Cultura (di G.Del Ninno). Buenos Aires, Argentina: il viaggio sognato

Bimbi che giocano nel quartiere La Boca (dal sito http://www.mitcheci.com)
Bimbi che giocano nel quartiere La Boca (dal sito http://www.mitcheci.com)

Leggevo giorni fa che nel mondo vi sono 80 milioni di cittadini di origine italiana, la maggior parte dei quali risiedono nelle Americhe e, fra questi, molti popolano le città dell’Argentina e, in particolare, la sua capitale, Buenos Aires. Ebbene, l’Argentina e Baires esistono nella mia geografia immaginaria e nella mia storia personale fin dagli anni dell’infanzia; esistono come “luogo lontano”, dove sono andati a vivere e a lavorare familiari di mia madre, stanchi del loro avaro borgo marinaro, dove i muli tiravano in secco i gozzi e si faceva il vino pigiando l’uva con i piedi.

Il luogo lontano è il magnete della fantasia: spesso il mio piccolo indice attraversava veloce, sulla grande pagina colorata dell’Atlante, la striscia celeste dell’Oceano, per andare a posarsi ed attirare il mio sguardo su quei nomi di città e di fiumi dal suono dolce e misterioso.

Dell’Argentina ho continuato a cogliere echi nel seguito della mia vita; la sua lontananza ne ha fatto, forse per tutti noi europei, la terra insieme dell’esilio e del rifugio, l’Eden del Nuovo Inizio e l’approdo dei peccatori; per me, semplicemente, era una terra difficile da raggiungere, e così è rimasta anche quando sono diventato adulto, non riuscendo a conciliare la curiosità e la nostalgia del sogno con le esigenze della professione, della famiglia, del tempo libero. 

Così l’Argentina si è trasformata in una specie di soffitta della mente, dove, con gli anni, ho accumulato brani musicali e sequenze di film, gesta di calciatori e passi di letteratura, schegge di passione politica e racconti di famiglia. Cosa c’è in questo personalissimo trovarobato? Alla rinfusa ci ho messo, e ci ritrovo, i racconti a fumetti dove si squadernavano la pampa, i gauchos, le bolas… ed ecco, nomino i gauchos e subito mi passano davanti agli occhi della memoria i volti di Vittorio Gassman, di Amedeo Nazzari, di Nino Manfredi, con i loro personaggi irretiti dal sempre agro Dino Risi in una storia di fallimenti mascherati e di illusioni canagliesche tutta italiana, ma sotto i cieli argentini… 

E poi, sempre sul filo dell’immaginario cinematografico, che non esita a saltare da un anno all’altro, senza una logica decifrabile con certezza e senza timore delle distanze reali, piombo nella Buenos Aires di Evita e in quella – ma sono le stesse? – di Fernando Solanas. L’entusiasmo e l’amore delle folle di descamisados sembrano stridere, anzi stridono con le sofferenze e le disillusioni dei pochi che furono costretti all’espatrio e poi tornarono…

Il tango di Gardel e di Piazzolla mi risuona nelle orecchie anche quando, forse, non dovrebbe: mi fa da colonna sonora mentre rileggo il diario di viaggio del giovane Guevara, che non era ancora el Che, nel suo percorso “latinoamericano”, lontano dalla metropoli, per formarsi alla scuola della gente povera e della natura aspra.

Maschio, Angelillo e Sivori con la maglia della Seleccion

Lui, coetaneo di quel trio di “angeli dalla faccia sporca” – Maschio, Sivori e Angelillo – che da quella terra remota sarebbe approdato nei nostri stadi, per far sognare legioni di tifosi italiani, profeti del divo Maradona di là da venire; lui, che aveva giocato al calcio in porta, mentre il destino, lontano dai campi del foot ball, gli avrebbe riservato il ruolo di attaccante, di avventuriero e di eroe rivoluzionario. 

E sempre nella mia soffitta della fantasia, invece di sedermi ad ascoltare oscuri tangueiros in un famoso caffè fra le casette multicolori di El Caminito o di perdermi nelle stradine della Boca, rivedo le movenze seduttive di Al Pacino, che stringe a sé una giovane sensuale, nel remake americano di “Profumo di donna”, rifacendo l’ufficiale cieco, che fu tra le interpretazioni più riuscite di Gassman…

Triste, solitario y final: questo titolo di Osvaldo Soriano, chissà perché, invece di avvicinarmi alla Bombonera, mi fa scivolare all’ombra di un patio, dove incontrare Borges, l’uomo a cui gli dei spensero la luce degli occhi, per consentirgli di viaggiare più agevolmente nei meandri vertiginosi della sua fantasia creativa, nei labirinti delle civiltà remote e tra le viscere di una terra che allevò, fra gli altri, banditi divenuti eroi. 

Ed ecco le acque del Rio della Plata, maestoso al punto di meritarsi il nome di “mare”, ed il mirabile fragore delle cascate dell’Iguazù, e ancora i picchi e le solitudini della Patagonia e dei cammini incantati che vi percorse Bruce Chatwin… ed ecco l’odore del vento sulla pampa, battuta e cantata da Evaristo Carriego, da Bioy Casares, da Angelica Ocampo… ecco la magia dell’Aleph e il fervore di Buenos Aires, ecco la Biblioteca di Babele fra le avenidas imperiali della Capitale, e poi le tragiche Malvinas, e la Terra del Fuoco a petto dell’oceano gelato dove Magellano e tanti navigatori europei dopo di lui vinsero i flutti e i venti… Nostalgia del “lontano”, in un pianeta troppo noto ai tour operator, alle televisioni, ai turisti “mordi e fuggi”. Ha scritto Blaise Cendrars: “Non c’è più che la Patagonia, che si addica alla mia immensa tristezza”; ebbene, che gli dei della malinconia e dell’avventura ce la preservino per sempre. 

Un paese alla fine del mondo, lo ha definito il papa argentino alla sua prima apparizione sul balcone di S. Pietro: già, il Sommo Pontefice che rinunciò al suo nome italiano per assumerne un altro, sempre italiano, ma universale, e che volle presentarsi innanzitutto come vescovo di Roma, lui che, da prelato nella sua terra, non criticò i peronisti, considerati difensori dei più deboli. Per me, altri tasselli da aggiungere al mio mosaico, dove sono raffigurati inevitabilmente “buoni” e “cattivi”, anche ora che ho imparato a sfumare nei grigi i bianchi e i neri della vita.

Sogno il clamore di una turba di bambini che s’aggrovigliano intorno ad un pallone, mentre le madri stendono i panni sporgendosi dalle finestre, nel cortile di un alto caseggiato dove abitò Borges – ancora lui! – aedo cieco di sapienti arabi e di menestrelli provenzali, argentino ed europeo, come un po’ io stesso mi sento; ed è così che contemplo l’Orsa Maggiore e immagino la Croce del Sud, in un cielo terso e infinito.

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Giuseppe Del Ninno

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