Il caso (di G. Del Ninno). Se anche i più buoni urlano, siamo all’orizzonte della barbarie colta?

Mi tornano in mente le immagini televisive di un Cacciari con la bava alla bocca che urla “Vergognatevi!” a un ministro della Repubblica e di una Livia Turco riemersa sui teleschermi dalle nebbie di un meritato oblio per inveire contro un sottosegretario del Governo. Motivo di tanta scomposta indignazione? La pretesa “odissea” dei 49 migranti sottratti alla Guardia Costiera libica da due navi di ong, una tedesca e una olandese, alla fonda nelle acque di Malta e che – non si è capito perché – avrebbero dovuto essere presi in consegna – come poi in parte è avvenuto – dalla nostra Italia. Italia che, nel frattempo, statistiche più o meno concordi dipingono ora come incattivita ora come accogliente.

 

Sulla questione “migranti” sono stati sparsi fiumi d’inchiostro – qualche rivolo anche da chi scrive – e le soluzioni del problema sono state indicate – ma non praticate – da tempo e si sostanziano in due direttrici di massima: aiutarli a casa loro e governare i flussi in entrata in Europa, in modo da poter integrare chi lascia guerre o miseria a casa propria. Purtroppo, la situazione è tutt’altro che semplice, soprattutto per il contrasto fra i tempi lunghi di tali strategie e l’urgenza di salvare chi viene spinto in mare da cosche di delinquenti (con l’aggravante che queste ultime possono contare sulla complicità di fatto, anche in buonafede, di grandi Agenzie del pensiero unico, come le residue ma influenti “forze progressiste” e la Chiesa, dimentica che virtù quali la misericordia e la compassione appartengono alla singola persona, ma non possono essere praticate dallo Stato).

 

Quello che colpisce però, e non solo in fatto di migranti, è lo sprezzante furore dei fautori dell’accoglienza nei confronti dei loro interlocutori di diverso avviso, specie se si tratta di politici con responsabilità di governo. Qui siamo ben aldilà dei canoni di quella che Norbert Elias definì, in un suo saggio con questo titolo, “La civiltà delle buone maniere”: il sociologo tedesco ci ha raccontato l’evoluzione dei costumi, nel segno del controllo e della repressione degli istinti, soprattutto nel passaggio dal medioevo alla “società di corte”; ebbene, questo processo sembra ormai compiuto e se ne annuncia un altro in direzione esattamente contraria, cioè verso una società delle cattive maniere.

 

In questo passaggio, l’ipocrisia ha avuto un ruolo fondamentale, trasformandoci tutti in “attori” sociali (ipocritès, nella lingua dei nostri padri greci, era infatti l’attore, colui che doveva celare sotto un maschera i suoi sentimenti e i suoi giudizi); un’attitudine che ha reso possibile la convivenza non solo nei salotti o nelle corti, ma in ogni luogo pubblico, dove una sfacciata esibizione di presunte verità, di pregiudizi, anche solo di sensazioni avrebbe innescato facilmente conflitti non soltanto verbali.

 

E’ vero: le mortadelle o i bendaggi e, ancor più, i tentativi di venire alle mani, già andati in scena a più riprese nelle aule parlamentari, non erano proprio segnali di buona creanza; ma qui, nell’abbandono perfino dell’ipocrisia (per non parlare dell’aristocratico scetticismo che genera la tolleranza), si profila una nuova barbarie colta. Un ossimoro, quest’ultimo, che postula se non la derubricazione dell’avversario politico a essere subumano, la sua irredimibile condanna morale. E non parliamo della scomparsa di ogni timore reverenziale nei confronti di chi si trova a ricoprire un’importante carica pubblica. Certo, già un Salvemini apostrofava il suo avversario Giolitti come “ministro della malavita”, ma si trattava di un’eccezione che, in quanto tale, è passata alla storia. Oggi, grazie anche alla libertà senza freni consentita dai social, si possono riversare su ministri e capi di governo tonnellate di fango (eufemismo) verbale, senza incorrere in alcuna sanzione.

 

Tra i sommi sacerdoti di questa nuova religione dei diritti civili, dell’accoglienza tous azimuts, dell’abolizione di ogni confine e di ogni differenza – tutti dogmi che conferiscono di per sé a chi li professa e diffonde, il crisma di eticamente corretto – figurano, come ha ben scritto Marcello Veneziani in un suo articolo per il quotidiano “La Verità”, papa Bergoglio e Saviano, il capo dello Stato Mattarella e il presidente della Camera Fico; ma in generale, quasi tutti gli esponenti dell’opposizione e dell’establishment mediatico sono su queste posizioni e quasi tutti con toni che vanno dall’esagitato allo sprezzante.

 

Non c’è un provvedimento, una dichiarazione, una semplice apparizione di qualcuno dei membri del governo che non incontri un’invettiva, un ghigno, una reprimenda etica. I buoni – e i bravi, e i civili – da una parte, e i cattivi – e gli incompetenti e gli incivili – dall’altra. Si badi bene: non vogliamo entrare nel merito delle questioni oggetto del dibattito politico e del discorso pubblico: ci limitiamo a registrare i toni, come quelli richiamati in apertura, di Cacciari e della Turco. Che poi sia possibile un’informazione il più possibile obiettiva e un’opposizione ferma e garbata, argomentata e civile, qualcuno capace di dimostrarlo c’è ancora (basti ricordare i casi di una Barbara Palombelli e di un Massimo Giletti, di un Nicola Rossi o di un Francesco Boccia); purtroppo però, lo stile urlato appartiene anche a coloro che, non solo sui social, ma anche su alcune testate, che non dovrebbero essere in tutto e per tutto contrarie al governo, contro questo sparano bordate feroci.

 

E’ una questione di stile, ma non solo. Lo stile, appunto, lo stile che definisce l’uomo e incarna le grandi visioni della vita e del mondo: e anche su questo fronte, non ci sono buone notizie.

 

 

Giuseppe Del Ninno

Giuseppe Del Ninno su Barbadillo.it

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