Europee. La sfida della Meloni: unire gli identitari con la destra del lavoro e delle imprese sociali

Giorgia Meloni su una Vespa Piaggio

I giri di parole non servono più. L’appuntamento elettorale verso le Europee rappresenta uno spartiacque fondamentale per Fratelli d’Italia. L’obiettivo imprescindibile sarà quello di superare lo sbarramento e portare all’europarlamento una pattuglia di deputati. Solo così si garantirà un futuro, nell’epoca in cui il voto di destra è (paradossalmente) maggioritario eppure così frastagliato da finire ovunque: persino nelle casse elettorali del Movimento Cinque Stelle.

In quest’ottica, Fdi lavora all’unità e a richiamare a sé nomi, gruppi politici e associazioni. A tutta prima, quindi, pare una tattica finalizzata a superare un ostacolo sul breve periodo. Come tale, perciò, potrebbe essere accusata d’essere miope proprio perché ideata e agita nel tempo in cui più si è soli (vedi M5S e la Lega di Salvini) più si è premiati dall’elettorato.

Tra le righe, invece, si legge una strategia che non pare così peregrina. Avvicinare i conservatori di Raffaele Fitto, stringere un’alleanza sempre più forte con quell’area di Forza Italia (Giovanni Toti e c., ma l’eurodeputato Stefano Maullu è già sotto la Fiamma) che non si ritrova nella linea europeista di Antonio Tajani potrebbe rappresentare – per Fdi – una chiave di volta futuribile. Interessante potrebbe anche essere la prossima adesione di Andrea Augello, ex missino, già senatore, tra i più attenti critici della manovra giallo-verde, mentre il sostegno di Francesco Storace consente di recuperare terreno nell’area identitaria. Chissà che alla fine anche Diventerà Bellissima del governatore Nello Musumeci e del giovane talento della politica siciliana, Ruggero Razza, non sia uno dei motori meridiani dell’accelerazione destrorsa. Bisogno prendersi, in sostanza, la guida e la rappresentanza politica del voto (che fu) della destra moderata e riflessiva, attenta al mondo delle imprese e al laoro. Prima o poi, si potrebbe congetturare,  i (tantissimi) suffragi che i grillini hanno tolto a Forza Italia e a quell’area dove la (fu) Alleanza Nazionale pescava fino sopra il 10%, dovranno ritrovare una collocazione più stabile. E non potrà, questa, continuare a essere quella rappresentata dalla Raggi che sfratta Colle Oppio e l’associazione dedita alla memoria dei fratelli Mattei e nemmeno quella di Di Maio e del reddito di cittadinanza. Il M5S, come ormai sanno anche i muri, si stabilizzerà su posizioni di sinistra, progressiste, e continuerà a sottrarre voti giovani al Partito democratico e alla galassia postcomunista.

L’obiezione al ragionamento, però, è semplicissima tanto quanto il nome e il cognome del leader del partito che veleggia nei sondaggi attorno al 30%. Matteo Salvini come capo della destra italiana è più di un’ipotesi. Ma per governare senza inciuci, come il 4 marzo ha dimostrato, Salvini non può prescindere da quei voti moderati che alla Lega ancora non hanno perdonato né perdonano le intemerate anti-meridionali dei tempi che furono.

Contestualmente, se la Lega è ancorata al Nord, Fratelli d’Italia ha bisogno di uscire dalla dimensione strettamente romanocentrica e laziale, per puntare, decisamente, a rinforzarsi nel Mezzogiorno. Per farlo dovrà riprendere le fila di un discorso impopolare – sul piano della tattica – ma remunerativo sul lungo periodo, le idee e la ricostruzione di un’identità nazionale che mai come oggi è finita in mille pezzi.

La vera sfida per Fdi, dunque, oltre al valzer delle alleanze, sarà quella di ritrovare il coraggio della politica. Rompere, una volta e per sempre, il rullo mediatico della notizia contingente, del facilissimo like, del vittimismo piagnucoloso e ritrovare una vocazione governativa. Non restare sotto lo scacco di chi confonde, sempre e comunque, la voglia di guidare un Paese con il compromesso furbesco. Superare, insomma, la retorica impotente che si cela dentro il complesso post-Montecarlo. Altrimenti sarà stato tutto inutile.

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Alemao

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