Italia Censis 2018. Il popolo cambia: siamo cattivisti disposti allo scontro e tanto neo-romantici

Cattivik, personaggio dei fumetti

E si sa, siamo cambiati. E siamo disponibili “ad un salto nel buio.” Ce lo dice il Censis nel rapporto 2018.  Non più “italiani brava gente” ma un popolo cattivissimo. Siamo diventati malinconici e cattivi. Il Censis lo dice chiaro chiaro: abbiamo messo da parte la razionalità e la nostra ponderatezza si sta esaurendo. Così la novella fenomenologia italica mostra una disponibilità allo scontro o un piacere a far zuffe, come turbini che si scontrano. A questo punto ci soccorre un grande romantico, “La vita tra la gente non è che un turbine e non vi è alcun rapporto tra un turbine e un altro.”  Era Alfred de Musset, il letterato che osservava il suo Ottocento in rovina, il secolo che si trasformava rapidamente. E l’io romantico di de Musset era scisso: da una parte l’ultima pacatezza, dall’altra l’indole inquieta e cattiva.

Dopo il pronunciamento del Censis, piace aggiungere che ci sentiamo sì cattivi ma anche turbini romantici. Dei cattivisti romantici. E venga il tempo del cattivismo dopo decenni di buonismo. Venga l’era di una neo-cattiveria per spazzare i fannulloni di ogni giorno, gli acrobati della legge 104. E, caro Babbo Natale, il 2019 sia un anno palingenetico: si faccia una legge che incenerisca la burocrazia. Ah ritorni il fuoco romantico! Inoltre, se sui libri è scritto che il Romanticismo è il ritorno alle patrie contro l’universalismo napoleonico, allora, i nuovi romantici chiedano la patria sovrana contro l’universalismo liberista e l’europeismo senza confini. Se quel carbonaro di Giovanni Berchet, teorico del Romanticismo, scrisse sulla borghesia popolare e  ferita, allora, i cuori neo-romantici oggi reclamino protezione per il popolo  delle famiglie.

Signori e signore, questa è una chiacchiera meta-politica scritta tra un sorriso e un’incazzatura. Ma questa è pure una considerazione sulle questiones del secolo, ovverosia: l’impoverimento del ceto-medio, la sovranità sotto tutela di organismi internazionali, le tradizioni che traballano a cagione di un globalismo aggressivo.

Scusate per il volo tematico, però,  i romantici tedeschi del XIX secolo come  la pensavano?  Quei poeti simpaticoni, i fratelli Schlegel e il Novalis, scrivevano di tradizione medievale, nordica, cristiana. Poi assistettero contentissimi al crollo dell’internazionalismo napoleonico e alla ricomparsa delle sovranità legittime. È curioso questo parallelismo storico. Tuttavia se il direttore del Censis, Massimiliano Valerii, sostiene che “prevale una coscienza infelice, una speranza senza compimento”, forse forse viviamo in un’era romantica, un’ età di poca speranza. Cioè stiamo divenendo tutti leopardiani. O sconfortati neo-romantici.

Bah, questa è sociologia speculativa da web. In ogni caso  i sociologi ben spieghino: uno, la collettività sta cambiando di brutto; due, la politica ha il dovere di ascoltare le mutate sensibilità. Diversamente, un giorno o  l’altro, i gilet gialli riempiranno le strade di Roma e Milano; e di poesia romantica ce ne sarà poca.  

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Renato de Robertis

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