Il ritratto. Il senatore Usa John McCain visto da David Foster Wallace

John McCain

Nell’ottobre del ’67 anche McCain era un giovane elettore, e stava compiendo la sua ventiseiesima missione di combattimento in Vietnam quando il suo aereo A-4 Skyhawk fu abbattuto sopra Hanoi, e lui dovette usare il sistema di espulsione. Il che in pratica consiste nell’innescare una carica esplosiva che spara il sedile fuori dall’aereo, e l’espulsione gli spezzò entrambe le braccia e una gamba, e gli provocò una commozione cerebrale, e McCain cominciò a precipitare dal cielo di Hanoi. Cercate di immaginare per un secondo quanto male può fare una cosa del genere, e quanta paura, avete tre arti spezzati e state cadendo sulla capitale nemica che avete appena tentato di bombardare. Il suo paracadute si aprì in ritardo e atterrò violentemente nel laghetto di un parco in pieno centro di Hanoi. (Ancora oggi accanto a questo laghetto c’è una statua nordvietnamita di McCain, che lo ritrae in ginocchio, con le mani alzate e gli occhi impauriti, e sul piedistallo c’è una scritta: «McCain – famoso pirata dell’aria» [sic]). Immaginate di guardare un lago con le braccia rotte, cercando di tirare il cordino del giubbotto di salvataggio con i denti, mentre una folla di nordvietnamiti nuota verso di voi (esiste un filmato di questo momento, qualcuno aveva una cinepresa casalinga, e il governo nordvietnamita lo ha reso pubblico, ma è sgranato e la faccia di McCain si vede male). La folla prima lo tirò fuori, poi per poco non lo uccise. I piloti di cacciabombardieri erano particolarmente odiati, per ovvie ragioni. McCain fu infilzato nell’inguine con una baionetta; un soldato gli ruppe una spalla con il calcio del fucile. Nel frattempo, il ginocchio destro gli si era piegato lateralmente a novanta gradi, con l’osso che spuntava. È tutto documentato. Provate a immaginare. Alla fine lo caricano su una jeep e lo trasportano a soli cinque isolati da lì, nel famigerato carcere di Hoa Lo – noto anche come Hanoi Hilton, quello di tanti film – dove gli fanno implorare un medico per una settimana, quindi gli ricompongono un paio di fratture senza anestesia, lasciandogli le altre due fratture e la ferita all’inguine (immaginate: ferita all’inguine) così come sono. Infine lo buttano in una cella. Provate per un momento a sentire tutto quanto. La totalità degli articoli e i servizi televisivi su McCain citano il fatto che ancora oggi non riesce ad alzare le braccia sopra la testa per pettinarsi, ed è vero. Voi però cercate di figurarvelo all’epoca, immaginate di trovarvi nei suoi panni, perché è importante. Pensate a quanto diametralmente opposto al vostro interesse personale sarebbe beccarsi una coltellata nelle palle e farsi ricomporre delle fratture senza un’anestesia generale, poi essere gettati in una cella a non fare altro che stare lì e soffrire, perché fu esattamente quello che successe. McCain trascorse diverse settimane perlopiù a delirare per il dolore, e il suo peso scese a quarantacinque chili, e gli altri prigionieri di guerra erano sicuri che sarebbe morto; poi, dopo aver resistito così per vari mesi e dopo che le sue ossa si erano rinsaldate alla bell’e meglio e riusciva più o meno a stare in piedi, lo andarono a prendere, lo portarono nell’ufficio del comandante, chiusero la porta e di punto in bianco si offrirono di liberarlo. Dissero che poteva semplicemente… andarsene. Venne fuori che l’ammiraglio della Marina statunitense John S. McCain II era appena stato nominato capo di tutte le forze navali del Pacifico, Vietnam incluso, e i nordvietnamiti volevano realizzare un colpaccio diplomatico liberando generosamente suo figlio, il piccolo assassino. E John S. McCain III, quarantacinque chili e in grado a malapena di stare in piedi, declinò l’offerta. A quanto pare il Codice di condotta per i prigionieri di guerra diceva che i prigionieri andavano liberati nell’ordine in cui erano stati catturati, e c’erano altri che si