Cultura. “Serotonina” caso letterario ma Michel Houellebecq non è Drieu

«Quando si sprofonda nella vera notte, nella notte polare, quella che dura sei mesi di seguito, persiste il concetto o il ricordo del sole»

La Serotonina è il neurotrasmettitore che regola il nostro benessere psicofisico, conosciuto ai più come “l’ormone del buon umore”. Dal dieci gennaio 2019, è anche il titolo dell’ultimo romanzo di Michel Houellebecq, edito in Italia da La nave di Teseo e tradotto per la Collana Oceani da Vincenzo Vega. Lo scrittore francese, nato a Saint-Pierre, nell’isola di Réunion, scrive bene ed è in gran spolvero. Ma non è riuscito ad imprimere al suo ultimo lavoro, una fine che non sia un prologo a metà.

La sua è una narrazione fra senso e nonsenso, intervallata dagli stati di veglia “lucida” di Florent-Claude Labrouste il protagonista del romanzo, di sospensione e distaccamento dalle gradazioni di un’esistenza unidimensionale. Il tutto, condito da una depressione vorticosa, che sprigiona tra le peculiarità del suo personaggio, un nichilismo sciovinista: la posta in gioco di un uomo che paga a caro prezzo, l’appiattimento dei comportamenti, la burocratizzazione e la razionalità formale. Tali da gettarlo nello sconforto e negli impulsi di una noia svogliata, sul come darsi la morte. Tutt’altra cosa dal decidere di farla finita, verificando per davvero la «cognizione della morte».

La vita di Florent-Claude Labrouste, è la sintesi di quell’espressione francese «laisser faire, laisser passer» che pare invece, l’esatto contrario. Vale a dire, “lasciar passare, lasciar fare “ad un passato cui non chiede consigli validi ma, piuttosto, solo la maniera di costringerlo a ripresentarsi con un’indolenza ossessiva, difficile da respingere. Le sue esperienze di vita, saranno sempre più soverchianti e gli amori di Florent-Claude, le passioni, la gioventù spensierata, persino l’abbandono del lavoro di funzionario del ministero dell’Agricoltura, diventeranno l’unico mezzo per riprendere la sua vita, ad ogni costo.

Ma nei momenti che contano, nella scelta di provare un cambiamento, ritornerà immancabilmente, al punto di partenza: la fuga e il ritorno a Parigi. Pur capendo che il voler abbandonare il suo stile di vita, esula dalle inclinazioni di una società totalmente amministrata, visto che «dal punto di vista dell’amministrazione è un buon amministrato», nel migliore dei casi, «è un amministrato morto».

Fuggendo dai tùur dë fòrs di una vita agiata ma pur sempre sopra le sue possibilità, dalla convivenza con una giapponese dedita alle orge ed al tradimento che non disdegna la zooerastia, dall’essere sommerso da una vita sociale pari a quella di un decoder SFR, persino dalla dignità del suicidio dei propri genitori a causa di un cancro. Tra l’altro, per nulla inclini alla prospettiva di diventare le ennesime cavie, nel nome dell’accanimento terapeutico del progresso tecnologico. Il viaggio di Florent-Claude, lontano da sé stesso più che dal mondo cui rifugge, lo porterà in Normandia dall’amico Aymeric. Un esempio di quei “Padri Separati”, sotto scacco della femminilizzazione dell’ingiustizia ma, altrettanto nobile da trovare la forza per difendere la causa del settore caseario e agricolo, contro le multinazionali. 

Servirà a poco ma questa volta i suoi corregionali, capiranno le motivazioni dei tanti “piccoli” e nascosti, Dominique Venner di Francia. Infatti, il suicidio dell’amico di origine vichinga, è forse la parte più toccante del romanzo di Houellebecq, a pari merito con la dipartita dei genitori di Florent-Claude. Possiamo dire che ritraggono delle «potenti configurazioni emotive» e la volontà di narrare «un destino che finisce per compiersi» che nel romanzo, perdono di mordente. Sia per il conformismo dell’autore, ebbene sì, e sia perché parliamo di quel differenzialismo e pluralismo culturali, delle identità, dei costumi e delle usanze che in questo scritto, racchiudono però, un miscuglio pieno di stereotipi che faranno certo piacere ai travisatori delle «differenze». Molto solerti nel ricondurre il tutto a l’immarcescibile razzismo «culturalista».

Un assist che Michel Houellebecq poteva evitare, prima di vergare il ritratto dell’immancabile tedesco con tendenze pedofile, quello delle giapponesi disinibite dalla sessualità “Animal Porn”, senza neppure farsi mancare le fisime infantili sull’invecchiamento del genere femminile e/o umano. Quasi a voler descrivere la sua persona in simbiosi con il protagonista di Serotonina, quali fossero il risultato del «giovanilismo» puerile e fedele alla società post-moderna che tra l’altro, descrive quasi alla perfezione. 

Siamo certi che questo romanzo di Houellebecq farà parlare molto, malgrado la fama di essere uno scrittore “fuori dal coro” stia man mano scemando. Le somiglianze con il nullismo presente in 

alcuni lavori di Scerbanenco, quali sono “Venere privata”, “Annalisa e il passaggio a livello” ed “I ragazzi del massacro”, è parecchio evidente. Ma a differenza di Scerbanenco si piace troppo. 

Descrivendo la Francia e in cui vive, così com’è, ma pescando un po’ troppo e in maniera sbagliata, nel tormento interiore di Pierre Drieu La Rochelle. E guardandosi bene, dal prendere in considerazione, quei lampi di intuito su ciò che potrebbe accadere di lì a poco, per nulla scontati. Cosa molto diversa dalle ambientazioni dell’inguaribile viveur che vivendo a pieno i suoi tempi, comprese in anticipo che il voler romanzare l’atto estremo, significa già aver colto il momento in cui si decide di compierlo. In un ricordo che è solo il pezzo di un passato, privo di nostalgia. 

*Serotonina di Michel Houellebecq (La nave di Teseo)

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Francesco Marotta

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