Cultura. Il cervello di Alberto Sordi. Tatti Sanguineti e il cult su Rodolfo Sonego, il genio che creò Alberton

Rodolfo Sonego e Alberto Sordi
Rodolfo Sonego e Alberto Sordi

Tatti Sanguineti vuole scandagliare, sezionare, mettere ordine. Srotola quindi una biografia e punta il faro sugli aneddoti. L’aneddotica è fondamentale per completare un punto di vista. Un aneddoto nasconde dettagli, tasselli del puzzle. Ed una biografia, soprattutto questa biografia, ha negli aneddoti la sua linfa preziosa. Apprendiamo, ad esempio, che Una vita difficile è un film di Sonego e non di Risi, che si limitò a filmare le sequenze indicate dal grande sceneggiatore, intrigato e totalmente coinvolto in un film del tutto autobiografico. Un libro utile che l’appassionato di cinema non deve perdere, per capire quanto l’Italia della commedia debba a un geniaccio come Rodolfo Sonego (1921 – 2000), una figura considerata imprescindibile dallo stesso Sordi, comandante partigiano “controvoglia” (come era solito dire), artista con la passione per la biologia e velleità da pittore, amante del racconto orale che si ritrova catapultato nella Roma del dopoguerra nel tentativo di rifarsi una vita, partire da zero, fare tabula rasa, cercare nuovo combustibile creativo.  Nel mondo del cinema sceglie di stare appartato, dietro le quinte per intercettare, ritrarre, descrivere e progettare i gusti, i tic e i comportamenti degli italiani di allora, dalle cui vite inebriate dai prodromi del boom nasce un esemplare, l’Italiano medio, il cui battesimo del fuoco è affidato a quello che sarebbe diventato poi l’Albertone nazionale, definito da Sonego geniale e selvatico al tempo stesso, sregolato nel rifiutare tutto ciò che vagamente si può avvicinare ad una cultura libresca, ma al tempo stesso preparato per ricoprire i propri personaggi di dettagli (e, appunto, di aneddoti) pescati dalla quotidianità del suo tempo. L’attore romano accettava un film a scatola chiusa se l’aveva scritto il collaboratore preferito, incontrato per caso sul set de Il seduttore (1954). Il libro non è tenero nel mettere in risalto il salto di Sordi alla regia, descrivendolo incapace di realizzare adeguati montaggi. Molto gustosi i capitoletti iniziali dove Sanguineti cita le opinioni di Sonego su attori, produttori e sceneggiatori, regalando un’intera stilettata di ritratti e aneddoti che colma l’album di famiglia del cinema italiano degli anni d’oro. La voce di Sanguineti si avverte come un’eco, mentre interviene con interessanti annotazioni tecniche ed enuclea, attraverso interventi storici, i più importanti capolavori della commedia all’italiana.

Tatti Sanguineti ha raccontato Il cervello di Alberto Sordi (2015, Adelphi), servendosi di un titolo doppio, perché si entra nel cervello di Sordi (come fosse una scatola o un palcoscenico), in cui si ritrovano svariate testimonianze su e di Rodolfo Sonego, come se lo sceneggiatore veneto fosse incaricato – da un tacito accordo- di “abitarlo”, dando vita così ad un sodalizio durato 46 anni in cui fu soggettista, sceneggiatore e consigliere scelto da Sordi. Sanguineti non è nuovo all’opera di Sonego, aveva già pubblicato in precedenza Il cinema secondo Sonego (Transeuropa, 2000), che per l’occasione amplia e rende definitivo, inserendo vita, opere, dichiarazioni, aneddoti e commenti critici su film importanti come Il vedovoIl boomL’avaroAssolto per non aver commesso il fattoLa donna del fiumeIn viaggio con papàUn eroe dei nostri tempi, senza dimenticare pellicole meno note come Ida e i porciIl disco volanteIo e CaterinaMarechiaro. Ci sono anche i film non realizzati e i non accreditati, così come non manca un breve manuale di sceneggiatura, fai da te, pronto per l’uso, da chi non ha frequentato scuole ma ha incarnato semplicemente l’arte del racconto. Ne nasce dunque un lungo racconto antropologico, la cui decostruzione mostra alla radice frammenti di puzzle destrutturabili di quella grande industria che fu quella del cinema italiano, culturale anche quando proponeva “cultura di massa” perché in costante sintonia con quello che Edgar Morin, parafrasando Hegel, chiamerebbe “Lo spirito del tempo”.

@barbadilloit

Stefano Sacchetti

Stefano Sacchetti su Barbadillo.it

Exit mobile version