trovavano a Hoa Lo da molto più tempo, e McCain si rifiutò di violare il Codice. Il comandante della prigione, per nulla soddisfatto, gli fece rompere le costole, ri-rompere il braccio e buttare giù tutti i denti dai secondini, il tutto lì nel suo ufficio. Ma anche così, McCain si rifiutò di andarsene senza gli altri prigionieri. Lasciate perdere i film in cui succedono cose del genere e provate a immaginarlo come qualcosa di reale: un uomo senza denti che rifiuta di farsi liberare. McCain a Hoa Lo ci passò altri quattro anni, quasi sempre da solo, al buio, in una speciale scatola grande quanto un armadio chiamata «cella punitiva». Forse questa storia l’avete già sentita; quest’anno è finita in un numero imprecisato di articoli e servizi su McCain. È sovraesposta, sono d’accordo. Ma prendetevi lo stesso uno o due secondi per fare un po’ di visualizzazione creativa, e immaginate il momento intercorso tra quando John McCain si vide offrire la liberazione anticipata e quello in cui la rifiutò. Cercate di immaginare se al suo posto ci foste stati voi. Immaginate con quanta forza il vostro più basilare, primordiale interesse personale avrebbe gridato in quel momento, e tutti i modi in cui avreste potuto razionalizzare il fatto di accettare l’offerta: che differenza poteva fare un prigioniero di guerra in più o in meno? Poi forse accettando avreste dato agli altri prigionieri una speranza e li avreste aiutati ad andare avanti, e insomma, pesate quarantacinque chili, tutti pensano che morirete da un momento all’altro, e di sicuro il Codice di condotta non si applica quando uno ha bisogno di un medico o altrimenti rischia di morire, e se riuscite a sopravvivere, uscendo di lì potreste promettere a Dio che d’ora in poi non farete altro che il Bene più assoluto, e renderete il mondo un posto migliore, perciò per il bene del mondo è meglio accettare che rifiutare, e forse se papà non dovesse preoccuparsi delle ripercussioni su di voi qui in prigione potrebbe portare avanti la guerra in modo più aggressivo e concluderla prima e quindi risparmiare vite perciò sì forse potreste effettivamente salvare delle vite se accettate l’offerta e uscite vs. a che scopo stare qui in una scatola a farsi picchiare a morte e a proposito oddio immaginatevelo un dottore vero e una vera operazione con gli antidolorifici e le lenzuola pulite e la possibilità di guarire e finire quest’agonia e rivedere i vostri figli, vostra moglie, sentire il profumo dei capelli di vostra moglie… Riuscite a sentirlo? Cosa succederebbe nella vostra testa? Avreste rifiutato l’offerta, voi? Ci sareste riusciti? Non potete averne la certezza. Nessuno di noi può averla. È difficile persino immaginare il livello di dolore e paura e desiderio in quel momento, figuriamoci sapere come avremmo reagito. Nessuno di noi può saperlo. Eppure, vedete, noi come reagì quell’uomo lo sappiamo. Sappiamo che scelse di passare altri quattro anni in quel posto, quasi sempre in una scatola buia, da solo, battendo sui muri per mandare messaggi agli altri, piuttosto che violare un Codice. Forse era pazzo. Il punto però è che, nel caso di McCain, uno ha la sensazione di sapere, come fatto dimostrato, che lui è capace di consacrarsi a qualcosa di diverso, qualcosa di più del suo interesse personale. Tanto che oggi, quando nei discorsi pronuncia quella frase, uno ha la sensazione che forse non si tratta dell’ennesima fuffa da candidato, che detta da questo tizio forse è la verità. O che forse è la verità, ma anche fuffa. In fin dei conti questo signore vuole il vostro voto.

Comunque sia, quel momento nell’ufficio di Hoa Lo nel ’68 – un attimo prima che John McCain rifiutasse, con tutto il suo basilare, primordiale, umano interesse personale che gli ululava dentro – quel momento è difficile da cancellare.

[ tratto da “Forza Simba, in “Considera l’aragosta”, David Foster Wallace, Einaudi]

David Foster Wallace

David Foster Wallace su Barbadillo.it

Exit mobile version