presidente statunitense Ronald Reagan nel 1981, poco dopo il fallito colpo di stato di Tejero del 23 febbraio.  I vari tasselli vanno al loro posto. Una volta assicurata la democrazia, i principali Paesi europei accettarono l’integrazione della Spagna nella CEE, dopo vent’anni dalla prima petizione. Le negoziazioni furono rapide ed ottennero che la nazione iberica diventasse membro di pieno diritto nella CEE, dal 1º gennaio 1986. Nel 1992 la Spagna sottoscrisse il Trattato di Maastricht, che trasformava la Comunità in Unione Europea e stabiliva una futura moneta unica, l’euro. 

 Poco prima della fine del governo dell’UCD, il presidente del governo Leopoldo Calvo Sotelo, succeduto a Suárez, ottenne che il Parlamento autorizzasse l’ingresso della Spagna nell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO). Il 10 dicembre 1981, a Bruxelles, veniva firmato il protocollo di adesione. Il PSOE, dopo aver vinto le elezioni, bloccò  l’ingresso. Nonostante questo, col passare degli anni Felipe González mutò la sua posizione, rendendosi conto che l’appartenenza all’Alleanza era un requisito per la piena integrazione in Occidente. Nel marzo ’86 si terrà il promesso referendum con un risultato favorevole all’adesione.

Non tutto fu un procedere sul velluto per i governi della nuova Spagna. Il malcontento dell’opposizione stava aumentando, le manifestazioni erano frequenti e nel Paese Basco la tensione cresceva incessantemente. La scalata del terrorismo era seria e preoccupante. I gruppi terroristici principali attivi in questo periodo erano i maoisti del GRAPO e, ancor più, l’ETA, l’organizzazione nazionalista basca che postulava la separazione da Madrid e praticava la lotta armata. Godeva di numerosi “santuari” in Francia. La situazione durerà a lungo.

Con Adolfo Suárez, Torcuato Fernández-Miranda Hevia, Manuel Fraga Iribarne, José María de Areilza e Antonio Garrigues Walker furono gli artefici del nuovo corso. Oltre il sovrano, Juan Carlos I, per decenni estremamente apprezzato e stimato dalla maggioranza dei suoi compatrioti, convinti di un perdurante ruolo positivo della monarchia, e fuori della Spagna.

Torcuato Fernández-Miranda Hevia (1915–1980), Professore di diritto, franchista di radici  monarchiche, fu rettore dell’Università di Oviedo tra il 1951 ed il 1953 e poi docente all’Università di Salamanca. Dal 1969 al 1974 fu Segretario Generale del Movimiento Nacional, con il rango di ministro, nel 1973 nominato Vice Presidente del Governo. Dal 20 dicembre al 31 dicembre del 1973, a seguito dell’attentato in cui perse la vita l’ammiraglio Carrero Blanco, supplì alla presidenza dell’Esecutivo. Fu in ballottaggio per guidare il successivo governo, ma Franco gli preferì infine Carlos Arias Navarro. Dal 1969 fu professore di diritto, mentore e consigliere del Prìncipe di Spagna. Il 6 dicembre 1975, appena divenuto re, Juan Carlos  lo volle Presidente del Consiglio del Regno e delle Cortes Españolas, cariche fondamentali, fino al loro scioglimento, e lo sostenne durante la transizione alla democrazia. Nel 1977 lo nominò Duca di Fernández-Miranda. Dal 1977 al 1979 fu senatore nelle Cortes Generales, per designazione reale.   Fernández-Miranda è considerato da molti l’esponente più autorevole, il supremo tessitore ed artefice della ‘transizione’ spagnola.

Gli spagnoli, indipendentemente dalle preferenze politiche o dalle diverse letture della propria storia, dagli stessi odî o passioni, potrebbero ora preoccuparsi di salvare una testimonianza di essa, un po’ come la salma imbalsamata di Lenin sulla Piazza Rossa di Mosca, il sarcofago di Napoleone agli Invalides di Parigi e così via. Invece no! Hanno mille problemi, a cominciare dall’invocata indipendenza catalana, ed il Capo del Governo socialista è ossessionato col trasferire in un altro luogo le ossa di una personaggio, che di quella storia fu protagonista nel bene e nel male, morto 44 anni fa! La sepoltura è un fatto storico che andrebbe guardata e giudicata storicamente, non strumentalizzata elettoralmente. Come disse un giorno Manuel Fraga Iribarne, gran politico del franchismo riformista e del post-franchismo, criticando il Presidente del Governo, il socialista José Luis Rodríguez Zapatero: «Todo esto de la ‘Memoria Histórica’… un intento de ir a contramarcha de la historia».​ 

Un po’ come i giacobini a Saint-Denis, nel 1793, profanando, tra le altre, la tomba di Enrico IV – assassinato nel 1610 da un fanatico cattolico, François Ravaillac – con relativo schiaffo alla mummia, come narra Alexandre Dumas…

@barbadilloit

Gianni Marocco

Gianni Marocco su Barbadillo.it

Exit mobile version