Il punto politico. Se Bannon è lo Steve Jobs del sovranismo, quale ruolo per la Meloni?

Steve Bannon e Giorgia Meloni

Il Profeta Steve Bannon ha occupato il palco di Atreju investito del ruolo di federatore di una Confederazione di Stati sovrani che si ponga come alternativa al “Partito di Davos” e delle élite finanziarie. Il guru americano, con la sua presenza scenica che ha rimandato alle presentazioni-evento del compianto Steve Jobs, si è scagliato contro coloro che, attraverso la globalizzazione feroce, hanno approfittato dello sradicamento da essa causato negli individui per trasformarli in macchine del consumo prive di identità e di legami comunitari. Lo scontro è “élite contro il popolo”, ossia fra l’opportunismo delle prime e il buonsenso di chi contesta la disgregazione che si è insinuata nelle nostre società, tramutate in un supermarket privo di valori.  Bannon ha lavorato nella Goldman Sachs, è un errore di sistema, un virus impazzito intento a infettare il perfetto meccanismo messo in piedi dalla grande finanza che agisce come ente invisibile e sovranazionale con il fine dei guadagni privati e non come miglioramento globale delle condizioni di vita globali dei popoli. L’invito al pubblico di Atreju è di prepararsi agli attacchi delle élite che “cercheranno in ogni modo di distruggervi”, poiché esse “non temono me, Salvini o la Meloni, ma temono Voi”, quel popolo risvegliatosi finalmente dal torpore innescato dalla narrazione propagandistica di uno pseudo benessere frutto della società del consumo. I vari Leader che si intestano la lotta contro le élite, in tal senso, rappresentano quindi l’hardware che ha il compito di supportare il popolo-software personificante una potenza indisciplinata che, tramite i politici sovranisti, mira a farsi nuova forma di potere realmente legittimato. Il “Partito di Davos” e della finanza mondiale è il nemico da abbattere per creare il Nuovo Mondo: i sovranisti vengono investiti da Bannon del ruolo messianico e salvifico (tipica attitudine degli americani, da sempre rappresentatisi come una Nazione-Messia) di sconfiggere quello che lui definisce “l’Occidente Radicale”, ribaltando il senso comune per cui la dimensione turbocapitalistica rappresenti la normalità e il migliore dei mondi possibili, idea egemone che ha reso facile il gioco di tacciare come fascisti ed estremisti tutti coloro che hanno provato e continuano a mettere in discussione lo status quo. Bannon la definisce “ribellione della moderna gleba”. Resta da capire come però si possa evitare che gli egoismi nazionali rendano inefficace una azione condivisa contro un così ben oleato sistema internazionale di interessi e poteri. Le perplessità vengono per ora sacrificate in nome di una volontà di credere nel progetto di The Movement, la rete dei partiti sovranisti che Bannon sta tessendo per imporre una idea nuova (o antica, seppur nuovamente attuale) di Europa e di Occidente.
Un passaggio chiave di Bannon è l’attacco all’America dei neocon che in nome di un discutibile progetto democratico ha esportato poca democrazia e molte guerre, spesso risultate controproducenti. Il Leo Strauss del libro “Atene e Gerusalemme”,  intellettuale indicato spesso come fonte d’ispirazione dei neocon, cede nella narrazione di Bannon a una nuova triade: “Atene, Gerusalemme e Roma”, emblemi della cultura giudaico-cristiana dove la capitale italiana è simbolo della riconsegna del potere al popolo così come voluto dai Gracchi nell’antica Roma, citati da Bannon come esempio di lotta contro i privilegi dei potenti.
Ma è nella parte dedicata alle sfide del futuro che si innesca un virtuoso legame con le lotte di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni: Bannon ha infatti disegnato l’urgenza di creare un fronte comune dinanzi alle criticità del futuro prossimo legate alla robotica, all’ingegneria genetica e al postumano. La missione dei sovranisti è anche quella di “evitare la distruzione della razza umana”.
Ed è in tale missione che si inserisce Giorgia Meloni: in quello che è a mio avviso il più interessante luogo di azione dove il progetto sovranista può assumere i contorni di un progetto biopolitico e non puramente economico-amministrativo. Il discorso di chiusura della leader di FDI si è basato sulle classiche tematiche sovraniste e populiste: la lotta per tutelare la Nazione dai diktat della UE, della Banca Mondiale e del FMI, una nuova idea di produttivismo contro la nefasta e asettica finanza creativa, investimenti per nuove infrastrutture e creazione di un virtuoso rapporto fra impresa e lavoratori. L’intervento della leader ha assunto però una dimensione più complessa con il j’accuse contro il mercimonio dell’utero in affitto e contro l’eutanasia, tema, quest’ultimo, cruciale per la Meloni, così come dimostrato dalla scelta di premiare ad Atreju i genitori del piccolo Alfie Evans. Al di là delle necessità del partito di ritagliarsi un proprio ruolo riconoscibile nel magma sovranista italiano ed europeo, la Meloni, oltre a incarnare i punti fermi del sovranismo, può mirare, nella rete di The Movement, a ricoprire il ruolo di madrina di un nuovo umanesimo dei doveri verso la Vita, contro la dittatura dei capricci del progressismo. Contro la cultura della morte, in nome di un futuro che bisogna costruire ispirati dalla dimensione eterna che risiede come essenza dell’esistenza: la sacralità inviolabile della vita.

Il sociologo Guerino Bovalino, allievo di Michel Maffesoli

*Docente presso l’Università per Stranieri “Dante Alighieri” di Reggio Calabria,
studioso dell’immaginario politico e dell’era digitale e  autore di “Imagocrazia. Miti, immaginari e politiche del tempo presente”, Meltemi, 2018

Guerino Nuccio Bovalino*

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