L’intervista. Alain de Benoist: “L’islamofobia è una pericolosa semplificazione”

Alain de Benoist
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Alain de Benoist, l’islamofobia, una parola recente e piuttosto vaga, tende a invadere lo spazio pubblico. È anche ora nel dizionario. Ma, in fondo, cosa significa?

“Nel suo stesso significato, il termine si riferisce alla paura o alla repulsione (phobos), ma l’ideologia dominante preferisce trascinarla verso l’odio e il disprezzo. Poiché la paura è contagiosa e l’odio provoca odio, non c’è ovviamente alcun termine per descrivere l’effetto della reciprocità. Detto questo, ci sono naturalmente persone che odiano l’Islam in linea di principio e tutto ciò che è collegato ad esso, e le loro ossessioni convulse invadono i social network ogni giorno. Ma in realtà, si sa, la contemporanea denuncia del “fobie” è in primo luogo parte di una tattica ormai consolidata di fare uso di un moto di repulsione per sviluppare una retorica volta radicalmente a delegittimare certe posizioni. Questo vale per l’islamofobia come per l’omofobia, la gynophobie, la giudeofobia, la cattofobia, l’americanismo, la transfobia, grossophobie, e non dimenticate la tripofobia, che è la paura del buco.

Nel caso di denuncia di “islamofobia”, prima di rivelare qualsiasi critica, ne consegue che anche l’Islam moderato diventa moralmente insopportabile, politicamente ripugnante e penalmente perseguibile. Secondo la Commissione consultiva nazionale per i diritti umani (CNCDH), i francesi sarebbero “islamofobi” per l’86% sull’indossare il velo integrale, ma solo per il 24% riguardo il digiuno del Ramadan (non è chiaro se l'”Islamofobia” si abbatte ancora per quanto riguarda i “jolies Beurettes”). Nel suo recente libro, “L’islamofobia: intossicazione ideologica”, Filippo d’Iribarne dimostra perfettamente che l’uso di questa parola ha due obiettivi: convincere i musulmani che sono oggetto di discriminazione pervasiva e sono quindi vittime (oggi tutti passano per vittime) e mantenere negli europei un senso di colpa che li rende incapaci di vedere la realtà così com’è.

Se pensiamo, ad esempio, che esiste necessariamente una relazione tra l’Islam e il jihadismo, poiché, fino a quando non sono più informati, è Allah che i terroristi islamisti rivendicano e non Giove o il Buddismo Zen, quindi dovremmo fare una “amalgama” e invocare l’odio contro i musulmani, il che è ridicolo. Ci si trova così bloccati tra quelli per cui “non c’è nulla da fare” e quelli, allo stesso modo ciechi, per i quali tutto è spiegato dalle sure del Corano. La gente, me compreso, che crede che nessuna religione dovrebbe essere protetta per legge dalle critica (che sono lecite anche per la religione secolare come per la religione dei diritti umani, o per la religione progressista del profitto), è costretta a scegliere tra slogan semplicistici altrettanto inaccettabili”.

L’appello di Christchurch, rivolto ai capi di Stato e grandi capi del web, è stato lanciato dopo l’uccisione di 51 musulmani il 15 marzo ad opera del famigerato Brenton Tarrant in due moschee della Nuova Zelanda. Un esempio di radicale dispezzo dell’Islam, ispirato alle azioni di Anders Behring Breivik?

“A meno che non mi sbagli, Breivik non ha mai ucciso un solo musulmano. Ha attaccato quelli dei suoi compatrioti che considerava favorevoli all’immigrazione. Per quanto riguarda l’esempio seguito da Brenton Tarrant, sarebbe meglio guardare altrove.

Il 25 febbraio 1994, un estremista ebreo ortodosso chiamato Baruch Goldstein ha fatto irruzione a Hebron nella tomba dei Patriarchi, e ha massacrato con un fucile d’assalto 29 palestinesi musulmani in preghiera – uomini, donne e bambini – ferendo più o meno seriamente altri 125. Questo gesto mi sembra molto simile a quello di Tarrant. La differenza è che oggi il nome di Brenton Tarrant è odiato in tutto il mondo, mentre in Israele, la tomba di Baruch Goldstein è diventato un luogo di pellegrinaggio per un certo numero di coloni israeliani che lo vedono come un “eroe”. C’è stato un appello da Christchurch, non c’è mai stato un appello da Hebron”.

Al posto dell’islamofobia, si dovrebbe parlare di ostilità verso l’islam o disprezzo per i musulmani?

“Cambia tutto. Ognuno ha predilezioni e gli odi , razionali o irrazionali, simpatici o antipatici, giustificati o ingiustificati perfettamente, e tutti dovrebbero essere liberi di esprimere le loro pulsioni, che ovviamente non  si deve essere costretti a condividere. La fobia, considerata da Freud come il sintomo di una “ansia isterica”, frequentemente associata alla nevrosi, è un termine di psicologia clinica. In definitiva si considera la fobia una malattia, mentre è solo un parere (che può essere considerato detestabile). La conseguenza perversa è che diventa impossibile provare la sua falsità: non confutiamo una malattia. Lo stesso accade ogni volta che scegliamo, non di “medicalizzare”, ma di criminalizzare. Dal momento in cui si asserisce che questa o quella opinione “non è un’opinione ma un crimine”, è vietato allo stesso tempo confutarla, perché non si discute del crimine. In entrambi i casi, il dibattito è impossibile e la libertà della mente è vanificata”.

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Nicolas Gaultier

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