Cultura. “Serotonina” di Houellebecq: da Bovè al disfacimento nichilista degli europei

Michel Houellebecq
Michel Houellebecq

Adesso che Michel Houellebecq è stato trasformato in Nostradamus, e che la sua immagine con le canotte di stampo bossiano ma firmate dai nipotini di Yves Saint Laurent campeggia nei tiggì, possiamo dire che “Serotonina” non è un capolavoro, come la Nave di Teseo scrive nelle note di copertina, ma il solito romanzo dello scrittore francese, con noia, sesso triste ed Europa decadente. Ci fosse un campionato delle previsioni non ci sarebbe storia tra le realtà immaginate e compiute di Philip K. Dick – come sa bene un altro scrittore francese: Emmanuel Carrère – e quelle subodorate da Houellebecq. Ma la letteratura deve superare se stessa non indovinare i giorni di dolore, c’è questa curiosa confusione tra alcune cose che stanno più o meno insieme e le previsioni, tutti gli articoli che leggerete o che avete letto su questo nuovo romanzo cominciano con la capacità di previsione della protesta dei gilet gialli, in realtà, a leggere meglio le pagine di “Serotonina” viene in mente più José Bové – trattandosi anche di agricoltura, era forse a lui che pensava Houellebecq – che l’attualità. Proprio nella contiguità sta la presunta grandezza di Michel Thomas (così si chiama lo scrittore Houellebecq) che godendo della furbizia del suo agente letterario François Samuelson – una sorta di Mino Raiola che ha studiato – riesce a farsi leggere con i fatti del giorno.

Ad oggi non c’è un partito islamico in Francia come immaginava in “Sottomissione” la cui parte migliore riguardava il confronto tra professori che mescolavano Nietzsche a Maometto, quindi altro rispetto alle cronache del romanzo, proprio come ora per “Serotonina” dove sono sconfitte ed inquietudini a dare il meglio, tra gite e donne passate, del protagonista: Florent-Claude Labrouste portatore di ambiguità e disperazione, un lavoro per conto del ministero dell’Agricoltura  in giro nella Francia rurale che si sente dimenticata. Houellebecq lavora sulla mediocrità, e per forza di cose deve entrare in pensieri lubrichi – come avrebbe detto Francesco Guccini – e quindi scandalizzare, ma non è Louis-Ferdinand Céline. Ovvio, in un panorama basso, soprattutto quello italiano: tra Saviano, commissari, Murgia, e Mussolini, diventa un gigante, che maneggia la realtà con grandezza, che entra nel presente con le sue ossessioni anti-europeiste, e che conosce i dolori delle cadute, che sa sguazzare nelle mancate erezioni come in quelle riuscite, esce dal “common sense” e si avventura nello sporco quotidiano nelle pretese e nelle proteste apparendo come un pungentissimo coltello alla gola delle Concita De Gregorio. In realtà siamo nell’ovvio, in un maledettismo da Calvados e hummus, da salotti oltre-nazisti, dove Dio diventa uno sceneggiatore scarso e la donna un oggetto di cui disfarsi, per poi rimpiangere l’amore autentico delle belle famiglie francesi di una volta, incarnate dai genitori del protagonista.

Il poeta fascista Robert Brasillach in abito scuro al centro della foto

Bastasse essere reazionari, Robert Brasillach avrebbe già vinto, ma serve altro e purtroppo in “Serotonina” manca. A dispetto del dimenarsi frenetico di Houellebecq alla ricerca della bianca agonia, delle investigazioni filosofiche e delle scene di sesso, manca la vera incisione del capolavoro che passa sì per il disfacimento ma deve trovare l’annullamento invece degli inciampi del passato. La crisi delle campagne francesi non ha alternative, ma molto romanticismo come ogni barricata che si rispetti, alla ricerca delle soluzioni corrisponde un calo dell’umore e delle speranze, Houellebecq e il suo agronomo vagano anzi danzano – come Pasolini fa dire a Orson Welles per Federico Fellini – tra piccoli orrori, grandi tradimenti e calo della libido. Un tunnel nero, perfetto per denigrare la Francia e la vecchia Europa, in una invettiva che sta un dito sopra quella dei sovranisti, ammantata dalle piccole crespe di scrittura malinconica houellebecquiana. E più danza e inveisce più piace, perché appare per quello che sempre dovrebbe apparire uno scrittore vero: isolato. Ma anche questa è una verità passata, in un gioco doppio: quanto più picchia Houellebecq tanto più simile pare a una Le Pen riuscita e tanto meglio sfonda dove mancano risposte. [uscito su Il Messaggero]

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Marco Ciriello

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